Il marketing del Cavaliere e il bipolarismo della xenofobia
di Ilvo Diamanti
“la Repubblica” del 31 gennaio 2010
IL PREMIER Silvio Berlusconi nei giorni scorsi ha sostenuto
l'equazione: + immigrati = + criminalità. E ha ribadito il proposito di agire
in modo coerente e conseguente. Ridurre gli immigrati per abbassare il numero
dei reati e dei criminali. Altre fonti autorevoli hanno contestato la fondatezza
di questa relazione.
A partire dalle statistiche sui reati. (Trascurando, peraltro, che il tasso di
criminalità cresce insieme al grado di marginalità sociale. I ricchi non
rubano per strada o nelle case. E finiscono in carcere molto più raramente dei
poveracci). A noi interessano, invece, le ragioni di questa affermazione.
Proprio in Calabria, proprio alla presentazione del piano antimafia. Più logico
sarebbe stato un riferimento ai fatti di Rosarno, al ruolo delle organizzazioni
criminali e della 'ndrangheta nel mercato e nello sfruttamento dell'immigrazione
clandestina. Rivendicando a sé e al governo i successi conseguiti nella lotta
alle mafie nell'ultimo anno. Invece no. Piuttosto che alle organizzazioni
criminali ha preferito rivolgersi alla criminalità comune, sottolinearne il
legame con gli immigrati. Silvio Berlusconi non è un "radical-choc".
Raramente indulge alle battute di "bassa lega". Non gli riescono bene
come gli attacchi ai magistrati o a "certa stampa" che avvelena le
coscienze. Però gli capita. Ogni tanto. E mai a caso.
Perché la scelta dei temi e delle parole, nella comunicazione di Berlusconi,
non avviene mai a caso. Mai. D'altronde, i precedenti sono, al proposito, pochi
e facili da ricordare. Lo scorso maggio affermò che non è possibile spalancare
le porte a tutto il mondo. Che "l'Italia non sarà mai un paese
multietnico". Annuncio un po' tardivo, visto che ci vivono ormai 4 milioni
e mezzo di stranieri (Rapporto Caritas-Migrantes 2009). Ma, appunto, è
"l'annuncio" che conta. E, poi, il 4 giugno: "In alcune città
italiane, come Milano, a camminare per il centro, vedendo il numero di cittadini
stranieri, sembra di essere in una città africana". Perché a Parigi,
Londra oppure a New York, nelle altre metropoli globali, evidentemente, è
diverso. Tutti rigorosamente bianchi. Ma Silvio Berlusconi non è un
radical-choc. Se maneggia la xenofobia non lo fa per convinzione ma per
opportunità. Per marketing. Un tema fra gli altri. Come il calcio, il dolore,
lo sport, le donne. Basta far caso ai momenti. Le frasi appena ricordate
risalgono, infatti, alla campagna elettorale delle ultime europee. Nell'ultimo
caso, il 4 giugno, al comizio conclusivo tenuto a Milano insieme a Bossi. Anche
oggi siamo in piena campagna elettorale. E se il nemico, per Berlusconi, è il
Pd, insieme all'UdC, l'avversario è la Lega. A cui ha ceduto la candidatura
alla presidenza di due regioni importanti: il Piemonte e il Veneto (un'enclave).
La Lega: alleata necessaria eppure scomoda per un partito, il PdL, che ha una
base elettorale estesa nel Mezzogiorno. Ed esprime orientamenti molto diversi
dai leghisti. La criminalità, ad esempio, non è tutta uguale agli occhi degli
elettori.