Gli italiani si fanno con l'Altro
di Giovanni De Luna
“La Stampa” (Tuttolibri) del 9 ottobre 2010
La lezione di Bobbio, per combattere il razzismo e la deriva plebiscitaria della politica
Agli inizi degli Anni 90 i cittadini stranieri censiti in
Italia erano all'incirca 356 mila. Dieci anni dopo erano diventati quasi un
milione in più. All'inizio di quest'anno hanno superato i 4 milioni, e sono il
7% della popolazione. Oggi possiamo dirlo. Avviandosi verso la fine del ‘900 il
progetto di «fare gli italiani» veniva attraversato da un vero terremoto. Tutti
i 150 anni della nostra storia unitaria potevano leggersi come un lungo processo
alimentato dalla coppia inclusione/esclusione.
Lentamente, faticosamente, avevamo riassorbito le fratture e lacerazioni che
avevano rallentato la costruzione dello Stato nazionale, quelle geografiche
(Nord/Sud), economiche (città/campagna), sociali (proletariato e borghesia),
ideologiche (fascismo e antifascismo), in un lavorìo incessante in cui i fronti
dell'esclusione da riassorbire cambiavano man mano che cambiavano le «fasi»
politiche della nostra storia.
Mentre il XX secolo finiva, per la prima volta quel progetto doveva confrontarsi
con l'Altro. Un Altro che era tale per il colore della pelle, per le tradizioni
e le culture da cui proveniva, per la religione in cui credeva. Un Altro che non
era più un'icona esotica e remota, ma era qui in mezzo a noi, condivideva il
nostro spazio di relazione, partecipava pienamente della nostra esistenza
collettiva. Quali erano gli strumenti di inclusione a cui attingere? Esisteva
una religione civile capace di rendere i «nuovi italiani» partecipi di un'
appartenenza e di una cittadinanza comune? Era possibile per un maghrebino
identificarsi in una memoria pubblica in cui i fratelli Cervi convivevano con El
Alamein, i ragazzi del ’99 con quelli che «andarono a Salò»?
Norberto Bobbio intervenne su questi temi in un saggio pubblicato nel 1993.
Confrontandosi con quello che stava allora succedendo, con una Lega Nord agli
esordi della sua irresistibile ascesa e un sistema politico su quei temi
chiaramente in affanno (la legge Martelli è del 1990), Bobbio indicò nel
pregiudizio e nel passaggio dall’etnocentrismo alla xenofobia i pericoli in
grado di mandare in frantumi tutti i meccanismi inclusivi del progetto di «fare
gli italiani». Se, infatti, l'etnocentrismo è una sorta di «predisposizione
mentale e culturale», è solo dal «contatto materiale», dalla convivenza negli
stessi spazi pubblici e privati che nasce la pulsione della xenofobia, il
desiderio di cacciare l' «Altro» fuori da casa propria.
Sulla constatazione puramente fattuale della diversità che esiste fra uomo e
uomo, si sovrappone un giudizio di valore per cui uno è buono l'altro cattivo,
uno è superiore l'altro inferiore, in un percorso che si sviluppa attraverso
prima la segregazione, poi il rifiuto di ogni forma di comunicazione o contatto,
la discriminazione, per arrivare al dileggio verbale, all'aggressione e alla
violenza. Alla base di tutto questo c'è, appunto, il pregiudizio, (il «credere
senza sapere»), che non solo provoca opinioni erronee, ma è difficilmente
vincibile perché l'errore che esso determina deriva da una credenza falsa e non
da un ragionamento errato, né da un dato falso che tali possono essere
dimostrati empiricamente. Il saggio, «Razzismo oggi», fu pubblicato in una
raccolta dal titolo Elogio della mitezza e altri scritti morali, allora, nel
1994, da «Linea d'ombra» e adesso riproposto da Il Saggiatore.
La mitezza era infatti presente in tutto il libro. Per combattere il razzismo,
diceva Bobbio, è necessario attingere a una doppia risorsa: una è una «virtù
sociale», la mitezza, appunto, l'altra politico-istituzionale, la democrazia. La
prima è una disposizione d'animo che rifulge solo alla presenza dell' «Altro».
Il mite è l'uomo di cui l'altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé e la
mitezza consiste proprio nel lasciare essere l'altro quello che è. Bobbio ci
tiene a distinguere la mitezza dall'umiltà, insiste sul carattere attivo di
questa virtù; nessuna rassegnata condiscendenza, nessun pacifismo contemplativo.
Il mite si propone di incidere sulla realtà, di costruire un progetto di
inclusione, di delimitare uno spazio pubblico in cui la sua virtù possa operare
e dare frutti. La democrazia è quindi anche l'ambito in cui la mitezza può
dispiegare con più efficacia i propri effetti. Bobbio ne sottolinea la
dimensione inclusiva, la sua tensione continua «a far entrare nella propria area
gli altri che stanno fuori per allargare anche a loro i propri benefici, dei
quali il primo è il rispetto delle fedi».
Queste considerazioni valgono oggi, ancora più che nel 1993. Quanto al saggio
che dà il titolo all'intera raccolta, si tratta del testo di una conferenza che
Bobbio tenne a Milano, nel 1983. C'era allora un'intera generazione che stava
congedandosi dalla violenza, ma anche dalla passione politica, dalla militanza,
ma anche dalla speranza. Quell'intervento di Bobbio aiutò tutti ad archiviare la
protervia di chi si sentiva depositario di grandi certezze accettando la lezione
della tolleranza e del confronto con l'Altro. Si scoprì allora che, fuori dai
recinti della «democrazia inclusiva», c'è spazio solo per l'arroganza del
potere.
In contrapposizione radicale con questo potere, la mitezza di Bobbio si
proponeva come la più impolitica delle virtù, la più radicalmente lontana da chi
usa la politica solo per affermare se stesso, di chi insegue il successo
cavalcando il narcisismo e il compiacimento. Ma la sua impoliticità è così forte
da costringere il potere a mostrarsi nella sua nudità, senza gli orpelli che
tradizionalmente lo circondano nello spazio pubblico, costringendolo a
confessare la propria miseria, a svelare la fragilità della deriva plebiscitari
che lo sostiene.
IL SAGGIO E GLI INCONTRI
Uscito nel 1994 da «Linea d’ombra», «Elogio della mitezza e altri scritti
morali» di Bobbio è riproposto da Il Saggiatore (pp. 211, e10). «Elogio dela
mitezza» è anche il tema di una settimana di riflessioni a Torino, a cura di
Andrea Bobbio. Mercoledì 13, Circolo dei Lettori, h. 16, «La via della mitezza»,
seminario con Pietro Polito, Santina Mobiglia, Pier Cesare Bori, Gustavo
Zagrebelsky. Dal 13 al 16, Cavallerizza, h. 20,45, «Elogio della mitezza»,
proposta teatrale di Progetto Cantoregi, di Giovanni De Luna, Vincenzo Gamna e
Marco Pautasso, regia di Koij Miyazaki. Il 18, al Carignano, h. 18, lectio di
Carlo Ossola su «Una mitezza ben temperata».
(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 9 ottobre)