I signori dei dossier
di GIUSEPPE D'AVANZOLa repubblica del 8 ottobre 2010
Bisogna ascoltare la
vittima. Interrogata, Emma Marcegaglia dice: "Ho sicuramente
percepito l'avvertimento come un rischio reale e concreto per la
mia persona e per la mia immagine (...) Il Giornale era piccato
sia per le mie dichiarazioni contro l'operato del governo sia,
soprattutto, per il fatto che io stessa e Confindustria ci siamo
sempre filati poco il Giornale (...) Non mi era mai capitato che
un quotidiano tentasse di coartare la mia volontà con queste
modalità". Le modalità ora sono note. La presidente di
Confindustria in agosto critica in più occasioni il governo. La
macchina del fango (l'abbiamo vista al lavoro e denunciata da un
anno a questa parte) si prepara a travolgerla se non corregge il
suo pensiero. La "sventurata" non si corregge.
Al Giornale della famiglia Berlusconi raccolgono dunque un
dossier (così annuncia il vicedirettore) e si preparano
all'abituale rito di degradazione a meno che non ci sia -
ultima chance - un passo indietro della Marcegaglia, un
pubblico ripensamento magari in un'intervista concessa al
giornale che vuole umiliarla per "venti giorni di seguito".
Quel che conta è quella formula: "coartare la mia volontà", come
dice la Marcegaglia. Sono parole che separano il diritto-dovere
di informare e ogni possibile modello di giornalismo da un
giornalismo degradato a minaccia e calunnia. Un pessimo,
miserabile giornalismo che non informa, ma deforma; un alambicco
venefico a uso politico che non si assegna l'incarico
di rendere più consapevole la volontà dei propri lettori,
ma di screditare i non conformi al potere, di condizionarne la
volontà, le parole, le decisioni. Chi parla oggi di libertà di
stampa, dinanzi agli "avvertimenti" contro la Marcegaglia, agli
ascolti telefonici subiti dal direttore e vicedirettore del
Giornale, alle perquisizioni in redazione, nasconde il nodo che
va sciolto. In gioco non è la libertà dell'informazione, ma
semplicemente e più drammaticamente la libertà dei cittadini
spaventata, aggredita dall'informazione controllata direttamente
dal potere politico e diventata il manganello che disfa chi
dissente, la sua vita, la sua reputazione, il suo futuro. La
questione trasferita nel terreno giuridico trova un'etichetta:
violenza privata, una fattispecie che appare inadeguata ai
comportamenti spietati e distruttivi che indica, alla violenza
che designa. E comunque è di questo che discutiamo: di "un
delitto contro la libertà morale, intesa come libertà
dell'individuo di determinarsi spontaneamente e liberamente".
Ancora un volta, non tiene conto discutere dei sicari, di chi
materialmente si è incaricato e s'incarica del lavoro sporco
(sono pagati per farlo, lo fanno: che dio li perdoni). È più
rilevante ricordare quanti delitti contro la libertà morale sono
stati commessi in quest'ultimo anno; chi li ha commissionati e
perché; quali sono le conseguenze per la nostra libertà, per la
nostra democrazia. Bisogna indicare, allora, il mandante perché
un responsabile di questo metodo - che ha trasformato la
politica in scandalo, il giornalismo in killeraggio, l'uso di
informazioni distruttive in strategia per prevalere nella
contesa politica punendo i dissidenti - c'è. Ha un nome. È
Silvio Berlusconi.
Le sue impronte digitali sono dovunque. A cominciare dall'inizio
di questa storia. Luglio 2009. Berlusconi non è messo bene.
Scombussolato dalla commistione tra boudoir e selezione della
classe dirigente politica, travolto da una minorenne che
confessa come e quando "Papi" le ha promesso o la ribalta dello
spettacolo televisivo o un seggio in Parlamento come custode
della volontà del popolo sovrano, il Cavaliere programma una
"campagna di autunno". Promette che replicherà "colpo su colpo".
Decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti,
tutte le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato
con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di
nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi dipendenti
che gli appaiono mosci, deboli. Vuole sicari pronti a sporcarsi
le mani. Li sceglie. Li nomina. È il padrone di un'industria di
notizie di carta e di immagini che muove come vuole. È anche il
presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza
(già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti
pianificare la demolizione dei "nemici in toga"). La
sovrapposizione dei tre poteri (politico, economico, mediatico)
può essere letale. Deve esserlo. Chiede e raccoglie nelle sue
mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false,
sudice, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il
programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle
informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai
giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio
pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali
docili o intimiditi. Questo è il metodo.
Gli avversari, autentici o immaginati, cominciano a cadere come
birilli. La prima a farne le spese è Veronica Lario, moglie
ribelle. La ritraggono a seno nudo. Le attribuiscono un amante.
È un'adultera. Segue il direttore dell'Avvenire, Dino Boffo. È
colpevole di aver dato voce all'imbarazzo delle parrocchie per
la vita disonorevole del premier. Il sicario del Giornale lo
aggredisce con una falsa informativa giudiziaria. Gli grida
contro: sei un omosessuale. Quel delitto avviene sotto gli occhi
di tutti. Anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la
loro arrendevolezza fingono di non vedere e tacciono. Il
silenzio colpevole e complice consente a Berlusconi di
abbandonare ogni scrupolo, di dispiegare contro i suoi avversari
le pratiche e le tecniche di un potere che rinuncia ad ogni
legittimità per mostrarsi come pura violenza. Il dispositivo
liberato di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo
democratico, dopo Boffo il giornalista, investe Mesiano il
giudice. Lo spiano e lo calunniano le telecamere di Canale5.
Tocca poi al presidente della Camera, Gianfranco Fini,
responsabile di un civile dissenso politico. Lo minacciano di
"uno scandalo a luci rosse" se "non rientra nei ranghi". Il
presidente della Camera non rientra nei ranghi. Al contrario,
spiega in pubblico con più decisione le ragioni del suo
dissenso. Gli assestano la lunga bastonatura dell'appartamento
di Montecarlo in affitto al cognato. Contro questo avvilimento
della politica e del governo alza la voce Emma Marcegaglia.
Contro di lei si prepara la furia dei sicari...
Sempre dietro queste manovre ricattatorie appare Berlusconi. È
lì in prima persona. Lo si scorge ancora - se ricordate -
nell'affare Marrazzo. È al Cavaliere che viene consegnato il
video del ricatto. Invita il governatore a comprarselo non a
denunciare i ricattatori. Trattiene le immagini per sé:
avrebbero potuto tornare utili in campagna elettorale. Si
avvista la presenza del Cavaliere nel dossier che, dentro il
Popolo della libertà, preparano per schiacciare Caldoro,
governatore della Campania. Gli viene presentato quel documento.
Il Cavaliere non se ne scandalizza. E d'altronde, per andare
indietro di qualche anno, riceve nelle sue mani i nastri delle
intercettazioni tra Fassino e Consorte. Li ascolta ad Arcore e a
chi glieli consegna il premier dirà: "Come posso sdebitarmi per
questo prezioso regalo"? L'utilità politica di
quell'intercettazione è così evidente che il Giornale di
famiglia - chi altro? - la pubblicherà sette giorni dopo.
Se, dunque, si rimettono in sesto i ricordi, la violenza
inflitta a Emma Marcegaglia per "coartare la sua volontà"
sorprende soltanto gli ipocriti che non vogliono vedere come una
macchina del fango dove si concentrano potere politico,
economico e mediatico mette in pericolo la nostra libertà. Quel
che ci viene periodicamente rivelato (Lario, Boffo, Mesiano,
Marrazzo, Fassino, Caldoro, Fini, Marcegaglia) è - come ci è
parso chiaro da tempo - un sistema di dominio che spaventa,
che minaccia l'indipendenza delle persone, l'autonomia del loro
pensiero e delle loro parole. È una tecnica di intimidazione che
minaccia la libertà di chi dissente o di chi si oppone all'uomo
che governa. È, più semplicemente, un attentato alla libertà