di Luca Kocci
ADISTA n° 73 29.9.2010
35778. ROMA-ADISTA. Chiesa e
mafia: due cupole. La prima, quella di San
Pietro, in Vaticano, centro e simbolo del potere
e dell’organizzazione della Chiesa cattolica; la
seconda, non a caso chiamata anch’essa “cupola”,
vertice che governa Cosa Nostra. Due cupole fra
loro lontane e distanti – e non solo
geograficamente – le cui storie però si sono
spesso intrecciate, le “teologie” sovrapposte e
gli appartenenti all’una o all’altra sovente
hanno percorso le medesime strade. È stato
questo il tema – le relazioni fra Chiesa
cattolica e mafie – dell’incontro organizzato a
Roma lo scorso 17 settembre (“Sotto le due
Cupole. Chiesa, religione mafia”) dalla nostra
agenzia insieme ad alcune realtà ecclesiali di
base (nodo romano di Noi Siamo Chiesa, Comunità
di base di San Paolo, Koinonia, Gruppo
di controinformazione ecclesiale, Liberamentenoi,
la Tenda e Cipax) che ha visto le partecipazione
di circa 250 persone (la registrazione audio e
video del convegno si trova sul sito web
di Radio Radicale all’indirizzo:
http://www.radioradicale.it/scheda/311099/tavola-rotonda-dal-titolo-sotto-le
-due-cupole-chiesa-religione-mafia).
“Gli stretti rapporti fra Chiesa cattolica e
mafia non sono un’invenzione della stampa: da
sempre le mafie hanno fatto uso di una
simbologia e di una ritualità presa in prestito
dalla religione cattolica, da sempre molti
uomini di Chiesa hanno mostrato compiacenza
verso i mafiosi”, ha esordito la sociologa
palermitana Alessandra Dino,
studiosa delle relazioni fra Chiesa cattolica e
Cosa Nostra e autrice, fra l’altro, della
Mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra
(Laterza, pp. 312, euro 9). “I mafiosi da sempre
si dicono cattolici, e partecipano a diversi
momenti della vita ecclesiale, sia per il
bisogno interiore, comune a molti, di credere in
qualcosa, come hanno raccontato diversi pentiti,
sia perché alla mafia serve la Chiesa: per
ragioni di appartenenza, identità e coesione
interna e per ragioni di consenso sociale. Il
boss che guida la processione di sant’Agata a
Catania – ha spiegato Alessandra Dino – è un
segnale molto forte agli occhi della gente: c’è
la benedizione della Chiesa, quindi un
riconoscimento pubblico”.
Fin qui dalla parte dei mafiosi. E da parte
della Chiesa? “Nel passato c’è stata
accettazione e compiacenza, anche da parte dei
vertici ecclesiastici, come il card. Ruffini
(arcivescovo di Palermo dal 1946 fino al 1967,
ndr), per cui la mafia era comunque
meglio del comunismo”. In buonafede, per tentare
di salvare la “pecora smarrita” o per scarsa
conoscenza e sottovalutazione, oppure in
malafede? Non è questo il punto, ha aggiunto
Alessandra Dino: quello che conta sono “gli
effetti storico-sociali di questa posizione,
ovvero l’aumento del consenso da parte di Cosa
Nostra, anche grazie al consenso manifestato da
molti uomini di Chiesa. E la controprova– ha
proseguito – è che, quando la Chiesa ha
pronunciato parole o compiuto gesti forti di
rottura, la mafia ha reagito: poco dopo il
famoso discorso di Giovanni Paolo II nella Valle
dei Templi di Agrigento nel maggio 1993 ci sono
stati gli attentati a Roma alle basilica di San
Giovanni in Laterano e alla chiesa di San
Giorgio al Velabro, e don Puglisi è stato ucciso
per il suo impegno antimafia. Questo dovrebbe
bastare per far capire alla Chiesa quanto Cosa
Nostra abbia bisogno del suo appoggio”.
Oggi la situazione è in parte cambiata: da parte
della Chiesa “c’è maggiore consapevolezza,
sebbene non ancora piena”, ha spiegato
Alessandra Dino. “Il documento della Conferenza
episcopale italiana sul Mezzogiorno dello scorso
febbraio (v. Adista nn. 12 e 31/10, ndr)
afferma che la mafia è struttura di peccato e
inconciliabile con la fede, ma si sofferma solo
sulla mafia che spara, mentre la mafia è forte
proprio quando non spara perché significa che ha
consenso e che ha ‘normalizzato’ l’illegalità, e
tace su due aspetti: la scomunica ai mafiosi e i
rapporti fra mafia, politica e imprenditoria,
sostenendo quindi che il Mezzogiorno d’Italia
soffre di una serie di difficoltà
economico-sociali senza però indicarne le cause.
Invece – ha concluso – credo che se la Chiesa
intende affrontare sul serio il problema e
soprattutto rompere ogni tipo di relazione con
le mafie deve sciogliere anche questi due nodi”.