di
Marie-Thérèse Van Lunen Chenu
in “www.temoignagechretien.fr”
del 24 marzo 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)
L’ondata di notizie su ripetuti casi di
pedofilia nella Chiesa cattolica ha suscitato molti commenti che portano in
ritorno delle valutazioni interessanti. Vi si legge che una prima messa in
discussione del celibato obbligatorio per i preti trova ora degli ardenti
oppositori, mentre restano stigmatizzate la frequente immaturità della scelta
di vita da parte di persone troppo giovani, una formazione rimasta a lungo
inadeguata nei seminari, la mancanza di relazioni con il mondo femminile,
l’autoritarismo, la cultura del segreto e della negazione nell’istituzione
ecclesiale. Mi stupisco tuttavia che
il dibattito non sia ancora stato allargato fino a prendere in considerazione il
problema sempre più sensibile della marginalizzazione – se non
dell’eliminazione – delle donne nelle strutture dell’istituzione romana. E
che i commentatori neppure abbiano affrontato un problema di fondo: la natura
della testardaggine con cui Roma si impegna nella difesa del primato del sesso
maschile.
Quali sono allora le cause e gli effetti di
questo attaccamento eccezionale dell’istituzione romana ad un primato del
sesso maschile, fino a giungere alla sua vera “sacralizzazione” nel
clericalismo? Una critica che potremmo definire “pastorale” (venuta proprio
dall’interno della Chiesa) si è unita, almeno da un decennio, ad una prima
analisi femminista che smaschera quel gioco semantico che si ostina a chiamare
“servizio” ciò che, scelto ed esercitato spesso con la più grande
generosità personale, resta tuttavia un monopolio ed un potere.
Ci
si chiede allora come questo servizio ultimo della “rappresentazione di Cristo
per compiere
l’eucarestia”,
quel potere-servire che si declina solo al maschile, non influenzi l’identità
clericale e,
per
ciò stesso, l’idealizzazione e il carattere di rifugio che dei giovani
possono investirvi? E sembra
ingenuo
stupirsi che alcuni di loro siano tentati di sfuggire, con questa scelta, ad una
identificazione
sessuata
esigente.
La mia riflessione va quindi più in là
rispetto al deplorare ciò che pudicamente viene chiamato “difficoltà a
vivere la castità”. Parlo qui delle turbe del comportamento che possono
essere legate ad una difficoltà non risolta dell’identificazione personale.
Essere capaci di identificarsi come un essere maschile significa poter accettare
il “di fronte” di una uguale partner femminile. E sostengo che
l’idealizzazione del primato maschile, la sua canonizzazione in qualche modo,
e la giustificazione permanente che ne viene fatta attraverso il rifiuto della
competenza e dell’autorità delle donne, possono turbare il processo di
identificazione maschile e arrivare talvolta ad influenzare una scelta per il
presbiterato o la vita religiosa.
In fondo, le cause sarebbero ben più
imbricate di quanto non si pensi tra la proibizione fatta alle donne di accedere
al ministero sacerdotale e l’obbligo del celibato per il prete maschio. Sono
radici profonde e tenebrose che si intrecciano tra denigrazione della sessualità,
marginalizzazione delle donne, primato accordato al sesso maschile,
sacralizzazione del sacerdozio, rapporto sclerotico alla tradizione e questo
governo autoritario, clericale e monosessuato.
Così, che ci si ponga all’interno o all’esterno dell’istituzione,
la crisi attuale designa come una sfida insieme ecclesiale e sociale la necessità
di un vero dibattito e di cambiamenti la cui importanza non si limiterà al solo
campo religioso. Infatti la Chiesa cattolica è in ritardo sulla società per
mettere in atto questi cambiamenti che ormai vengono definiti “umani”:
nell’identificare e curare le cause di una valutazione negativa della
sessualità, le è necessario, al contempo, affrontare il suo rapporto con la
sessuazione.
Chi dice “sessuazione” riconosce
evidentemente la bi-sessuazione fondamentale dell’umanità. Con quali mezzi
allora far comprendere che l’istituzione si è sclerotizzata e si esaurisce in
un approccio maschile della femminilità, proprio al contrario rispetto a quello
che fu l’atteggiamento di Cristo verso le donne? Non è “la questione delle
donne nella Chiesa” che fa problema, come si sente dire con leggerezza..., è
quella di una Chiesa autoritaria che difende il suo primato clericale maschile e
rifiuta un confronto pieno con una buona metà dei suoi membri.
Si tratta qui di una mancanza strutturale
legata, più di quanto non faccia pensare una prima
apparenza, agli scandali attuali. Ci si
chiede fino a quando Roma penserà di poter attenuare tali
scandali con delle scuse pubbliche ed una
vergogna manifestata “a nome di tutta la Chiesa”? E fino
a quando le donne, che sono state più
spesso cuoche che consigliere nei seminari, non esprimeranno
pubblicamente il loro disaccordo?
Molte di loro sono già, di fatto,
unitamente a degli uomini anch’essi consapevoli delle riforme necessarie, se
non in rottura pastorale, almeno in rottura di coscienza con l’istituzione...
Accettare in maniera riconoscente e responsabile la sessuazione, la sessualità,
e quindi le donne di oggi come vere partner, suppone insieme un lavoro
pluridisciplinare ed un ampio dibattito di società e di Chiesa.
Teologia ed ecclesiologia sono
interpellate: che cosa abbiamo fatte per perdere la capacità profetica del
messaggio cristiano, che testimoniava il principio del rispetto delle donne in
un’epoca di misoginia sociale, ma che resta ridotto al silenzio dalla sua
contro-testimonianza di sessismo ecclesiale nell’oggi di parità sociale?
La sfida è importante per il
cattolicesimo, se vuole conservare il suo posto in seno al cristianesimo e la
sua credibilità “umana”. Certi cristiani, e in maggior numero certe
cristiane, sperano ancora che la gravità attuale delle accuse e delle messe in
discussione possa diventare un punto a cui far riferimento per una conversione
profonda del cattolicesimo romano.
Marie-Thérèse van Lunen Chenu è membro
di “Femmes
et Hommes en Église” e di “Genre
en
christianisme”