intervista
a Hans Küng, a cura di Jérôme Anciberro
in
“Témoignage Chrétien” n° 3383 dell’11 febbraio 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
Eminente protagonista
dell’avventura teologica del XX secolo, il teologo cattolico Hans Küng
continua i suoi lavori in un XXI secolo già ben avanzato. In parallelo con le
sue attività teologiche e filosofiche, da una decina d’anni ha iniziato a
scrivere le sue memorie. Queste ultime stanno diventando un documento
eccezionale, tanto per la sua storia che per la storia della Chiesa.
L’incontro è avvenuto in occasione della pubblicazione in francese del
secondo tomo di una ricchissima opera.
Sto scrivendo il terzo
volume delle mie memorie. La mia vita è diventata ancora più ricca a partire
dal momento in cui la gerarchia cattolica mi ha comunicato che mi toglieva la
missione canonica di insegnamento. Ripensandoci, credo che quella sia stata una
liberazione. Certo non l’ho vissuta così in quel momento. La battaglia è
stata dura e le sofferenze molto reali. Ma in seguito mi sono reso conto che
l’essenziale era salvo e che potevo continuare a lavorare correttamente: una
cattedra all’università statale di Tubinga, un istituto di studi ecumenici,
ottimi collaboratori, la possibilità di insegnare al di fuori della facoltà di
teologia cattolica. E in più, non ero più obbligato a partecipare a certe
riunioni amministrative né a far sostenere gli esami...
La mia intenzione non è
di limitarmi a raccontare la mia vita. Sono un testimone privilegiato della
storia della teologia cattolica ed ecumenica del XX secolo. Ho partecipato a
molte cose, all’ultimo concilio, naturalmente, ma non solo. Ad esempio, la
messa in parallelo della mia vita con quella di Joseph Ratzinger, che fa parte
della mia stessa generazione e che è stato mio collega all’università di
Tubinga, è senza alcun dubbio istruttiva per chi cerca di capire l’evoluzione
recente della Chiesa cattolica. Cerco di comunicare al maggior numero possibile
di persone una storia che non si troverà necessariamente nei libri dei teologi
e degli storici di corte. Mi dedico in particolare a mostrare come funzionano le
cose dietro le quinte.
Per niente. Non ho nulla
di un contestatore e non ho mai cercato il conflitto. Non è nel mio
temperamento. Mi considero un rappresentante del giusto mezzo, che certo mette
l’accento sulla riforma. Per essere ancora più preciso: non sono “a
sinistra” né in politica né nella Chiesa. All’epoca di papa Giovanni XXIII,
facevo parte di un movimento di rinnovamento teologico che incarnava le
aspirazioni della maggioranza dei teologi e dei responsabili di Chiesa, compreso
Joseph Ratzinger. Mi sono limitato a
continuare la mia vita e i miei lavori in maniera coerente con le mie
aspirazioni. Ma la Curia, invece,
non ha mai accettato realmente il rinnovamento conciliare, che minacciava il suo
potere. Ha cercato di mantenere il controllo. E ci è riuscita, almeno per
quanto riguarda l’apparato ecclesiale propriamente detto, che è stato messo
al passo. Per parte mia, mi ritengo solo un teologo cattolico ordinario che ha
fatto il suo lavoro, malgrado le pressioni di un apparato romano oggettivamente
reazionario nel suo funzionamento. Appaio come un contestatore agli occhi di
questo apparato solo perché non ho mai voluto scrivere o dire delle cose che
non pensavo. Ma se a tutti i costi si vuole farmi dire che faccio parte di
un’opposizione, allora è una “opposizione leale a Sua Santità”, per
riprendere la famosa espressione britannica: Her Majesty’s Loyal Opposition...
Il controllo sui vescovi
è assoluto. Anche quelli che, in privato, ammettono di pensare le stesse cose
che penso io, ad esempio sul celibato dei preti, sull’ordinazione delle donne
o sull’ecumenismo reale, in pubblico tacciono. Voialtri giornalisti lo sapete
bene... I vescovi hanno paura di perdere il posto e quelli che vogliono
diventare vescovo hanno paura di perdere le loro opportunità. È umano.
Quel che è triste è che, tacendo o accontentandosi di ripetere ciò che
viene loro detto di dire, la loro parola ha perso influenza sulla società. Chi
si preoccupa di ciò che racconta un vescovo oggi? In certi paesi, ad esempio in
Francia, più nessuno li ascolta. La stampa riferisce i loro discorsi a puro
titolo di curiosità. Le ricordo che al Concilio Vaticano I (1870)
l’episcopato francese se n’era andato per protestare contro la formulazione
del dogma dell’infallibilità. Al Concilio Vaticano II, i francesi erano una
delle punte del rinnovamento... In teologia, il controllo romano è meno
diretto, ma se un teologo cattolico pretende di lavorare liberamente su certi
temi, molto presto sarà ripreso. Quarant’anni
fa la situazione era molto migliore. Anche quando erano molto vivaci, delle
discussioni vere, argomentate e razionali potevano svolgersi pubblicamente
proprio in seno alla Chiesa.
In Francia, forse. Ma
nella maggior parte dei paesi occidentali i miei libri trovano ampiamente il
loro pubblico. E suppongo che, malgrado tutto, tra i miei lettori qualche
cattolico ci sia. Comunque sono presente nel dibattito. Constato che basta che
io pubblichi un articolo su un grande quotidiano perché gli ambienti cattolici
conservatori si mettano a gettare strali e perché le autorità romane si
sentano obbligate a reagire. È così. Ma rassicuri i suoi lettori: non passo il
tempo a criticare la mia Chiesa. L’ho ripetuto spesso: “critica della
Chiesa” non è un mestiere. Io sono un teologo cattolico, e i miei libri sono
a disposizione di coloro che vogliono prendersi la pena di leggerli. Le confesso
una cosa: in questo momento mi interesso molto di più dei problemi dell’etica
planetaria che dell’etica sessuale portata avanti dal papa...
Sa, nel Medio Evo ci
sono anche state delle persone che hanno scacciato dei teologi un po’ troppo
moderni dalle università e che hanno sinceramente pensato di aver risolto il
problema. Chi fa questo tipo di discorso oggi? Un certo genere di cattolici che
detengono il potere nell’istituzione. Ma guardiamoci attorno: che cosa
rappresentano in confronto al mondo? Non granché. Per me è una prova ulteriore
dell’isolamento di un certo ambiente cattolico, in particolare ecclesiastico,
che non ha ancora compreso che certi cambiamenti sociali e culturali del XX
secolo erano irreversibili e che ciò obbligava a ripensare la maniera di
annunciare il Vangelo e quindi di viverlo nell’istituzione stessa. Gli
ambienti romani e quelli che vi si collegano sono rimasti a quello che potremmo
chiamare il paradigma medioevale del cristianesimo, quello della riforma
gregoriana dell’XI secolo, caratterizzata da un centralismo romano
precedentemente sconosciuto. Ma ci sono altri paradigmi possibili: il paradigma
giudeo-cristiano dei primi tempi della Chiesa, il paradigma ecumenico
ellenistico del tempo dei Padri della Chiesa, il paradigma della Riforma, quello
dell’Illuminismo, e infine quello della postmodernità. Ragionare a partire da
uno solo di questi paradigmi significa rinchiudersi.
Successo con chi?
Francamente, lei ha l’impressione di assistere ad un’ondata di
evangelizzazione nelle nostre società? Non ho niente contro quei movimenti di
evangelizzazione, compresi i carismatici. Tra di loro ci sono diverse persone
molto serie. Anch’io sono stato all’origine del passaggio sui carismi nella
costituzione sulla Chiesa del Vaticano II. Per principio, li sostengo. Ma se
trascurano la riforma della Chiesa, sono condannati a restare tra loro. I loro
giovani possono ben gridare “Benedetto, Benedetto” al passaggio della
papamobile alle GMG, ma questo non cambierà granché al problema.
Condivido una grande
parte della sua critica sui pericoli del libertinismo morale, del relativismo
dei valori, del consumismo e del materialismo. Ma non vedo veramente in che cosa
l’assolutismo romano possa fare da contrappeso a questi problemi di fondo e in
che modo la proibizione di prendere la pillola, le condanne di ogni tipo di
aborto, del matrimonio dei preti, dell’ordinazione delle donne o
dell’eucarestia comune con gli altri cristiani potrebbe migliorare la
situazione e incitare le persone a rivolgersi al Vangelo.
Di quale Tradizione
parla? Il celibato ecclesiastico, per prendere anche solo questo esempio
emblematico, è un prodotto dell’XI secolo e della riforma gregoriana, come il
clericalismo forzato e il papacentrismo. Quella Chiesa non esisteva nel primo
millennio, si è imposta solo dopo. Basta studiare un po’ la storia della
Chiesa per rendersene conto. In realtà, tutti lo sanno, ma continuano a fare
come se niente fosse. Ancora una volta, non si può fare del paradigma
medioevale romano la fonte ultima della tradizione cattolica. Non è una cosa
seria. Bisogna saper distinguere tra i pregiudizi e la Tradizione. Me lo ha
insegnato Padre Congar, consigliandomi di studiare bene l’XI secolo per capire
le cause di certi blocchi della Chiesa. Per quanto mi riguarda, mi sembra di
aver preso in considerazione nei miei lavori l’insieme della tradizione della
Chiesa.
Coloro che hanno il
potere spiegano sempre che non è un problema di potere. Nella Chiesa cattolica,
ci viene ripetuto che tutti partecipano: i laici, le donne... Ci si dice che i
vescovi e i cardinali sono soltanto... “umili servitori nella vigna del
Signore”. Intellettualmente e spiritualmente è molto bello. Ma nei fatti,
queste persone sono evidentemente i signori. Non per niente si utilizza
l’espressione “Monsignore”. Le sembra che suoni in maniera biblica
“Monsignore”? Ancora una volta, è medioevale. L’argomento del servizio
non è un argomento onesto. È solo una tattica per evitare la discussione.