L’antica sapienza d’Israele parla all’uomo e alla donna della nostra epoca
Introduzione ai libri sapienziali della Bibbia
Don Franco Barbero
da "cdb informa" n° 47 giugno 2010
Dal corso biblico di Torino – testo e sbobinatura non rivista dall’autore
Ci troviamo nel grande universo dei libri sapienziali. Bisogna usare il plurale perché, per fortuna, noi abbiamo nella Bibbia ebraica: Proverbi, Giobbe, Qoelet, questi tre grandi libri, davvero celebri, e poi ancora il Cantico dei cantici e alcuni Salmi, che sono anche sapienziali. Per ciò che riguarda la Bibbia “greca” fanno parte dei sapienziali anche il Siracide e la Sapienza. Questi due libri sono posteriori, nascono quando già c’è la diaspora ebraica e riflettono molto di più il pensiero ellenistico.
Sapienza e sapienti nel nostro linguaggio attuale sembrano segnare una distanza, sembrano termini che portano un po’ lontano dall’uomo e dalla donna di tutti i giorni che siamo noi eppure, secondo il libro dei Proverbi, la sapienza è a portata di mano e tutti la possono raggiungere. Che si chiami “sapienza” o “saggezza” l’etimo è lo stesso, è qualcosa che non allude ad una casta, ma allude piuttosto ad una realtà quotidiana. Potremmo dire, usando un linguaggio a noi familiare, che tutti e tutte siamo chiamati alla sapienza; è un po’ la vocazione comune diventare sapienti e saggi nella vita. Quando si usa questa parola occorre circostanziarla bene, perché non è un connotato che mette là in alto, su un trono, qualcuno; anche se in Israele, come in tutti i popoli del vicino oriente, c’erano i sapienti di professione. La sapienza era il cammino della gente, il cammino del popolo, è quello che unisce ogni persona, ogni donna, ogni uomo d’Israele, unisce tutte le stagioni della vita: “bisogna partire dall’infanzia a fare saggezza…” e non c’è mai chi, avanti negli anni, è diventato del tutto sapiente. E’ nel tempo che bisogna diventare sapienti, ma questo connotato appartiene a tutti.
Sapienza e saggezza significano scoprire che c’è un senso, che la vita non è un destino d’insignificanza, ma che c’è una strada nella vita per affrontare quello che, qualche volta, sperimentiamo come il vuoto, il non senso, l’esistere per caso. Il libro dei Proverbi parte da questa constatazione ottimistica: guarda che c’è un senso, il senso magari è nascosto, ma c’è un senso. Tu non devi rassegnarti al non senso, perché l’esistenza non è un fatto a caso. La sapienza è una strada per non essere preda di ciò che succede e per orientarti nel quotidiano. La vita di ogni giorno è un luogo in cui bisogna cercare un senso e le antenne per cercare il senso sono nel DNA, diremmo noi oggi, di ogni donna e di ogni uomo. Se si è “qui” è perché “qui” bisogna cercare una strada. E’ molto bello questo! Per chi è un po’ malato di teoresi sembra una banalità, invece no, la Bibbia è costellata di piccoli passi ed è nei piccoli passi che si va verso la montagna della saggezza.
E’ una sapienza con la s minuscola che viene prima di tutto dall’esperienza: dalle avventure, dalle disavventure, dalle riflessioni, dalle cantonate, da noi e dagli altri, dalle persone che incontriamo, dagli errori, dagli insegnamenti ricevuti, dai tanti volti anonimi ai quali dobbiamo qualcosa senza ricordare quando li abbiamo incontrati o come; è una sapienza dal basso. Detto in termini banali, se nella vita abbiamo fatto qualche piccolo passo è a questi incontri e persone che siamo debitori. Personalmente sento proprio di dovere molto a molti per la compagnia, il sostegno, la correzione, la resistenza, l’edificazione, il buon esempio che mi hanno donato. Quante cose s’imparano e si vivono solo perché si fa esperienza con altri! Una sapienza che viene anche dai nostri errori, dalle difficoltà, dalle asperità, dai dubbi; un arcobaleno d’infiniti colori.
La sapienza viene da quell’arte difficile, secondo il libro dei Proverbi, del guardarsi dentro e del guardarsi intorno. Le mille realtà ed esperienze della vita, i mille volti; imparare il doppio sguardo: lo sguardo del fuori, di ciò che c’è, la realtà, e lo sguardo del dentro. Porre un continuo passaggio dal dentro al fuori.
In una cultura che aveva molti spazi di silenzio c’era un invito ad essere saggi, a pensare, a riflettere. La giornata incominciava con “Ascolta Israele…”, era un atteggiamento di ascolto anche della realtà, non solo della Torah, della voce di Dio.
La sapienza è sempre provvisoria. Anche quando si appella alla tradizione, all’esperienza, magari lunga, di chi ci ha preceduto, resta una sapienza leggera, che non vuol dire superficiale, ma che non risolve tutto, che ha bisogno di “ulteriorità”, di essere ridiscussa. Le esperienze pongono nuove domande e spesso sconvolgono le nostre acquisizioni. La vita ti pone degli interrogativi; alcune volte ci domandiamo: “ma come mai me lo sono posto a 60 anni questo problema, non potevo pormelo già a 50, non potevo pormelo a 20 ?”. Tutto nella vita diventa interrogativo e si può sempre cambiare idea. I dubbi, i silenzi, gli smarrimenti, sono i nostri compagni di viaggio.
La sapienza dal basso non è nemica della sapienza dall’alto: qui c’è tutto l’insegnamento dell’oriente, ma anche della filosofia. Nella sapienza dal basso c’è il Dio dall’alto, c’è una voce di Di, c’è la voce della Torah che tuona dal Sinai, c’è la voce altrettanto tonante dei profeti, ma c’è anche il sussurro di Dio che ci raccoglie, ci accoglie, ci sollecita attraverso l’esperienza. Il biblista Petraglio dice: “nella sapienza dal basso spesso si ode il sussurrio della voce di Dio” solo che bisogna saperlo cogliere. “Inizio della sapienza è vivere al cospetto di Dio”, il cosiddetto timor di Dio, che significa tenere conto di Dio mentre cerchi di orientarti nella vita. “Al cospetto di Dio” non significa solo recitare la Torah, ma sapere che Dio è compagno di viaggio, che Dio è da scoprire dentro la vita, che io sono una creatura e lui è il creatore; è questo significato che da noi è stato tradotto con “il timore di Dio”. La parola “timore”, come sapete, ha poi dato adito all’accezione di “paura”. Nella tradizione cristiana siamo arrivati ad avere “terrore” di Dio: moltissime persone hanno ancora una vita segnata dal terrore di Dio, del giudizio di Dio.
Non tutto ci viene dall’alto del Sinai e non tutto riguarda il grande orizzonte dei profeti, perché? Perché la vita quotidiana è tale che Dio ci chiede di mettere del nostro; non bisogna in tutti i momenti implicare Dio, aspettare che Lui ci dia la risposta. Siamo noi che dobbiamo cercare un sentiero. Non possiamo sempre presumere di ascoltare la voce tonante del Sinai, la voce profetica. Noi in prima persona dobbiamo fare la nostra parte e questo appartiene ad una grande saggezza. Nella Bibbia incontriamo la Torah, i profeti, ma poi viene valorizzata l’esperienza. Se la Torah ti porta a pensare a Dio, se i profeti ti portano all’impegno per la giustizia, alla trasformazione della società, tu non devi mai dimenticare che cammini sulla terra e prima di ascoltare la voce dal cielo devi ascoltare la voce della terra, devi sempre stare con i piedi per terra; è dentro questa terra che devi orientare la tua vita.
Difficile dire se esiste uno specifico di Israele sul tema della sapienza. I libri di esegesi sulla sapienza d’Israele riportano anche decine e decine di opere di tutti i popoli vicini, specialmente dell’Egitto, ma anche di tutto l’Oriente, di tutta la zona della Turchia, di tutta la zona greca dove questi libri venivano scritti. I temi sono gli stessi: le tribolazioni del giusto, lo smarrimento della vita. Si è scoperto che ben prima della riflessione d’Israele c’è un Giobbe babilonese. C’è un altro libro tipo il Qoelet: “Dialogo pessimistico” viene chiamato e si domanda come mai c’è tanto dolore nella vita, ci parla della difficoltà di liberarci, poi c’è “L’istruzione di Amenomuppe”, scritta tra il 1000 e il 600 avanti Cristo in Egitto. Sono grandissimi poemi, grandissimi libri. C’era una via che accumunava tutto l’Oriente, è una linea che viene da 1000 anni prima del regno di Salomone, una storia lunghissima di grandissimi scritti sapienziali. Israele vi si inserisce, non ha assolutamente l’esclusiva e la sapienza dell’Oriente è la sapienza in cui si mescolano benissimo la fiducia nelle divinità e la fiducia nella ricerca. E’ una sapienza molto laica e insieme molto religiosa. Evidentemente l’Oriente non ha le nostre categorie, crede che bisogna trovare Dio nella vita quotidiana. La sapienza è la grande strada dell’incontro con Dio, una sapienza molto terrena. L’Oriente è uno spazio di grande pensiero: alla luce delle stelle si pensa, si vive, si soffre, si piange e, come si cerca una strada con le stelle, guardando in alto per orientarci, così si cerca una strada sulla terra; e in questo l’Oriente percepisce la presenza di Dio. La vita è un grande mistero, il senso del mistero, dell’inesplorato, il senso della creaturalità. Come per merito di alcune case editrici vengono pubblicate le raccolte di libri apocrifi, così accade anche per i libri sapienziali dell’Oriente, un grande patrimonio. Noi un tempo abbiamo avuto una stagione esegetica, teologica, in cui pensavamo di avere il monopolio di tutto, ma che felicità è scoprire che questo patrimonio appartiene all’umanità! La Bibbia è la nostra strada, ma se noi abbiamo uno stile di vita aperto, non dovremmo desiderare di avere il monopolio! Riusciamo così a salvare la nostra originalità, insieme però al grande convivio dei popoli, perché Dio non sta solo nel mio recinto! Una cosa è avere una identità, una cosa e farne un’ossessione: sono due cose così diverse. Io mi sento nell’identità cristiana, ma la mia identità non è ossessiva. Si può perdere l’identità dicendo: “tutto è eguale, non ci sono differenze”, ma il rischio è di farne un’ossessione, di credere che chi non sta nel mio recinto non esiste.
Nella sapienza che abbiamo chiamato “tradizionale” c’è un ordine voluto dagli dei, così dice tutto l’Oriente; il vero problema è che sta a noi scoprirlo, cioè cogliere l’ordine nascosto del creato, la bontà delle cose, il loro senso, la relazione tra le creature: la natura, l’acqua, gli animali, il tutto. E’molto presente il dato ecologico, diremmo noi oggi che però è nascosto ai nostri occhi. La vita è un mistero, i nostri occhi si fermano alla superficie delle cose, bisogna scoprire un ordine cosmico, perché nei libri sapienziali si parla di tutto a partire dal piccolo, piccolissimo, vissuto nella quotidianità. Piccolo, piccolissimo cosa vuol dire? “Stai attento che se bevi un bicchiere di vino ti può far bene ma uno e mezzo già ti può far male, stai attento quando mangi troppo, perché poi non sei più lucido…” tutte osservazioni piccolissime e forse banali, ma il macro ordine bisogna scoprirlo a partire dal granello di sabbia, ed è nel granello di sabbia, se tu impari a guardarlo che puoi trovare l’inizio della sapienza. Questo è in tutte le sapienze dell’oriente che hanno una visione ottimistica del creato; il creato subisce i nostri affronti e le nostre violenze: dagli animali alle persone ecc. Noi siamo capaci di violenza, però se impariamo la moderazione, l’etica della moderazione, allora ristabiliamo una relazione e nella relazione ritroviamo l’ordine.
Dopo l’esilio a Babilonia la sapienza affronta ancora in Israele altri temi che altrove erano stati affrontati addirittura prima: come mai soffre l’innocente, come mai c’è l’assurdo, come mai Dio non interviene, una volta dicevamo che questa era “l’anti sapienza”, è più corretto dire che anche la sapienza è un percorso e affronta sempre nuove tematiche. Probabilmente più che un anti sapienza è solo una sapienza che progredisce, che si allarga, si approfondisce, affronta tematiche più cocenti, o nuove, o sotto angolature nuove. La sapienza è come andare nelle stagioni della vita o dell’anno: c’è l’inverno, l’estate, dobbiamo attrezzarci. Quando compaiono problemi nuovi cosa fa la sapienza? Li prende, li guarda, li esamina, tenta di confrontarsi. Credo che oggi questa sapienza potrà salvarci, per esempio contro la distruzione del creato. Cos’è la teologia ecologica? E’ prima di tutto un atto di saggezza che vede convergere le grandi tradizioni religiose, culturali, filosofiche, agnostiche. Prenderci cura del creato è un atto di suprema saggezza, se volete, persino legata alla sopravvivenza ed è contro il non senso dilagante, contro l’abuso delle cose. Alcune tematiche sono ricorrenti: il senso della misura, del limite, perché per vivere le relazioni bisogna avere il senso del limite altrui e nostro. Perché qualche volta c’è una voglia di essere chissà chi, ma la felicità umana è legata a un po’ di salute, un po’ di senso, di buone relazioni, nella nostra creaturalità c’è il dna del limite, saperlo accogliere significa stare anche un po’ bene, altrimenti sei sempre lì che lotti per scalare qualche “montagna”, e per arrivare dove? Io che sono vecchio vedo che non sono arrivato da nessuna parte ma ringrazio Dio ogni giorno di poter camminare ancora un po’. Il senso del nostro vivere non è dove devo arrivare ma come posso vivere, cercare l’essenziale. Il sale della vita non è sempre “lassù”1.02.35 noi troviamo dentro le relazioni il sapore del vivere, lo troviamo nelle cose che facciamo, nella cena che mi prepara mia moglie quando tornerò a casa.