"Così il cardinale Ratzinger prese di mira i progressisti e lasciò impuniti i pedofili"
Federico Rampini
“la Repubblica” del 3 luglio 2010
Joseph Ratzinger, quando da cardinale dirigeva la Congregazione per la dottrina della fede, fu «parte di una cultura di non-responsabilità, negazionismo, e ostruzionismo della giustizia» di fronte agli abusi sessuali commessi da sacerdoti. Lo afferma il New York Times sulla base di documenti interni alla Chiesa, interviste a vescovi ed esperti di diritto canonico. Dal reportage emerge una versione molto diversa, sul ruolo di papa Benedetto XVI, rispetto alla descrizione ufficiale fornita dalla Chiesa. Tra le rivelazioni spunta un vertice segreto avvenuto in Vaticano nel 2000 tra Ratzinger e i vescovi delle nazioni anglofone più colpite dagli scandali di pedofilia: Stati Uniti, Irlanda, Australia.
Secondo il vescovo Geoffrey Robinson di Sidney, che partecipò all´incontro segreto, Ratzinger «impiegò molto più tempo a riconoscere il problema degli abusi sessuali, rispetto a quel che fecero alcuni vescovi locali». Nell´intervista al New York Times il prelato australiano si chiede: «Perché il Vaticano era così tanti anni indietro?». Il New York Times smonta la linea di difesa che la Santa Sede ha tenuto sull´attuale pontefice. Il Vaticano ha descritto come una svolta la decisione del 2001 di dare alla Congregazione diretta da Ratzinger l´autorità di semplificare le procedure e affrontare direttamente i casi di pedofilia. Dopo quella decisione, annunciata con una lettera apostolica di Giovanni Paolo II, il cardinal Ratzinger sarebbe emerso come uno dei più coraggiosi nel riconoscere la minaccia degli abusi sessuali per la reputazione della Chiesa. Tutto questo viene confutato nella ricostruzione del giornale americano. In realtà la Congregazione aveva già gli stessi poteri dal 1922, secondo diversi esperti di diritto canonico interpellati. La lettera del 2001 non segnò affatto una svolta. Al contrario, la Chiesa si decise ad agire solo in grande ritardo, sotto la pressione di alcuni vescovi anglofoni in prima linea negli scandali.
«Per i due decenni in cui ebbe la guida della Congregazione», scrive il New York Times, «il futuro Papa non esercitò mai quell´autorità. Evitò di intervenire anche quando le accuse e i processi stavano minando la credibilità della Chiesa in America, Australia, Irlanda, e altri Paesi». Ancora oggi, prosegue l´articolo, «molti decenni dopo che gli abusi sessuali da parte dei sacerdoti sono diventati un problema, Benedetto XVI non ha istituito un sistema di regole universali» per affrontarlo. Al contrario permane tuttora «una confusione dilagante tra i vescovi, sul modo di affrontare le accuse». Eppure i segnali d´allarme per il Vaticano vengono da lontano. Nel 1984 il reverendo Gilbert Gauthé di Lafayette, Louisiana, ammise di avere molestato 37 minorenni. Nel 1989 uno scandalo enorme scoppiò in un orfanatrofio cattolico del Canada. Nella prima metà degli anni Novanta 40 fra preti e monaci australiani erano sotto processo per abusi sessuali. Nel 1994 cadde un governo in Irlanda per avere negato l´estradizione di un prete pedofilo. A quel tempo il cardinal Ratzinger aveva consolidato la sua autorità al vertice della Congregazione, dove era stato nominato nel 1981.
«È lui», sottolinea il New York Times, «che avrebbe potuto avviare azioni decisive negli anni Novanta, per impedire che gli scandali diventassero una metastasi, diffondendosi da un Paese all ´altro». Ma le sue priorità erano altre. Fin dal 1981 Ratzinger aveva identificato «la minaccia fondamentale per la fede della Chiesa»: la teologia della liberazione, il movimento dei preti progressisti che si stava affermando in America latina. «Mentre padre Gauthé (il pedofilo, ndr) veniva processato in Louisiana, il cardinal Ratzinger stava sanzionando pubblicamente i preti del Brasile e del Perù per aver sostenuto che la Chiesa doveva impegnarsi a favore dei poveri e degli oppressi. I suoi strali colpirono poi un teologo olandese favorevole a dare funzioni ecclesiali ai laici, e un americano che sosteneva il diritto al dissenso sull´aborto, il controllo delle nascite, il divorzio e l´omosessualità». Per reprimere ogni velleità di autonomia delle Chiese nazionali, Ratzinger usò la sua autorità per affermare che le Conferenze episcopali «non hanno un fondamento teologico, non appartengono alla struttura della Chiesa». Un´offensiva fatale, scatenata proprio nella fase in cui alcune conferenze episcopali nei Paesi anglofoni avevano cominciato ad affrontare gli scandali in modo aperto, e chiedevano di poter sanzionare i preti pedofili senza aspettare le lungaggini dei processi canonici.