Addio a De Piaz Frate e partigiano

di Goffredo Fofi

“l'Unità” del 1 febbraio 2010

Alle tre di notte di ieri domenica, è morto a Madonna di Tirano in Valtellina, dove era nato nel 1918

e dove nel 1957 era stato costretto a tornare a vivere da un diktat della curia milanese, padre

Camillo De Piaz, frate dell'ordine dei Servi di Maria. De Piaz non era un cognome da nobili e

Camillo ci teneva a dirlo: significa “di Piazzo”, un villaggio non lontano da dove è nato, figlio di un

falegname-contadino morto quando lui aveva otto anni. In collegio aveva conosciuto un ragazzo

della sua età che sarebbe diventato padre Davide Turoldo, amico di tutta una vita, scomparso molto

prima di lui, e insieme essi furono i protagonisti di una grande stagione del cattolicesimo italiano, o

meglio, della minoranza più autenticamente cristiana all'interno della Chiesa cattolica. Più

d’espressione e di battaglia padre Davide, più di pensiero Camillo.

A Milano, aveva preso parte alla Resistenza nel Fronte della Gioventù, che raggruppava cattolici e

comunisti, socialisti e liberali, ed era stato vicino a Eugenio Curiel, ucciso dai nazifascisti due mesi

prima della Liberazione. Nel 1973, Enrico Berlinguer doveva premiare Camillo (mi scuso di

chiamarlo per nome, ma è così che l’ho chiamato da quando l’ho conosciuto, tantissimi anni fa) con

la medaglia Curiel, e in quell’occasione egli aveva voluto presentarsi in tonaca, come gli accadeva

di fare molto di rado. L’attività della Corsia dei Servi a Milano - gruppo e libreria tuttora attivi,

anche dopo la scomparsa di due magnifici animatori come Mario Cuminetti e Lucia Pigni, nella

sede di via Tadino che fu data alla Corsia dalla Cisl dopo che era stata sloggiata dalle adiacenze

della centralissima piazza San Babila, a due passi dalla Casa della Cultura - è stata fondamentale

nella vita civile, culturale e politica della città sin dal primo dopoguerra, luogo d’incontro tra i più

straordinari negli anni della ricostruzione. Di lì sono passati Dossetti e don Zeno, Dolci e Vittorini,

Fortini e Balbo, Camilla Cederna e Testori, padre Balducci e Santucci, su fino a Grazia Cherchi e a

molti dei “Piacentini” e a tanti non credenti a fianco dei credenti, uniti da comuni idealità sociali.

C’è un bellissimo libro che si può dire sia stato scritto a quattro mani da Camillo con Giuseppe

(Beppe) Gozzini che lo ha firmato (e che, prima di diventare membro dei “Quaderni rossi” e

animatore di gruppi operai all'Alfa Romeo dopo il ‘68, fu il primo obiettore di coscienza cattolico,

quello per cui don Milani rischiò la galera per aver scritto in sua difesa L'obbedienza non è più una

virtù). Il libro si intitola Sulla frontiera, lo ha edito Libri Scheiwiller nel 2006 ed è facilmente

rintracciabile: un dialogo serrato attraverso il quale è possibile ricostruire le vicende del meglio

della cultura cattolica italiana più radicale, illuminando i suoi legami con la Francia, le nuove

tensioni portate dalla teologia della liberazione, il grande apporto dato da questa cultura al Concilio

e le amarezze provocate in essa dal dopo Concilio.

Camillo parlava molto chiaro, e non ha mai esitato a criticare aspramente Comunione e Liberazione

e ogni altro uso della religione a scopi politici. In una intervista a “Una città” del 2005 diceva: «La

dimensione della laicità è profondamente radicata nel cristianesimo e direi anche nella tradizione

biblica, La Bibbia è fondamentalmente una storia che si svolge in questo mondo. Dio dopo la

creazione si ritira, ed è come se dicesse: il mondo è vostro, ora tocca a voi gestirlo».

Ho frequentato Camillo assiduamente, quando scendeva a Milano, anche perché la libreria di via

Tadino a cui faceva capo era a mezza strada tra casa mia e la redazione di “Linea d'ombra” e vi

passavo davanti più volte al giorno e, quando c’era, era l’occasione di lunghe chiacchierate e giri

d’orizzonte. Di recente, ho preso parte ai festeggiamenti per il suo 90° compleanno, a Milano, credo

la sua ultima discesa nella città. Ormai non si muoveva più da Madonna di Tirano, aveva problemi

alla vista, e i suoi contatti col mondo erano Radio3 e le telefonate degli amici. Era diventata

un’abitudine chiamarlo ogni qualche domenica per lunghe chiacchierate affettuose in cui voleva

sapere di tutto, dalla situazione politica ai libri letti agli amici incontrati. Le telefonate più belle

sono, nel mio ricordo quelle che gli facevo immancabilmente ogni 25 aprile, così come ho fatto da

anni a tutti gli amici che avevano fatto la Resistenza, Nuto Revelli, Bianca Guidetti Serra, Lalla

Romano e tanti dai nomi non noti. Ben pochi di loro restano in vita, ma proprio per questo vanno, i

vivi onorati, i morti, ricordati. Anche perché di frati come padre Camillo De Piaz non ne restano in

giro molti, nell’Italia di oggi.