LA CHIESA E IL LUPO
Aldo
Bodrato
da “il foglio” mensile di alcuni cristiani torinesi n°367 dicembre 2009
Man mano che ci si è allontanati dagli ultimi bagliori mediatici del pontificato di Giovanni Paolo II nella chiesa gerarchica è venuta crescendo la sindrome da accerchiamento.
Potremmo
individuarne i momenti salienti in tre episodi. La dichiarazione con cui papa
Ratzinger ha risposto alle critiche mosse alla sua improntitudine pastorale e
dottrinale nel caso dei lefevriani, quando ha dichiarato che la Chiesa si era
trasformata in una canea. Sono seguite poi le lamentazioni per le osservazioni
rivolte dai pubblici poteri internazionali alle sue estemporanee divagazioni
sull'uso dei preservativi nella lotta all'Aids. Ma il colpo di grazia è venuto
dal caso Boffo, che ha dimostrato che neppure dei rappresentanti della destra
italiana, al solito così ossequienti verso le posizioni magisteriali, ci si
poteva fidare, perché anche di lì potevano venire attacchi quanto mai violenti
alla chiesa, attacchi a cui essa non sapeva reagire se non dolendosi e
piegandosi.
Così
oggi non è più solo il papa che si straccia le vesti per lesa maestà, ma sono
i suoi portavoce vaticani e italiani, che denunciano di essere vittime di una
sorta di generale odio anticattolico e non si accorgono che questo è indice,
non solo di paura, ma di vera e propria perdita di autorità e di credibilità.
Accettare
di non essere più maggioranza
Amici
teologi e semplici credenti stranieri ci fanno sapere che tutto ciò non li
tocca, che del papa e delle questioni romane le loro comunità hanno imparato a
fare a meno e a camminare con le proprie gambe. Reagiscono solo se aggredite
direttamente e le loro reazioni sono ormai di estrema durezza.
In
Italia siamo invece allo sbando, nella piena confusione e demoralizzazione.
Tacere e subire, cercare scappatoie nel chiuso della propria piccola comunità
di parrocchia o di gruppo è diventata la prassi più comune per preti e laici
impegnati. Gli altri piegano la testa, fanno orecchio da mercante e vivono
quello che ormai molti teologi e sociologi chiamano «lo scisma sommerso».
Stiamo
tornando agli anni del pre-concilio, quando una chiesa di potere, alleata con le
forze politiche dominanti, gridava ad alta voce le proprie rivendicazioni, e la
chiesa del «popolo di Dio» taceva e operava nel silenzio. Con alcune
differenze, però. La prima è che gli elementi comuni del credo cristiano erano
allora largamente diffusi e frammentariamente condivisi, mentre oggi sono ormai
evanescenti negli ultracinquantenni e quasi del tutto assenti tra gli adulti e i
giovani. La seconda che il cattolicesimo non è più la sola religione presente
in Italia, ma si è ridotta ad essere una delle diverse voci religiose, priva di
quel peso che le derivava dalla convinzione diffusa che rappresentasse la
maggioranza della popolazione.
Conseguenza
di ciò, della presa d'atto di essere ormai minoranza, della fine irreversibile
della cosiddetta «società cristiana», con la conseguenza che tutti i suoi
tradizionali segni di presenza e predominio sociale sono messi in discussione,
compreso il quasi monopolio dell'8 per mille, è un'aggravarsi delle tendenze
regressive. La gerarchia, invece di sentirsi spinta a mobilitare la propria
coscienza critica e la propria intelligenza alla ricerca di linee pastorali e
dottrinali adeguate alla nuova situazione sociale e culturale, diventa ogni
giorno più aggressiva e lavora alla sostituzione dei fondamenti evangelici del
cattolicesimo col richiamo alla tradizione culturale e a un ipotetico «diritto
naturale», di cui la ragione universale, nella sua sola versione ecclesiastica,
avrebbe la giusta chiave interpretativa. Infine, non in ultimo, ricorre
all'auto-celebrazione.
Moltiplica
a destra e a manca le grida «Al lupo! al lupo!». Vede dovunque laicismo
anticlericale, relativismo distruttivo, anticristianesimo preconcetto. Dichiara
che l'obbedienza agli insegnamenti vaticani è l'unica salvaguardia della vita
sociale e la chiesa gerarchica il vero pilastro portante di questo mondo civile
(si legga: Occidente). Non risponde argomentativamente alle critiche. Le
demonizza e intanto si galvanizza nella autosantificazione, elevando agli altari
tutti o quasi i suoi ultimi papi, come se il fatto stesso di assurgere ai
vertici ecclesiastici fosse diventato il più alto indice di perfezione
cristiana, come se compito della chiesa fosse proclamarsi santa, invece che
annunciare il vangelo a tutti gli uomini della terra.
Per
il resto lascia che la pastorale quotidiana affondi nel malessere e nella
disorganizzazione. La formazione cristiana dei giovani e degli adulti fa acqua
da tutte le parti. Si compiace degli atei devoti, del consenso delle destre al
potere, e respinge, come attacchi alla sua dignità, ogni osservazione che venga
da credenti, laici, religiosi, più o meno teologicamente formati e
spiritualmente o socialmente impegnati. Ad evitare ogni critica interna, ogni
nuova nomina a ruoli di guida ecclesiale è fatta in modo da garantire i nodi
chiave del potere ai fedelissimi dell'ex sant'ufficio, già portaborse di
Ratzinger.
Tutto
ciò è spacciato per rinascita del religioso, mentre, ogni giorno, un paesino
della provincia, tanto del Nord, quanto del Centro Sud, perde il suo parroco, la
sua associazione religiosa, il suo, ormai sparuto, nucleo di credenti attivi. E
questo, nonostante sia finito il tempo dello spopolamento delle campagne e,
anzi, in molti di questi luoghi il numero dei residenti ricominci a crescere.
Roma
provvede recuperando i lefevriani, il latino, i pastori anglicani
tradizionalisti, propagandando il ritorno all'antico, come se questo non
aggiungesse confusione a confusione, non creasse situazioni sempre meno
gestibili sul piano operativo dalle diocesi, non allontanasse ulteriormente la
gente comune dalle chiese e dalla possibilità di accostarsi alla parola
evangelica, al messaggio di speranza e di salvezza della Bibbia.
Minoranze
cristiane all’interno della chiesa cattolica
Non
ci sono segni di speranza? Crediamo di sì, molti e profondi, anche se dispersi,
isolati e, per ora, impotenti a rendersi seriamente operativi. Intanto qualche
meritorio centro monostico moltiplica le sue missioni bibliche, fin troppo
attento, forse, a non perdere mai di punta le situazioni pastorali più
delicate. I teologi e molti semplici pastori favoriscono la riflessione
spirituale, approfondiscono la ricerca, scrivono saggi e organizzano incontri
che hanno al centro la ricerca di fede più che la visibilità politico-sociale
e si dedicano con impegno alla carità. Non mancano settori di laici non
credenti che mostrano interesse sempre maggiore per la rilettura delle
esperienze religiose autentiche del passato e del presente. Libri, film, saggi
di pensiero accostano in modo nuovo e umanamente vitale i temi classici del
messaggio evangelico, giungendo a suggerire spunti essenziali per la stessa
riflessione di fede.
Come
riconosce Goffredo Fofi, pur critico nei confronti della chiesa, «in
definitiva, negli ultimi anni i soli che hanno resistito alla degenerazione e
caduta di un sistema di valori e di modelli e hanno continuato ad agire da
sinistra (e cioè per la difesa concreta dei valori della solidarietà, di
quell’amore del prossimo che è stato sempre alla base di ogni progetto di
rivolta sociale, e diciamo pure di socialismo) sono stati i membri di quelle che
ci è venuto spontaneo chiamare in più occasioni, paradossalmente se non
provocatoriamente, “minoranze cristiane all’interno della chiesa
cattolica”. Con queste minoranze, e quasi soltanto con loro, noi abbiamo in
questi anni lavorato, resistito, tentato ricostruzioni» (editoriale
dello «Straniero» di ottobre dal titolo significativo Casta
e meretrice).
E continua Fofi: «va detto che i sostenitori del “ben fare”, gli
attivi nella lotta contro l’ingiustizia e la menzogna, coloro che non sanno e
non vogliono disgiungere i fini dai mezzi e le parole dai fatti, li si trova
ormai – anche se pochi, anche se minoranze – quasi soltanto, con rare
eccezioni di persone e di gruppi ancora vivi nonostante tutto e di sinistra
nonostante tutto, tra quei cristiani e quei laici che del cristianesimo
condividono la morale concreta».
Nel
campo dell'attenzione sociale agli ultimi, dunque, i cristiani semplici, ma
anche comunità religiose, tradizionali e no, danno il meglio di sé. La chiesa
del «popolo di Dio» è sempre più piccola numericamente, ma non è meno viva
spiritualmente e socialmente. Il vangelo continua il suo lavoro di maturazione
nei cuori di molti e sopravvive in una parte almeno della diaspora culturale di
chi sente viva la passione per la dimensione spirituale e religiosa
dell'esistenza. Alcuni teologi cercano anche di valersi di nuove forme di
mediazione comunicativa per fare passare, oltre le maglie della pubblicistica
religiosa pietistica e dottrinale, i più promettenti e coinvolgenti risultati
della loro ricerca di fede. Altri, laici e religiosi, impegnati nella pastorale
quotidiana e nel sociale, si chiedono perché la Cei non prenda in seria
considerazione il problema del rinnovamento della vita pastorale normale delle
diocesi e delle parrocchie, valorizzando maggiormente i nuovi carismi emergenti
tra laici, religiosi e religiose, anche se non canonicamente ordinati. Questi
carismi, diaconato in testa, costituiscono l'unica alternativa ad un naufragio
delle piccole comunità locali a cui i vertici romani sembrano non dare alcuna
attenzione. Un serio sinodo nazionale in proposito sarebbe non solo necessario,
ma urgente.
Nel
frattempo «resistere» sembra essere l'unica possibilità per il semplice
fedele; resistere come raccomanda nel suo ultimo libro il cardinal Martini da
Gerusalemme e come raccomandava Bonhoeffer del carcere: «resistere pregando e
operando nella giustizia». Là dove pregare non significa ripetere
appassionatamente litanie risapute, ma meditare e dialogare con Dio, mistero del
mondo e mistero dell'uomo, suo compagno di cammino nella storia. Presente, come
Gesù il Cristo, passato attraverso la passione, ma anche risorto ad una vita di
speranza e di gioia nella condivisione dell' operare evangelico dei suoi, cioè
di tutti coloro che scelgono di stare accanto agli ultimi invece che ai principi
della storia. La speranza sta in loro, perché in loro Dio ha preso dimora e
nascostamente opera.