La crociata di Cl contro i moralisti
di Gad Lerner
“la Repubblica” del 28 agosto 2010
Sono
venuto al Meeting di Rimini per capire cos’è questo detestabile
“moralismo” che tanto fastidio suscita nei cattolici moderati di Comunione e
Liberazione. Per i discepoli di don Giussani, ormai giunti alla terza
generazione, lo scandalo è “Famiglia cristiana” quando se la prende con
Berlusconi (e perciò stesso va disdegnata come “L’Unità” o “Il
Fatto”, a detta di Maurizio Lupi); merita viceversa indulgenza il degrado nei
comportamenti dei politici al comando: non siamo forse tutti peccatori? Chi di
noi ha il diritto di scagliare la prima pietra? “Sia proibita la vendita di
‘Famiglia cristiana’ sul sagrato delle chiese!”, invoca lo storico di Cl,
monsignor Massimo Camisasca.
La parabola evangelica viene declinata in forme sorprendenti da una folla
entusiasta nel tributare applausi indistinti: da Geronzi ai missionari in
America Latina. E rivela una sensibilità talmente particolare di questo popolo,
reso compatto dall’intimità delle sue liturgie, da configurarlo quasi come
una Chiesa privata, ben sintonizzata con gli umori più profondi della destra
italiana. Parlo di Chiesa privata perché Cl non solo si contrappone, come e più
di sempre, al cosiddetto cattolicesimo democratico. Ma si distanzia dal giudizio
critico sulla classe dirigente pronunciato dalla Cei e che perfino il portavoce
dell’Opus Dei, Pippo Corigliano, nei giorni scorsi ha consegnato in
un’intervista al “Manifesto”: “Al momento politici che abbiano una
struttura morale tale da interpretare i valori cattolici non se ne vedono. Il
punto è che i politici proprio quei valori tentano poi di strumentalizzare”.
Un atto d’accusa del tutto assente dal Meeting di Rimini.
Proverò a raccontare l’antipatia di Cl per il “moralismo” attraverso
alcune istantanee di una festa dominata, come tutti hanno notato,
dall’affettuosa confidenza instaurata da Cl con banchieri e imprenditori,
senza rinunciare però alla centralità degli appuntamenti religiosi. Hanno dato
in abbondanza a Cesare quel che è di Cesare, e forse al governo in carica pure
qualcosa di più, riservandosi il primato spirituale.
E’ Giancarlo Cesana, responsabile laico di Cl divenuto presidente del
Policlinico di Milano, a introdurre l’appuntamento più atteso, la lectio del
Patriarca di Venezia, Angelo Scola. Tema: “Desiderare Dio. Chiesa e
post-modernità”. Saranno diecimila, non vola una mosca.
Cesana estrae un foglietto per spiegare in due esempi il vizio della
post-modernità. Racconta dello studente universitario cui chiese un giudizio
sull’aborto: “Ognuno la pensa come vuole”, fu la risposta che ancora lo
indigna. Del resto, aggiunge, nella Russia comunista, “è lo stesso” non
divenne forse l’intercalare più comune?
Preparato il terreno, Cesana vibra il fendente decisivo. Una citazione di
Umberto Eco dalle pagine conclusive de “Il nome della rosa”, allorquando
Guglielmo di Baskerville contempla l’incendio della biblioteca e della chiesa.
Eccola.
“Temi i profeti e coloro che sono disposti a morire per la verità, ché di
solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto
loro (…) Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità,
fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla
morbosa passione per la verità”.
Applauso scrosciante di riprovazione. Per Cesana quella frase di un romanzo
pubblicato trent’anni fa resta, in perfetta buona fede, più grave di
qualsiasi misfatto commesso da un politico arraffone della giunta lombarda di
Formigoni. Sorriderà distaccato di fronte alle tentazioni umane di un assessore
–cosa volete che siano- mentre denuncia implacabile l’agnosticismo dello
studente di fronte all’aborto. Colpevole, lui sì. O vittima di Umberto Eco?
Con il patriarca Scola la conversazione si eleva, costellata magistralmente di
citazioni cinematografiche e generazionali, come l’”on the road” di
Kerouac, richiamo affascinante sebbene gli astanti restino ben lungi dal suo
ideale libertario. Neppure il cardinale più amato dai ciellini, difatti,
rinuncia alla polemica con i moralisti, i più insidiosi fra i peccatori perché
abuserebbero del richiamo a comportamenti esemplari, cioè alla testimonianza.
Ecco come li attacca Scola: “Diventa allora necessario liberare la categoria
della testimonianza dalla pesante ipoteca moralista che la opprime riducendola,
per lo più, alla coerenza di un soggetto ultimamente autoreferenziale”. A chi
si riferisce Scola? Forse a coloro che s’illudono di praticare la virtù senza
riconoscere la sua implicazione successiva, secondo cui “la Chiesa, in modo
diretto o indiretto, diventa condizione indispensabile per desiderare Dio”,
diventa cioè il luogo “che rende possibile la testimonianza”. Come?
“Anzitutto, attraverso l’Eucarestia e la liturgia”.
Il percorso è chiaro: se la testimonianza si manifesta nell’osservanza
religiosa, chi siamo noi per criticare i peccatori osservanti la pratica
religiosa nella Chiesa che resta “santa al di là dei peccati, talora
terribili, del suo personale”?
Così vengono “sistemati” i moralisti. E per gradire, poco più tardi,
intervenendo di nuovo al Caffè letterario del Meeting, lo stesso Scola rivolgerà
un pubblico encomio a Renato Farina: “Sono pochi i giornalisti bravi come
lui”. Come volevasi dimostrare.
Sbaglierò, ma ho colto perfino un pizzico di compiacimento quando il Patriarca
sottolineava con voce sofferta quel “terribili”, riferito a certi peccati
degli uomini di Chiesa. Perché chinandosi amorevole sul frammento d’anima
penitente, il testimone disciplinato susciterà in lei nuovamente il desiderio
di Dio, la fede che ci è donata nella Chiesa.
Particolarmente ricercati, non a caso, fra gli ospiti del Meeting primeggiano i
figliol prodighi che vengono a raccontare il loro avvicinamento a questa idea di
Chiesa (privata?). Come il sottosegretario Eugenia Roccella che si dilunga sul
suo passato radicale, femminista, anticlericale. O l’assai più tormentato
filosofo Pietro Barcellona, sospinto in depressione dal fallimento del
comunismo, verso un approdo cristiano.
Aggirandosi fra gli stand non si trovano solo le aziende in rapporto di business
con la Compagnia delle Opere o con i politici ciellini. Bisogna fare la fila per
visitare la mostra sulla scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor, così
come vivacissimi sono i dibattiti critici sulla tecnoscienza. E’ nel
linguaggio di un conservatorismo moderno che si esprime questa strana indulgenza
ciellina per i malfattori, contrapposta alla severità con cui additano i
moralisti. Al centro dell’installazione dedicata a don Bosco, per esempio,
trovo gli stessi luchetti resi popolari fra i giovani da Federico Moccia:
reggono nastri devozionali: “O Maria Vergine potente”, “Tu nell’ora
della morte accogli l’anima in paradiso”. L’imprinting di un movimento
cresciuto nella contrapposizione all’Utopia del Sessantotto, compare perfino
stampato sulle t-shirt: “Non ho nulla per cui protestare, solo da
ringraziare”.
Ricordo a Roberto Formigoni il nostro incontro di dieci anni fa, all’indomani
di una sua trionfale vittoria elettorale in Lombardia. Dopo aver concesso a
Comunione e Liberazione “il merito storico di avere generato me, che sono però
dotato di una forza politica autonoma ben maggiore”, prometteva un prossimo
trionfale sbarco a Roma: “Questo nostro modello conquisterà l’Italia”.
Non è andata così e oggi lo trovo più cauto. Si accontenta di rivendicare una
riuscita “fecondazione di idee”. I politici ciellini radunati in Rete Italia
contano su Maurizio Lupi, pupillo di Berlusconi, e su Mario Mauro al parlamento
europeo; ma patiscono nella loro culla lombarda il fiato sul collo della Lega,
da cui non sono riusciti a distinguersi più che tanto sul piano culturale e
religioso. Quanto ai politici affaristi con cui militano fianco a fianco nel Pdl,
la linea resta sempre la stessa: no al moralismo.
Per difendere la loro Verità dalle insidie del moralismo, dunque, scelgono di
prendersela con il “potente” Umberto Eco. Peccato che Giancarlo Cesana non
abbia riferito anche la frase che l’autore de “Il nome della rosa” mette
in bocca al suo protagonista, subito prima di quella incriminata:
“L’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio
o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal
veggente”.