La regola del segreto così la Chiesa nascose le sue colpe
di Adriano Prosperi
“la Repubblica” del 30 aprile 2010
Nella moderna società dei consumi l' occulto è un' industria e la ragione resta più che mai un' ospite importuna. Nelle nebbie dell' occulto si muovono i cercatori di misteri, coloro che frugano nei depositi inesauribili di un Medioevo di Templari e di sindoni per edificare i lettori. Ma quando una ricerca autentica restaura il vero volto del passato scostando i fondali dipinti che lo nascondono si scopre qualcosa di diverso e insieme di familiare, qualcosa che permette di capire meglio caratteri e problemi del nostro presente. E in materia di occulto, niente potrebbe essere più opportuno di un restauro del significato storico della parola attraverso una indagine sulle cause e sulle conseguenze del suo ingresso nel linguaggio giuridico della Chiesa medievale. È quello che ci viene proposto in un libro che Jacques Chiffoleau, un valente medievista francese noto per i suoi studi di storia della giustizia papale e dei grandi processi politici, ha costruito per i lettori italiani: La Chiesa, il segreto e l' obbedienza (il Mulino, pagg. 185, euro 18). Si tratta di un libro destinato a suscitare un' eco assai più vasta di quella che l' autore poteva immaginare quando lo ha consegnato alla stampa. Ed è augurabile che così sia: l' asciutta e puntuale esposizione della sua ricerca sui rapporti tra la Chiesa, il segreto e l' obbedienza offre a una opinione pubblica agitata dallo scandalo dei preti pedofili la possibilità di capire finalmente quale irriconoscibile fantasma di una lunghissima storia ci sia apparso davanti. È una vicenda che comincia alla metà del XII secolo, con la compilazione del Decretum di Graziano, la prima e fondamentale sistemazione in un corpo unitario delle norme elaborate per governare la Chiesa cristiana d' Occidente. Qui si trovano i due canoni glossati da Giovanni Teutonico con la formula Ecclesia de occultis non iudicat («La giustizia della Chiesa non si occupa di colpe occulte»). Il significato di quella norma è stato oggetto di analisi di esperti di diritto canonico prima di accendere una discussione più generale tra gli storici. La formula condensava un' idea biblica della giustizia, quella che affidava all' onniscienza di Dio il compito di vedere e giudicare la verità nascosta nei cuori degli uomini. Applicando quell' idea al funzionamento dei tribunali la formula segnava l' avvio di una distinzione tra i fori: da un lato il foro penitenziale della confessione segreta dei peccati dove il confessore agisce come orecchio di Dio, dall' altro il foro pubblico dove il giudice punisce i colpevoli di infrazioni alle leggi della comunità. Intorno a questa articolazione dei fori nascerebbe anche - secondo alcuni la prima separazione moderna tra pubblico e privato. Ed è comunque evidente l' affacciarsi di una Chiesa papale come potere mondano e soggetto creatore di diritto in un mondo dove era diffuso il senso religioso del mistero e delle cose occulte. La conoscenza della verità era attesa nel grandioso scenario dell' Apocalisse quando si sarebbe aperto il Libro dai sette sigilli. Ma altri segreti furono quelli che interessarono da allora i giudici di una Chiesa che si stava affermando come titolare di ogni potere in terra. La loro opera è seguita da Jacques Chiffoleau per capire il modo in cui l' occulto venne definendosi nell' amministrazione della giustizia. E nota subito che quei due canoni glossati con la formula Ecclesia de occultis non iudicat riguardavano infrazioni di chierici all' obbligo della castità. Qui «occulto» vale come il contrario di «notorio» e significa concretamente che se le colpe dei chierici non erano di dominio pubblico allora la purgazione poteva rimanere segreta evitando lo scandalo. La minaccia dello scandalo era tanto più temuta quanto più forte era l' esigenza di esaltare la dignità del clero e di affermarne la supremazia sul laicato nell' età della Riforma gregoriana. Si registra qui la nascita di una preoccupazione del potere ecclesiastico che connoterà nei secoli il modo di trattare le colpe del clero in tutti i casi in cui fu possibile lasciarle nell' ombra del segreto ed evitare il clamore del pubblico giudizio o l' umiliazione della penitenza pubblica. Il che fu possibile perfino nei casi dei cosiddetti «crimini enormi» (colpe di sesso, omicidio, simonia)i cui effetti fossero manifesti e noti alla società cristiana: se la teoria prevedeva la necessità di rompere il sigillo della segretezza confessionale, lo sviluppo di una raffinata casistica creò uno sbarramento protettivo intorno ai chierici criminali. Tutto questo niente toglie alla fondamentale importanza della distinzione dei fori e all' efficacia degli esercizi di esame della coscienza ai fini della confessione segreta. Gli abissi della coscienza individuale esplorati da Agostino di Ippona rimasero per sempre un territorio fondamentale della costruzione della persona nella tradizione cristiana occidentale. Ma il riconoscimento dovuto al peso storico della tradizione giuridica della Chiesa e alla creativa ricchezza della varietà di fori elaborati e messi in opera dalle sue autorità centrali e dai suoi intellettuali non può far dimenticare il carattere difensivo e corporativo di quella interpretazione dell' occulto a favore del clero. Anche perché quando l' occulto sembrò coprire il pericolo del dissenso il potere reagì con estrema aggressività e non si fermò nemmeno davanti al limite estremo: la criminalizzazione dei pensieri. L' antica norma di saggezza giuridica raccolta nell' adagio romanistico per cui nessuno deve essere punito per i suoi pensieri fu travolta dall' avanzata degli inquisitori ecclesiastici a caccia di eretici, ben presto seguiti dagli inquisitori laici a caccia di ribelli politici. Il potere ecclesiastico ricorse al grimaldello giuridico di origine romanistica del delitto di «lesa maestà» contro i sospetti di eresia: il potere politico laico ne seguì l' esempio. La lesa maestà era definita come il crimine d' eccezione davanti al quale non valevano più le tutele della legge ordinaria. Se è vero che «nessuno merita la pena per il solo pensiero»- scrisse il giudice Alberto da Gandino «questo non vale nel crimine di lesa maestà o di eresia». E fu qui che si scatenò una insaziabile volontà di sapere. Nemmeno il sigillo della confessione teoricamente inviolabile fu rispettato. Il panorama ricostruito da Chiffoleau per la tradizione medievale è impressionante: bastava il sospetto che l' eretico non collaborasse per far sì che si proponesse di sciogliere il suo confessore dall' obbligo del silenzio. Va detto che questa storia, ricostruita da Jacques Chiffoleau lungo il percorso medievale, non si chiuse lì: toccò al papato del ' 500 aprire un canale di comunicazione obbligata e automatica tra il foro interno della confessione e il foro esterno dell' inquisizione. E quanto ai reati «enormi», «nefandi», «pessimi» e «turpissimi», è stato il cardinal Alfredo Ottaviani a redigere nel secolo scorso l' ultimo dispositivo - anch' esso segretissimo, naturalmente. Da qui la storia trapassa nella cronaca dei nostri giorni. Oggi un lungo e coerente percorso della giustizia ecclesiastica come privilegio di impunità per una corporazione si sta chiudendo con la resa dei conti tra il senso comune della giustizia e l' anacronismo dell' occulto creato a difesa dei delitti dei preti pedofili