L'
OBBLIGO DI CHIARIRE QUELLA LEGGENDA NERA
GIUSEPPE
D' AVANZO
Repubblica
— 09 febbraio 2010
I
morti non si possono smentire e i vivi hanno difficoltà a difendersi dalle
parole di morti. È una condizione che crea inestricabili ambiguità. Si
ascoltano con disagio le rivelazioni di Massimo Ciancimino. Le ragioni sono due.
La prima può avere come titolo: il morto che parla. Perché a parlare con la
voce di Massimo, il figlio, è Vito Ciancimino, il padre, il mafioso corleonese,
il confidente di uno Stato debole e compromesso, il consigliere politico di
Bernardo Provenzano. Anche se Massimo Ciancimino mostra di tanto in tanto una
lettera o un pizzino, sono soprattutto i ricordi delle sue conversazioni con il
padre la fonte delle accuse contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell' Utri.
Ricordiamole perché, se fondate, quelle accuse sono catastrofiche per la nostra
democrazia (un uomo, che si è fatto imprenditore con il denaro della mafia e
politico con la sua protezione, governa il Paese). Se menzognere e maligne,
indicano che contro il capo del governo è in atto un' aggressione ricattatoria
che fa leva su alcune oscurità della sua avventura umana e professionale. La
mafia, dice Ciancimino, finanziò le iniziative imprenditoriali del "primo
Berlusconi" (Milano2). Marcello Dell' Utri sostituì Vito Ciancimino nella
trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra innescata dopo la morte di Giovanni
Falcone (23 maggio 1992) e la nascita di Forza Italia, nel 1993, è stata il
frutto di quel pactum sceleris. I ricordi del giovane Ciancimino inverano, con
la concretezza di una testimonianza "diretta", la cattiva leggenda che
accompagna da decenni il racconto mitologico della parabola imprenditoriale del
presidente del Consiglio. Si può dire così: quelle dichiarazioni riordinano in
un resoconto esaustivo e "chiuso" l' intera gamma delle incoerenze che
Berlusconi e i suoi collaboratori nella fondazione dell' impero hanno lasciato
nel tempo incancrenire per non volerle mai affrontare. Come già è accaduto
quando in un' aula giudiziaria è apparso Gaspare Spatuzza, si deve ricordare
che Cosa Nostra è tra gli anni settanta e ottanta molto vicina alle
"cose" di Silvio Berlusconi e ricompare ancora nel 1994 quando il
ministro dell' Interno dell' epoca, Nicola Mancino, dice chiaro che «Cosa
Nostra garantirà il suo appoggio a Forza Italia» . I legami tra Marcello Dell'
Utri e i mafiosi di Palermo non sono una novità. Come non sono sconosciuti gli
incontri tra Silvio Berlusconi e la crème de la crème di Cosa Nostra (Stefano
Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Francesco Di Carlo). Né sono inedite le
rivelazioni sulla latitanza di Gaetano e An
toni
no Grado nella tenuta di Villa San Martino ad Arcore, protetta dalla presenza di
Vittorio Mangano, capo del mandamento di Porta Nuova. Con quali capitali
Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli settanta, ancora oggi è mistero
inglorioso. Molto si è ragionato sulle fidejussioni concessegli da una boutique
del credito come la Banca Rasini; sul flusso di denaro che gli consente di
tenere a battesimo Edilnord e i primi ambiziosi progetti immobiliari, quando
ancora Berlusconi non si dice proprietario dell' impresa, ma soltanto «socio d'
opera» o «consulente» . Quei capitali erano "neri" soltanto perché
sottratti al fisco, espatriati e rientrati in condizioni più favorevoli o erano
"sporchi" perché patrimonio riciclato delle ricchezze mafiose, come
ha suggerito qualche mese fa Gaspare Spatuzza quando disse: «La Fininvest era
un terreno di pertinenza di Filippo Graviano, come se fosse un suo investimento,
come se fossero soldi messi di tasca sua » ? Le parole di Massimo Ciancimino
riportano alla luce anche un' ultima e antica contraddizione di Berlusconi e dei
suoi cronisti disciplinati, la più bizzarra: la datazione della nascita di
Forza Italia nel 1994 e l' ostinato rifiuto a ricordare che le doglie di quel
parto cominciarono nella primavera del 1993 da un' idea covata da Marcello Dell'
Utri fin dal 1992. È una rosa di "vuoti" e antinomie che apre spazi
al ricatto mafioso. E' uno stato che dovrebbe preoccupare tutti. Cosa Nostra
minaccia in un regolamento di conti il presidente del Consiglio. Ne conosce
qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le
agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole
carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la
disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate. Lo
ripetiamo. In questo conflitto - da un lato, una banda di assassini; dall' altro
un capo di governo liberamente eletto dal popolo, nonostante le sue opacità -
non c' è dubbio con chi bisogna stare. E tuttavia il capo del governo (per
sottrarre se stesso a quel ricatto rovinoso) e la magistratura (per evitare che
un governo legittimo sia schiacciato da una coercizione criminale che ne
condiziona le decisioni) sono chiamati a fare finalmente luce sull' inizio di
una storia imprenditoriale e sull' incipit di un romanzo politico. È la seconda
ragione di disagio, l' assenza di iniziative politiche e giudiziarie a fronte di
denunzie così gravi. Ogni cosa sembra risolversi in una "tempesta
mediatica", in una rumorosa e breve baruffa che scatena per qualche giorno
sospetti, furori e controsospetti e contro furori senza che si intraveda non un'
evidenza in più che scacci i cattivi pensieri o li renda più fondati, ma
addirittura non si scorge alcuna attività in grado di spiegare finalmente come
stanno le cose. Il risultato è che ce ne stiamo qui stretti tra la possibilità
di avere al governo un paramafioso, un riciclatore di soldi che puzzano di morte
e la probabilità che l' uomo che ci governa sia ricattato da Cosa Nostra per
qualche passo storto del passato. È un circuito che va interrotto nell'
interesse di Berlusconi, del suo governo e del Paese, della sua credibilità
internazionale. I modi per chiudere questa storia sono certo laboriosi, forse
dolorosi, ma agevoli. La magistratura (per quel che se ne sa, ancora non è
stata aperta un' istruttoria) accerti la fondatezza delle testimonianze di
Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza - magari evitando di rovesciarle in un'
aula di tribunale, prima di una loro verifica. Berlusconi rinunci a scatenare,
come d' abitudine, i suoi cani da guardia e faccia finalmente i conti con il suo
passato. Non in un' aula di giustizia, ma dinanzi all' opinione pubblica. Prima
che sia Cosa Nostra a intrappolarlo e, con lui, il legittimo governo del Paese.
È giunto il tempo che questo conflitto sia affrontato all' aperto e non risolto
nel segreto con un gioco manipolato e incomprensibile che nasconde alla vista il
ricatto, i ricattatori, la punizione minacciata, ciò che si può compromettere,
un nuovo accordo salvifico.