Lo Stato tra
quei banchi
di MICHELE SERRA
MIRACOLO a Roma. Il ministro Gelmini ha chiesto alla direzione scolastica di
Adro di far rimuovere i simboli "padani" dalla locale scuola pubblica (ci vorrà
tempo, perché ci vorranno gli scalpelli...). Meglio tardi che mai: ci sono
voluti dieci giorni perché una lesione così smaccata della convivenza
repubblicana ricevesse un "alt" doveroso, ma non scontato in questo clima
politico e con questo assetto di potere.
Dieci giorni nel corso dei quali, per fortuna, l'opposizione a quella prepotenza
si è auto-organizzata in cento rivoli, affollando i blog di protesta, scrivendo
ai giornali, organizzando un presidio (ieri), facendo pressione sui partiti di
opposizione, facendo breccia in quei settori del centrodestra che ancora
conoscono le regole comuni, in esse si riconoscono, ad esse vogliono attenersi:
prima tra tutte, la neutralità almeno "fisica" di un edificio scolastico, per la
prima volta nella storia democratica trasformato nel tempio di una fazione.
Ma il merito principale di questo dietro-front (e probabilmente l'input che ha
riacceso il motore della razionalità al ministero dell'Istruzione, dopo un
black-out di parecchi giorni) è di quei genitori di Adro, circa un quarto del
totale, che hanno protestato, e in qualche caso ritirato i figli da scuola. Non
sono intellettuali di sinistra, non sono politicanti, non sono agitatori di
piazza, non sono "stranieri": sono cittadini lombardi, non importa di quali
opinioni politiche, che hanno considerato inaccettabile mandare i figli a
studiare in una scuola di fatto privatizzata dalla giunta leghista.
Non dev'essere facile, a Adro, mettersi di traverso. L'abitudine di identificare
la Lega con il "popolo", con i suoi interessi e la sua volontà, non facilita il
dialogo con chi, pur essendo "popolo" con pieno diritto, non si sente
rappresentato dal Sole delle Alpi, dalla "padanità", dal pendolo continuo tra
promesse di federalismo e minacce di secessione (i due termini, tra l'altro, a
furia di essere le due facce dello stesso randello, rischiano di diventare
indistinguibili).
Chissà se il sindaco di Adro, di fronte al putiferio scatenato dalla sua scuola
minutamente istoriata di simboli "padani" e intitolata a Gianfranco Miglio
(ideologo dell'etnos), avrà qualche dubbio sul proprio operato. Chissà se il
"no" di una parte minoritaria ma non piccola della sua cittadinanza gli parrà un
atto di odioso boicottaggio contro il radioso futuro leghista, o il ragionevole
richiamo alla realtà da parte di chi vuole fargli sapere che esiste anche un
Nord non leghista. Sarebbe importante saperlo, che cosa pensa in cuor suo il
sindaco Lancini, e che cosa pensano i suoi tantissimi elettori che hanno avuto
la capacità di autofinanziarsi per arredare quella scuola, ma non la generosità
di pensarla, quella scuola, per tutti quanti, non solo per i bambini "padani".
Sarebbe importante saperlo per capire fino a che punto la mentalità leghista
profonda, così invaghita di fole etniche, così devota alla chiusura del "noi"
contro "gli altri", è tentata dal totalitarismo (e certo avere concepito quella
scuola è tipicamente totalitario); oppure se è ancora permeabile alla ragione,
ancora riconducibile alle regole e alle leggi della Repubblica italiana.