La chiesetta in Canadà
di Marco Cinque
“il manifesto” del 21 settembre 2010
Dalla Gran Bretagna il papa ha condannato i crimini dei preti pedofili. Non una parola sul «genocidio canadese»: sterilizzazioni, omicidi e violenze commesse dal 1922 al 1984 nelle scuole residenziali cattoliche.
Nel suo viaggio in
Gran Bretagna, papa Benedetto XVI ha usato toni forti per condannare lo scandalo
della pedofilia nella chiesa cattolica, ha pianto e ha definito le vittime come
«martiri». Contemporaneamente decine di migliaia di persone protestavano per le
vie di Londra proprio per la mancata giustizia e la sostanziale impunità di cui
i preti pedofili hanno finora goduto. Non una sola parola infatti è stata spesa
riguardo ad un’altra tragedia consumatasi nelle scuole residenziali religiose
del Canada, tra il 1922 e il 1944, dove trovarono la morte 50mila bambini
aborigeni e a cui nell’aprile scorso il manifesto ha dedicato un’ampia
inchiesta intitolata «Genocidio canadese».
Da quando la tragedia delle violenze, delle sterilizzazioni, degli stupri e
degli omicidi di bambini nativi nelle scuole residenziali religiose canadesi (su
118 boarding schools, 79 erano cattoliche romane e dipendevano direttamente
dalla Santa Sede) è stata resa pubblica, si sono espressi dubbi, ipotizzando una
campagna di disinformazione o considerando la denuncia alla stregua di una
strumentale esagerazione giornalistica: come si possono definire questi crimini,
sempre che ci siano stati, addirittura un genocidio? E com’è stato possibile che
nessuno tra religiosi, famiglie delle vittime e istituzioni, in tanti anni non
abbiano mai denunciato le torture e gli omicidi perpetrati ai danni di decine di
migliaia di bambini indiani? Ma basta approfondire molti aspetti del vecchio
sistema legislativo canadese per avere le idee più chiare. Ad esempio, la
Federal Indian Act del 1874, tutt’ora in vigore, ribadisce l’inferiorità legale
e morale degli indigeni ed ha istituito il sistema delle scuole residenziali.
Poi la Gradual Civilization Act del 1857, legge che obbligava le famiglie
indigene a firmare un documento che trasferiva alle scuole residenziali
cristiane i diritti di tutela dei loro figli. Se ci si rifiutava c’era l’arresto
immediato oltre a sanzioni economiche. Ma il trasferimento legale dei diritti di
tutela dei minori si trasformava anche in trasferimento dei beni dei bambini
deceduti, così le scuole residenziali hanno lucrato su quelle morti,
appropriandosi di terre che poi rivendevano soprattuto alle multinazionali del
legname.
Nella British Columbia, la Sterilization Law, approvata nel 1933 e tuttora
attiva, ha consentito di far sterilizzare in maniera massiccia e pianificata
qualsiasi ospite nativo delle scuole residenziali. Le sterilizzazioni sono state
di frequente attuate nei confronti di interi gruppi di bambini indigeni quando
questi avevano raggiunto la pubertà, in istituti quali la Provincial Training
School di Red Deer, in Alberta, ed il Ponoka Mental Hospital. Probabilmente è
proprio grazie a queste leggi che, all’interno delle scuole religiose, la
certezza dell’impunità ha permesso che degli orrendi crimini venissero
considerati semplici effetti collaterali di quel sistema.
Secondo un rapporto del dottor Peter Bryce, una buona parte delle morti dei
bambini nativi nelle scuole residenziali avvenne a causa della tubercolosi. Era
pratica corrente, documentata anche da un repertorio di immagini fotografiche,
mescolare deliberatamente bambini sani a bambini malati. Una volta infettatati,
agli ospiti degli istituti non venivano fornite cure ed erano lasciati morire.
Già dal secondo decennio del secolo scorso i giornali canadesi affermavano che
il tasso di mortalità dei bambini indigeni nelle boarding schools era superiore
al 50% di quanti erano obbligati a frequentarle.
Oltre alle decine di migliaia di morti delle scuole residenziali, le conseguenze
di questo genocidio si continuano a manifestare sui sopravvissuti, attualmente
vittime di un contesto di assoluto degrado psicologico, sociale e ambientale, le
cui condizioni sono definite da organismi per la tutela dei diritti umani delle
Nazioni Unite, quelle di «una popolazione colonizzata al limite della
sopravvivenza, con tutte le caratteristiche di una società da terzo mondo».
In merito alle scuse ufficiali dell’11/06/2008 che il presidente del Consiglio
dei ministri, Stephen Harper, ha chiesto a nome del governo canadese per gli
abusi inflitti alle popolazioni indigene, abbiamo domandato all’ambasciatore
canadese a Roma James Fox se ci siano stati degli sviluppi: «La Legge
Finanziaria 2010 del Governo canadese ha annunciato 199 milioni di dollari per i
prossimi due anni per garantire la continuità dei servizi di igiene mentale e
supporto emotivo forniti agli ex studenti e alle loro famiglie, nonché la
tempestività ed efficienza delle erogazioni agli ex studenti», ci hanno scritto
dall’ambasciata, specificando poi che «l’accordo di riconciliazione (Settlement
Agreement) da corrispondere agli ex studenti che hanno risieduto presso una
Scuola Residenziale Indiana, comprende elementi individuali e collettivi per il
risarcimento».
Riguardo al problema delle leggi discriminanti e razziste, dall’ambasciata
canadese aggiungono che «l’11 marzo 2010 il governo ha proposto la legge C-3
sulla parità dei sessi, per adeguarsi ai requisiti stabiliti dalla decisione
della Corte d’Appello della British Columbia. Una volta varata, la legge
consentirà ai nipoti di donne che persero il loro status dopo aver contratto
matrimonio con uomini non-indiani, di potersi iscrivere (con lo status di
indiani) come previsto dall’Indian Act. (…) Siamo consapevoli dell’esistenza di
altre questioni più generiche in materia di iscrizione e associazione. Tuttavia,
onde evitare un vuoto legislativo nella British Columbia, il governo è in
procinto di varare modifiche rispondenti specificamente alla sentenza della
Corte d’Appello della British Columbia (…) Il Ministro ha annunciato che tali
questioni saranno oggetto di un processo congiunto da avviare con varie
organizzazioni aborigene nazionali…».
Nonostante l’impegno del governo canadese riguardo i risarcimenti e la revisione
di alcune leggi, non ci sono ancora giunte chiarificazioni in merito
all’apertura di eventuali inchieste giudiziarie tese a stabilire le
responsabilità dei crimini e degli omicidi avvenuti nelle boarding schools. Vale
a dire che si ammettono i crimini senza che vengano perseguiti coloro che li
hanno commissionati e materialmente eseguiti.
Nessuna risposta è seguita invece alle domande rivolte a papa Ratzinger e ai
vertici vaticani da dodici anziani del Consiglio che rappresentano le nazioni
Cree, Squamish, Haida e Metis. Tra le altre cose, gli anziani del Consiglio
hanno chiesto di «identificare il posto dove sono sepolti i bambini morti,
affinchè i loro resti vengano restituiti ai familiari per una degna sepoltura
(…) Di identificare e consegnare le persone responsabili per queste morti (…) Di
divulgare tutte le prove riguardanti questi decessi e i crimini commessi nelle
scuole residenziali, consentendo il pubblico accesso agli archivi del Vaticano
ed ai registri delle altre Chiese coinvolte (…) Di revocare le bolle pontificie
Romanus Pontifex (1455) e Inter Catera (1493), e tutte le
altre leggi che sanzionarono la conquista e la distruzione dei popoli indigeni
non-cristiani nel Nuovo Mondo (…) Di revocare la politica del Vaticano, in parte
formulata dall’attuale Papa, che richiede che vescovi e preti tengano segrete le
prove degli abusi subiti da bambini indigeni nelle loro chiese invitando le
vittime al silenzio…»