La trave dell’offshore nell’occhio del Cavaliere
Giuseppe D'Avanzo
la Repubblica del 28 settembre 2010 -
Quello che vale per ciascuno di noi, vale per Silvio Berlusconi? L’etica pubblica che vincola gli attori politici, obbliga anche il Cavaliere? E, soprattutto, la legge è uguale anche per il capo del governo? Sono le domande che attendono una risposta mercoledì quando Berlusconi terrà alla Camera un discorso che i suoi annunciano memorabile. Vedremo se lo sarà davvero.
Di certo, il capo del governo è atteso a una prova decisiva e ci si augura che, come al solito, non giochi la partita da parolaio fumigante trasformando la notte in giorno, il bianco in nero. Anche perché quegli interrogativi si sono irrobustiti dopo il pubblico chiarimento offerto dal presidente della Camera. Bene, c’è un bruscolo nell’occhio di Gianfranco Fini. È colpevole forse di aver dato fiducia a un “cognato” scavezzacollo. Ipotizziamo la scena peggiore (finora non dimostrata). Il “cognato” ha imbrogliato il presidente della Camera. Ha simulato la compravendita della casa di Montecarlo. In realtà, se l’è comprata nascondendo la proprietà diretta dietro il paravento di una società off-shore dell’isola caraibica di Santa Lucia. Se così fosse, Fini si dimette (è il suo impegno). È responsabile di “ingenuità”. Ecco il peccato perché, come ricorda, “non è stato commesso alcun tipo di reato, non è stato arrecato alcun danno a nessuno; non è coinvolta l’amministrazione della cosa pubblica o il denaro del contribuente. Non ci sono appalti o tangenti, non c’è corruzione né concussione”. A sollecitare questo atteggiamento c’è un archetipo del sentimento morale – la vergogna – e il tormento di una coscienza che avverte come propria anche la colpa altrui che non si è riuscito a intuire, prevedere, annullare. Le dimissioni mi sono imposte, dice Fini, dalla “mia etica pubblica”, anche se “sia ben chiaro, che personalmente non ho né denaro, né barche né ville intestate a società off-shore, a differenza di altri che hanno usato, e usano, queste società per meglio tutelare i loro patrimoni familiari o aziendali e per pagare meno tasse”.
È sotto gli occhi di tutti la disarmonia tra quel che viene rimproverato, urlato a Fini e quel che viene perdonato o addirittura colpevolmente dimenticato di Berlusconi. Come è stravagante non scorgere il disequilibrio tra i possibili esiti politici. Per i libellisti della “macchina del fango” organizzata dal Cavaliere – e anche per qualche corista che si dice neutrale – Fini deve scomparire. Un peccato di ingenuità in un affare privato dovrebbe determinare le sue dimissioni da presidente della Camera mentre, al contrario, una diretta, documentata, consapevole responsabilità in comportamenti criminali che hanno corrotto gli affari pubblici e provocato un danno alle casse dello Stato dovrebbe essere così trascurabile da consentire a Berlusconi di governare fino alla fine della legislatura prima di ascendere addirittura al Colle più alto come presidente della Repubblica. Le memorie deperiscono in casa nostra. Conviene rianimarle con quale fatto.
La KPMG, una delle più prestigiose società di revisione contabile del mondo, un colosso dell’accounting, l’arte della certificazione di bilancio, deposita – il 23 gennaio del 2001 – 800 pagine di un’analisi tecnico-contabile di sette anni di bilanci della galassia societaria Fininvest, dal 1989 al 1996, quella che per brevità è stata chiamata “All Iberian”. Si sa quel che dice il Cavaliere di “All Iberian” (“Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conosco neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario”, Ansa, 23 novembre 1999).
Il
documento di KPMG racconta come vanno le cose nella società di
Berlusconi: Fininvest sommerge buona parte della sua
contabilità. Nascosta da un doppio registro, movimenta, nei 7
anni analizzati dalla perizia, almeno 3 mila e 500 miliardi, 884
dei quali occultati su piazze off-shore. “Per alterare la
rappresentazione della situazione economica, finanziaria e
patrimoniale nel bilancio consolidato Fininvest”, scrive KPMG.
Si scopre che la Fininvest opera attraverso due comparti
societari. Il “Gruppo A” – ufficiale – e il “Gruppo B”,
riservato. Lo spiega l’avvocato inglese David Mills, che ne
costruisce l’architettura riferendone direttamente anche a
Silvio Berlusconi: “Il Gruppo B è un’espressione utilizzata per
differenziare le società ufficiali del gruppo A da quelle, pur
controllate nello stesso modo dalla Fininvest, che non dovevano
apparire come società del gruppo per essere tenute fuori dal
bilancio consolidato. Un promemoria definiva le società del
gruppo B “very discreet” (molto riservate), perché il
collegamento con il gruppo Fininvest rimanesse segreto”.
La KPMG individua 64 società off-shore su tre livelli. Al primo
appartengono 29 sigle, distribuite geograficamente in quattro
aree. “Ventuno società hanno sede nelle Isole Vergini inglesi,
cinque nel Jersey, due alle Bahamas, una a Guernsey”. “Altre
tredici società – anch’esse off-shore – formano il secondo
livello. Si tratta di “controllate” da società del primo livello
da cui non si distinguono né per funzioni, né per organizzazione
societaria”. Caratteristica comune anche alle 22 sigle del terzo
ed ultimo livello. Ancora KPMG: “La gestione (di queste società)
è a cura di amministratori e personale del gruppo Fininvest”. I
reali beneficiari (beneficial owner) sono “amministratori,
dirigenti, consulenti o società del gruppo Fininvest”. Dalla
Fininvest “dipende quasi esclusivamente il loro finanziamento
che avviene attraverso le medesime banche e società fiduciarie”.
Ricapitoliamo: c’è un comparto segreto, protetto all’estero, ne
fanno parte 64 società direttamente controllate da Fininvest. In
nome e per conto di Fininvest, concludono transazioni in settori
ritenuti strategici per il Gruppo. I loro bilanci sono
invisibili, ma solo alla contabilità ufficiale, perché i
dirigenti di Fininvest ne hanno il pieno controllo. Come abbiamo
già detto, tra il 1989 e il 1996 attraverso il comparto B sono
stati stornati dai bilanci Fininvest 884 miliardi e 500 milioni.
Cifre parziali, sostiene KPMG, perché “i conti cui è stato
appoggiato per sette anni il comparto migrano verso le Bahamas.
A Nassau, in Norfolk House, a Frederick Street, ha sede la
Finter Bank & Trust. Qui, su nuovi conti sarebbe affluita la
ricchezza del fu comparto B”.
A meno che Silvio Berlusconi non l’abbia fatta rientrare in
Italia protetta dallo “scudo” costruito dai suoi governi, si può
ragionevolmente dire che ancora oggi egli custodisce in paradisi
fiscali una parte del suo patrimonio. Può Berlusconi muovere
l’arsenale politico, economico, mediatico che ha sottomano per
liquidare un presidente della Camera dissidente chiedendogli
conto di un indimostrato bruscolo (una fiducia mal riposta) che
quello, Fini, ha negli occhi e restare al suo posto nonostante
le prove dell’affarismo societario che fanno di lui, Berlusconi,
un primatista indiscusso? Quale “regime personale” può
giustificare questa difformità? Quale assuefazione dello storto
sul diritto? Nessuna ragione potrebbe spiegarla, se non un abuso
di potere o un potere che si fa violenza o la colpevole
rassegnazione a un peggio che non trova mai un limite. A ben
vedere, anche il conflitto con Gianfranco Fini chiama il
presidente del Consiglio a un passo memorabile, alla necessaria
decisione di rivelare di quale trama è fatta la sua etica
pubblica, di dimostrarsi finalmente all’altezza della sua
responsabilità e della sua ambizione. Lo abbiamo detto e lo
ripetiamo. Berlusconi rinunci alla tentazione di stringere
intorno al collo del Paese la corda dei suoi affanni. Non
sprofondi il Parlamento in una nuova stagione di leggi ad
personam (immunità costituzionale, legittimo impedimento,
processo breve, limiti agli ascolti telefonici). Difenda il suo
onore, come ha fatto Gianfranco Fini. Pretenda di dimostrare nei
processi che lo attendono a Milano la trasparenza della sua
fortuna. Eserciti nell’aula di un tribunale e non nel Palazzo
del Potere i diritti della difesa. Rivendichi con dignità di
essere cittadino tra i cittadini con gli stessi diritti e gli
stessi doveri di chiunque. Reclami – egli – l’uguaglianza dei
cittadini dinanzi alla legge e chieda di essere processato senza
alcuno scudo, impedimento, immunità. Metta da parte i suoi
affanni e ossessioni per lasciare libera la politica – il
governo, il Parlamento – di affrontare le difficoltà del Paese.
Si deve tornare a chiederglielo. Presidente, domani, con
solennità vuole dire e finalmente dimostrare che la legge in
Italia è davvero uguale per tutti?