La xenofobia tranquilla delle mamme di Adro
di Ritanna Armeni
“il Riformista” del 28 aprile 2010
Non è facile dimenticare le madri di Adro. Non è facile cancellare le immagini e le parole delle donne di un laborioso paese del bresciano di 6.800 anime. Non è facile dimenticare le loro affermazioni rabbiose ed esasperate. Le madri di Adro mandano i loro bambini all’asilo comunale, pagano la retta della mensa e - sui giornali e nella trasmissione Annozero - non hanno avuto alcun disagio ad affermare che era giusto che i figli degli immigrati che non pagavano la mensa rimanessero senza pranzo. Lo hanno detto senza mezzi termini: quei bambini non dovevano mangiare. Bene si era fatto a tagliare loro i pasti. Giustamente si era comportato il loro sindaco rifiutando quei finanziamenti della Regione Lombardia che dovevano servire proprio perché il Comune aiutasse i meno abbienti. Se li avesse accettati avrebbe favorito gli immigrati profittatori. E che male - malissimo - aveva fatto l’imprenditore che si era offerto di pagarle lui le rette delle mensa. In questo modo aveva incentivato il parassitismo di chi non lavora e approfitta del lavoro degli altri. Tutto questo lo hanno detto - quelle madri - con la convinzione di chi sta dalla parte giusta, di chi sta combattendo per il bene contro il male. Le loro parole non erano sopportabili. Lo so, in esse c’era tutta l’ideologia leghista, l’egoismo padano, la politica di chi vuole la separazione dai più poveri. Ma non c’era solo questo. A questo ci siamo tristemente abituati. Quelle parole e quelle immagini spaventano fino a diventare insopportabili perché contengono un “salto”, il superamento di un limite umano e morale tanto più lacerante perché le protagoniste sono donne e madri, coloro dalle quali ci si sarebbe aspettata una parola diversa o almeno un diverso accento. Non è stato così. I bambini nelle loro parole non erano tali, esseri umani più deboli e dipendenti dagli adulti, ma solo figli di immigrati e come tali “responsabili” delle colpe dei loro padri. Qui c’è stato il superamento del limite. Perché se la paura dello straniero, la xenofobia, la rabbia contro il povero che può togliere ad altri poveri possono essere inscritti nel conflitto sociale, possono essere mitigati e persino - anche se non condivisi - compresi, l’annullamento dell’infanzia, l’identificazione di chi non può che essere innocente nelle presunte colpe dei padri e delle madri indica che per quelle donne esiste un “male” da combattere senza tregua, nel quale non ci sono distinzioni, estraneità e non colpevolezze. All’affermazione spontanea di chi le ha intervistate: «Ma sono bambini!», le madri di Adro hanno risposto con lo sguardo vuoto e privo di comprensione di chi non capisce la differenza, non vede la distinzione. «I figli degli immigrati sono bambini?» domandavano quegli occhi anche quando le labbra non parlavano. E si capiva che per loro erano il male e basta. Un male tanto più grande e pericoloso perché poteva influenzare e contagiare anche altri e dal quale quindi occorreva difendersi senza cedimenti. Ed ecco la decisione di respingere gli stanziamenti che la Regione Lombardia aveva disposto perché i Comuni venissero incontro ai meno abbienti, a coloro, per esempio che non potevano pagare le rette della mensa. Ed ecco che l’odio contro il male comprende anche il “benefattore”, l’imprenditore che ha offerto 10.000 euro perché il Comune non ci rimettesse e i bambini potessero mangiare anche se i loro genitori non pagavano la retta. Il bene in questo caso avrebbe coperto il male profondo e quindi non era tale ma male anch’esso, da portare allo scoperto e respingere. La storia insegna, nelle grandi tragedie che si sono susseguite nel Ventesimo secolo, che esse cominciano quando cessa ogni distinzione e un gruppo di persone viene identificato con il male. Gli ebrei erano ebrei e basta. Non c’erano uomini e donne, adulti e bambini. Non c’erano malati e sani. Ricchi e poveri. Se c’è un male da estirpare ci vuole una guerra senza esclusione di colpi, in cui gli innocenti non ci sono. Questa è stata la Shoah e si è verificata nella civile Europa solo qualche decennio fa. Questo è avvenuto in tante persecuzioni e genocidi. L’ideologia leghista, per quanto xenofoba, finora alcune differenziazioni le ha mantenute per quanto ipocritamente. Ha distinto per esempio fra l’immigrato clandestino e quello legale. Fra coloro che lavorano e coloro che spacciano. Anche nella promozione di leggi punitive e poco lungimiranti ha voluto tener conto - sia pure in modo utilitaristico - delle donne che vengono nel nostro Paese a fare le badanti. Le madri di Adro hanno saltato distinguo e differenze quando hanno detto che i bambini degli immigrati non avevano diritto al cibo. E lo hanno affermato come se facessero un’affermazione normale ai limiti della banalità. Meravigliandosi quasi che ci fosse chi non comprendesse. La banalità, appunto. Quella banalità del male di cui parlava Hannah Arendt descrivendo nel processo di Gerusalemme il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann. Quel che lui aveva fatto non era dovuto a cattiveria, ma all’obbedienza a un ordine delle cose che pareva naturale e necessario. Lo so, non c’è alcuna somiglianza fra le madri di Adro e quel gerarca. Non ci sono campi di sterminio, pogrom ed eccidi. C’è solo un filo sottile costituito dalla normalità quasi banale con cui quelle madri pretendono il loro bene. Non è banale in un laborioso paese del bresciano dire che chi non paga non mangia? Che questo vale per tutti, adulti e bambini? Certo che lo è soprattutto se lo dicono delle donne, madri di famiglia che faticano per tirare avanti, amano i loro figli e magari frequentano la parrocchia. Ma è proprio questo che turba e sconvolge