Lo stato laico e il crocifisso
di Chiara Saraceno
“la Repubblica” del 28 giugno 2010
«La laicità dell´Europa
non può essere
concepita e
vissuta in termini
tali da ferire
sentimenti
popolari e
profondi, bensì
come
disponibilità
ad accogliere
e amalgamare
le
tradizioni più diverse,
senza escluderne
alcuna, in una logica
non già di indifferenza
ed esclusione,
ma di inclusione
e arricchimento
reciproco».
E «nella
laicità dello
Stato
bisogna riconoscere
la rilevanza
pubblica e
sociale del
fatto religioso».
Queste
le parole
del Capo dello
stato interrogato
sulla questione
della presenza
del crocifisso
nei luoghi
pubblici, accolte
con grande
favore da
chi si appresta
a dare
battaglia contro la sentenza
della corte
europea.
Per quanto
condivisibile
nella
sottolineatura
di quanto di inclusiva e
rispettosa
della
pluralità religiosa
sia la definizione
di laicità offerta
da Napolitano, nella
sua parzialità si presta
in effetti
a interpretazioni
per lo
meno ambigue.
Laicità, infatti, non coincide
semplicemente
con pluralismo religioso,
pur essendone
la indispensabile
pre-condizione.
Piuttosto riguarda la rinuncia a far valere
– soprattutto nello
spazio pubblico e
su questioni
che hanno rilevanza
per tutti
– posizioni e
argomentazioni
motivate religiosamente.
Non solo perché,
se le
religioni
sono più d´una, esse
possono avere
posizioni contrastanti su uno o un altro argomento.
Piuttosto perché,
in una società
democratica
e laica, nessuna
motivazione
religiosa,
per quanto
nobile,
può valere
come criterio
di regolazione
valido per
tutti. Ovvero
non si tratta solo
o tanto di consentire
a tutti di far valere
le proprie
credenze
e
motivazioni religiose
come guida
del proprio
comportamento
personale.
Si tratta di creare
spazi in cui la ragione
del
confronto e
della partecipazione
non sia quella
della
appartenenza
religiosa.
La questione
della legittimità
della esposizione
del crociefisso
negli spazi
pubblici di uno stato
che si definisce
laico sta
tutta qui. Per
quanto nobile
e importante
sia la tradizione
religiosa
di cui il crocifisso
è simbolo, esso
non può marcare
lo spazio
pubblico, come
tale di
tutti. Tanto più non dovrebbe
marcare quel
particolare
spazio pubblico che
è la scuola: il
luogo della
formazione educativa,
in cui si dovrebbe
imparare
non solo a
rispettare
le appartenenze
e valori
di ciascuno, ma anche
a confrontarsi nonostante
le proprie
diverse
appartenenze,
per
costruire
appartenenze
comuni – inclusa l´"identità
italiana", che
certo non
può essere
identificata
con l´adesione
al crocifisso, come
sostiene
il cardinal
Bertone.
E neppure
si può spostare
il
discorso, rilevando
che si
tratta di un simbolo
ormai divenuto
sovra-religioso,
simbolo di
pace, universalità
e tolleranza,
come pure
appare tra
le righe
nella
dichiarazione
di Napolitano ed
anche del
cardinal Bagnasco. Non è vero
storicamente.
Soprattutto, l´eventuale
verità di
questa affermazione
sta nel
consenso
altrui, di coloro
che non
hanno nella
croce il
segno della
propria appartenenza
religiosa o
non religiosa.
Non può essere
affermata
autoritativamente.
La differenza
tra uno stato
laico democratico
ed uno confessionale
sta nella
protezione
dello
spazio pubblico da pretese
di "marcatura" sia religiosa
che mono-ideologica
(atea,
marxista, o altro). Ciò non significa indifferenza
rispetto
alla rilevanza
pubblica del
"fatto religioso".
E neppure
che non si
debba
parlare di
religione
e religioni
a scuola (cosa diversa
dall´educazione
religiosa,
che anzi
dovrebbe
essere
lasciata agli spazi propri delle
istituzioni religiose).
Piuttosto, la salvaguardia di uno spazio pubblico libero
da marcature
religiose,
mentre
legittima
la pluralità di forme
in cui il
"fatto religioso"
può esprimersi,
consente
anche una
presa di
distanza critica, una riflessione
su ciò che
di questo
"fatto", delle
forme in
cui si manifesta,
è accettabile
e congruente
con una società
democratica
fondata sul rispetto
della libertà
e della
dignità individuale
e che
cosa no.
Ma forse è
proprio questo
che fa
paura ai difensori
ad oltranza del
crocifisso negli
spazi pubblici, a coloro
che già
dichiarano che
faranno le
barricate.
Ancora più del
pluralismo religioso,
temono la verifica
critica delle
proprie
motivazioni e
"ragioni".