L'espresso del 25.11.2010
"La 'ndrangheta corteggia la Lega. E investe in Lombardia. Ma c'è un fenomeno più inquietante di cui dovrebbe occuparsi Maroni: le mafie puntano su un'Italia divisa". Così Roberto Saviano si rivolge al ministro, che lunedì parteciperà a 'Vieni via con me'
La 'ndrangheta al Nord? "Certo, cerca di interloquire con la
Lega, ma le inchieste mostrano come in tutte le Regioni si stia manifestando un
fenomeno molto più inquietante, quello sì che dovrebbe indignare il ministro
dell'Interno: le mafie scommettono sul federalismo".
Roberto Saviano non è per niente pentito del monologo di "Vieni via con me" che
ha segnato il record di ascolti, anzi a sorprenderlo è la veemenza della
reazione di Roberto Maroni: "Quello che ho detto è documentato. L'incontro tra
il consigliere regionale leghista e gli uomini delle cosche è negli atti dei pm
Ilda Boccassini e Giuseppe Pignatone. E ricordo al ministro che l'unico
direttore di una Asl arrestato per 'ndrangheta è quello di Pavia, dove comune,
provincia e regione sono amministrati anche dal suo partito: stiamo parlando di
una Asl che gestisce strutture di eccellenza e fa girare 700 milioni di euro
l'anno. E ricordo che l'ultimo sindaco arrestato in un procedimento per
collusioni con le cosche calabresi è quello di Borgarello: un paese alle porte
di Pavia non una cittadina della Locride".
Il ministro Maroni sostiene che l'incontro tra il consigliere leghista e
le persone poi arrestate per 'ndrangheta non ha nessuna rilevanza penale. E nel
centrodestra c'è chi ritiene che accostare la Lega alle cosche su questa base
equivalga a usare gli stessi metodi della macchina del fango che lei ha
denunciato.
"La mia frase era chiara, chiunque può riascoltarla: "La 'ndrangheta al Nord,
come al Sud, cerca il potere della politica e al Nord interloquisce con la
Lega". Non si tratta di illazioni, ma di elementi concreti che emergono dalle
indagini e che devono essere sottoposti all'attenzione dell'opinione pubblica:
in Lombardia la Lega è forza di governo e oggi gli uomini delle cosche
calabresi, attivi nella regione da decenni, puntano a investire i loro capitali
nei cantieri dell'Expo 2015. È un'analisi della Superprocura antimafia,
lungamente discussa nella commissione parlamentare proprio perché per entrare
negli appalti loro hanno bisogno della politica e soprattutto della politica che
controlla la spesa sul territorio. Per questo tutta la criminalità organizzata
guarda con favore a una riforma federalista del Paese: vogliono centri di costo
alla loro portata".
Alle mafie piace il federalismo?
"Piace un certa idea di federalismo, quella che potrebbe consegnargli gran parte
del Sud. In passato Cosa nostra l'ha cavalcata per contrastare la prospettiva di
un potere centrale troppo forte: meglio la secessione dell'isola che dovere fare
i conti con uno Stato deciso a cancellare la mafia. E la stessa istanza è stata
riproposta dall'ala dura dei corleonesi negli anni delle stragi, quando di
fronte al crollo della prima Repubblica Gianfranco Miglio, il "padre nobile"
della Lega, benediceva la nascita al Sud di tanti partitini autonomisti intrisi
di massoneria e amici degli amici: sono fatti acclarati, non illazioni. Oggi la
prospettiva è semplice: la mentalità delle mafie è essenzialmente predatoria,
puntano a divorare le risorse ed è molto più facile farlo nelle capitali
regionali che non a Roma: possono fare pesare il loro controllo del territorio,
la loro violenza, i loro voti e i loro soldi. Per questo con il livello di
infiltrazione che c'è nelle regioni del meridione, il federalismo potrebbe
finire con l'essere un regalo e far diventare Campania, Calabria e Sicilia
davvero "cose nostre", un nome che non è stato scelto a caso. Perché oggi la
forza delle mafie non è più nella capacità di usare la violenza ma nella
disponibilità quasi illimitata di capitali, affidati a facce pulite e capaci di
condizionare la politica soprattutto a livello locale".
E questi capitali sembrano muoversi verso Nord.
Una rotta indicata da oltre venti anni con gli investimenti in aziende venete,
lombarde e piemontesi e la penetrazione nei cantieri di tutte le grandi opere:
quelle di ieri e quelle di domani, come svelato
nell'inchiesta de "L'espresso" citata durante la trasmissione. Non è un caso
se il più importante pentito di 'ndrangheta operava a Milano, alternando
attività manageriali a omicidi