Ipazia, quando talebani erano i cristiani
di Silvia Ronchey
“La Stampa” del 14 aprile 2010
E’ un tempo, il nostro, di crististi e teocon, in cui agli
opposti estremismi si sono sostituiti, o sommati, gli opposti spiritualismi.
L’onda d’urto della caduta del muro di Berlino ha provocato, negli orfani
delle ideologie, un fall out di conversioni alla confortante forza
dell’autoritarismo ecclesiale. C’era urgente bisogno che la laicità si
procurasse un simbolo: un’icona degli ideali di tolleranza, di non faziosità,
di rifiuto delle fedi e delle ideologie pervasive.
L’ha trovato in un’eroina di quindici secoli fa: la filosofa Ipazia,
matematica e astronoma, cattedratica nell’antica accademia platonica di
Alessandria, massacrata dal fanatismo della prima Chiesa cristiana, celebrata
in un crescendo di libri, biografie, spettacoli. E tuttavia la sua storia,
narrata dallo spagnolo Alejandro Almenábar in un film campione d’incassi,
Agorà, rischiava di non essere mai visibile in Italia, Stato laico sulla
carta ma ancora e sempre condizionato dall’esistenza al suo interno di
quello della Chiesa. Nell’autunno scorso, un appello per la sua
distribuzione aveva raccolto molte firme, a riprova che l’opportunismo non
è un fenomeno di massa e che la maturità politica dei cittadini, non solo
laici ma anche cattolici, è maggiore di quella di chi gestisce il potere, in
questo caso culturale.
Fatto sta che il veto, pur non esplicito, è caduto, e il film uscirà il 23
aprile. Per l’imbarazzo della Chiesa, che vi vedrà un proprio vescovo, e in
seguito santo, Cirillo di Alessandria, presentato come un fanatico terrorista,
un violento e un assassino, e i propri adepti non dissimili ma anzi
volutamente assimilati agli integralisti islamici: nei tratti stereotipi, nei
comportamenti, nei discorsi e perfino nell’accento. Un geniale
rovesciamento: i primi cristiani equiparati alle fasce estreme di
quell’Islam che l’odierna propaganda cristiana avversa estendendo alla
religione stessa l’accusa di «intrinseca malvagità».
In effetti, quando nel 392 Teodosio emanò una legge speciale contro i culti
pagani nel tollerante Egitto, i quadri dirigenti del Cristianesimo, divenuto
religione di Stato, intrapresero una mobilitazione punitiva proprio nella
capitale della cultura ellenica dov’era nata e insegnava Ipazia.
All’origine dell’ostilità di Cirillo era, più che la misoginia o
l’odio confessionale, l’invidia - specifica il bizantino Suidas - per la
sua influenza politica. Era una partita a tre quella che si giocava per il
potere ad Alessandria tra l’antica élite pagana, stretta alla
rappresentanza del governo imperiale, i dirigenti cristiani che volevano
soppiantarla e la comunità giudaica, prima lobby dominante, ora gruppo di
pressione rivale. Il primo atto dell’episcopato di Cirillo fu il pogrom
antiebraico, che precederà l’attacco all’establishment pagano, incarnato
in Ipazia.
Contro il doppio obiettivo, Cirillo aveva strumentalizzato le frange
intolleranti del deserto di Nitria, «cui si dava nome di monaci ma che tali
in realtà non erano», scrive Eunapio, bensì fanatici miliziani «che
apertamente compivano e assecondavano crimini innumerevoli e innominabili».
Questi talebani che avevano già distrutto e saccheggiato il Serapeo
vent’anni prima, sotto Teofilo, zio e predecessore di Cirillo, sono gli
stessi che tenderanno un agguato al corteo di Ipazia e la trucideranno «spogliandola
delle vesti, facendola a brandelli con cocci aguzzi e spargendo per la città
i pezzi del suo corpo brutalizzato», secondo lo storico cristiano Socrate; «incuranti
della vendetta divina e umana», aggiunge il pagano Damascio.
La rappresentazione della violenza fondamentalista dei parabalani cristiani
del futuro monofisita Cirillo è il punto di forza del film. Il suo maggiore
merito è quello di far riflettere sulla vocazione estremista e sugli eccessi
della Chiesa alle origini del suo potere, riaccendendo un dibattito diffuso
nei secoli in cui un’intellettualità ecclesiastica esisteva e discuteva.
Perché nell’immensa fortuna storica e letteraria della vicenda di Ipazia,
cavallo di battaglia dell’anticlericalismo illuminista da Voltaire a Gibbon,
ha avuto un ruolo più che ampio la cultura ecclesiastica, anche ma non solo
riformata: se il primo editore delle fonti sul suo assassinio fu il
protestante Wolf e il suo più appassionato difensore l’anglicano Kingsley,
è stata quasi tutta cattolica la rievocazione letteraria di Ipazia, dalla
torinese Diodata Saluzzo Roero a Leconte de Lisle, da Péguy a Luzi.
In campo erudito, con la rilevante eccezione del giansenista Tillemont,
prudente e giustificatorio, l’ala modernista del cattolicesimo ha analizzato
spregiudicatamente le cause politiche del misfatto di Cirillo. E ha anche
chiarito la reale personalità di Ipazia. Il suo profilo e il suo sacrificio,
così importanti nella storia della politica e del pensiero, nel film sono
accattivanti ma troppo semplificati, fino a essere tacciabili di quello stesso
ideologismo di cui la figura dell’antica filosofa dovrebbe essere la
negazione. Se vogliamo davvero renderle omaggio, invece, non dobbiamo perdere
l’occasione di leggere la sua storia in modo non settario, ma autenticamente
laico.