Chiesa e mafie C'è la critica, manca l'autocritica


 di Augusto Cavadi


* Docente di filosofia, saggista, autore del Dio dei mafiosi (San Paolo, 2009)

ADISTA segni nuovi n°31 - 17.4.2010

Il Documento della Cei Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno (v. Adista n. 12/10) si presta a diverse considerazioni. Mi limito a quattro. La prima è di metodo: quando i vescovi affermano di non pretendere di offrire “un profilo risolutore e definitivo” ma di “dare un contributo alla comune fatica del pensare” mostrano maturità teologica e civile. Presentano il volto di una Chiesa che, nelle questioni sociali e politiche, non si arroga monopoli ma accetta di affiancarsi agli uomini e alle donne in cammino nella storia. Anche la seconda considerazione – questa volta di merito – depone a favore del documento: esso condensa alcuni dei punti principali di un programma di governo riformatore e progressista, anti-razzista e anti-mafioso, incentrato sulla legalità formale e sulla giustizia sostanziale. Ma – e qui siamo ad una terza considerazione – questa serietà progettuale viene resa poco credibile da una stupefacente assenza di autocritica. In passaggi cruciali (“Nelle comunità cristiane si sperimentano relazioni significative e fraterne, caratterizzate dall’attenzione all’altro, da un impegno educativo condiviso, dall’ascolto della Parola e dalla frequenza ai sacramenti”) si usa l’indicativo presente (“si sperimentano”) al posto del condizionale (“si dovrebbero sperimentare”): si spaccia per fotografia del reale un sogno solo parzialmente realizzato. Così si evita qualsiasi “esame di coscienza” personale e collettivo: da dove provengono generazioni di amministratori, politici, imprenditori, intellettuali, commercianti, magistrati che, da una parte, si sono proclamati cristiani e cattolici e, dall’altra, hanno alimentato forme di illegalità, di furbizia, di compromesso, di silenzio o addirittura di connivenze? Da quale navicella spaziale (esterna ed estranea al corso effettivo della storia e della cronaca italiane) stanno parlando i vescovi? A quale Chiesa appartenevano cardinali come Ernesto Ruffini o Michele Giordano, arcivescovi come Salvatore Cassisa?

Ma le perplessità che emergono dalle righe del documento si fanno ancora più consistenti se, dal testo, si passa al contesto (come suggerito – anzi, imposto – dal testo stesso). Leggiamo infatti una formulazione efficace tratta dalla Centesimus annus: “Per la Chiesa il messaggio sociale del Vangelo non deve essere considerato una teoria, ma prima di tutto un fondamento e una motivazione per l’azione”. Benissimo. Ma come conciliare questa attenzione ai frutti dell’albero, alla prassi, con messaggi attualissimi quali l’invito del cardinal Bagnasco, presidente della Cei, a privilegiare col voto quei partiti che affermano di voler difendere alcuni principi dell’etica cattolica (quali la condanna dell’aborto); che ne trascurano altri non meno rilevanti (tutti quelli ricordati in questo stesso documento: dall’accoglienza degli immigrati alla solidarietà nazionale) e, in pratica, li calpestano tutti quanti, anche quei pochi che proclamano in teoria (per esempio la morale sessuale)? Come conciliare l’invito a lottare per “la libertà nel e del Mezzogiorno” (inquinato da “omertà, favori illegali consolidati, gruppi di pressione criminale, territori controllati, paure diffuse, itinerari privilegiati e protetti”) con la quotidiana connivenza con singoli politici e con intere formazione partitiche che, nello stesso Mezzogiorno, con una mano sbandierano la militanza cattolica per chiedere voti e, con l’altra, impastano raccomandazioni, tessono complicità, operano truffe? La lista dei politici dell’Udc processati e condannati per reati di mafia (tra i quali un presidente di Regione condannato a sei anni e cinque mesi per favoreggiamento di mafiosi, in primo grado, e a sette anni in secondo grado) è forse la più lunga dall’inizio della Seconda Repubblica (non parliamo, per carità di patria e di Andreotti, della Prima): è logico che né in questo documento né in altre sedi ci sia stata una sola parola di riprovazione da parte dei vescovi?