Il sistema ecclesiastico nel
suo complesso è responsabile per la “copertura dei preti pedofili”. Una
proposta di “Noi Siamo Chiesa” per la situazione italiana
Roma, 31 marzo 2010
La Chiesa non sa autoriformarsi
La questione dei preti pedofili accomuna in
una profonda sofferenza nella Chiesa cattolica sia quanti si ritengono del
tutto ossequienti al Magistero, sia quelli che da tempo manifestano la
loro insoddisfazione per gli orientamenti attuali che sono lontani da una
coerente sequela degli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Tutti abbiamo
nella mente e nel cuore quanto dice l’Evangelo di Marco (9,42) su chi
scandalizza i piccoli, tutti siamo consapevoli del rischio concreto di
discredito nei confronti dell’intera
categoria dei presbiteri e dei religiosi, mentre ognuno di noi è
testimone di tanti loro esempi di segno contrario e anzi di grande passione per
il ministero e di vera fede nell’Evangelo testimoniata dalle azioni.
Questa difficile condizione di tutti è
aggravata dal fatto che si tratta, da una parte, di un fenomeno relativamente
nuovo, almeno quanto a notorietà ed a consapevolezza nell’opinione pubblica
della Chiesa (di qui un maggiore sconcerto e la ricerca un po’ affannosa delle
cause) e, dall’altra, dal fatto che la nostra Chiesa sta dimostrando ancora
una volta di avere in sé
così scarsa capacità di autoriforma.
Essa è costretta ad affrontare un grave problema solo perché esso è imposto
dall’esterno, dai giornali, dall’opinione pubblica, dalle vittime.
Probabilmente, se le strutture delle nostre comunità ecclesiali, a livello
locale, istituzionale e globale, fossero
diverse, e se tutte le opinioni avessero ascolto e fosse incoraggiato un normale
scambio di opinioni, senza esclusioni e senza privilegi per nessuno, la
situazione sarebbe ben diversa.
I fatti e le cause
I fatti sono noti, e poco contestabili.
Troppe vittime dei preti o dei religiosi pedofili, nel momento in cui – spesso
con grande dolore e vergogna – hanno deciso di denunciare i fatti si sono
trovate di fronte al muro di gomma da parte di chi avrebbe dovuto essere,
dall’inizio e fino in fondo, dalla loro parte. Il fenomeno si è rivelato
molto diffuso, dagli USA a molti paesi europei, presente in parrocchie ed
istituzioni educative; e non si sa quanto sia esteso. Da qualche tempo sempre di
più si è manifestato in strutture di antica e tradizionale fedeltà alla
Chiesa e di secolare prestigio, quali la Chiesa cattolica in Irlanda o in
Germania.
Come si è determinato? Quali le sue radici?
Bisogna affrontare una riflessione di lungo periodo che non potrà non
coinvolgere molti altri problemi della Chiesa a partire da quelli che riguardano
il rapporto autorità/potere, fedele/ministro ordinato, liberta/sessualità.
Adesso si discute molto se ci sia un rapporto diretto tra pedofilia e celibato
obbligatorio del clero latino; gli esperti tendono ad escluderlo. Ciò che si può
comunque constatare, anche sulla base del semplice buon senso, è un certo
deficit, a volte completo o quasi, di educazione serena alla sessualità nelle
sedi dove si forma il presbitero, il religioso o il monaco. L’assenza o la
scarsità della presenza femminile nell’iter formativo, la consapevolezza di
non avere nella propria vita la prospettiva di una normale vita di coppia
possono essere elementi che favoriscono, in alcune situazioni, gravi carenze
nella formazione della personalità (1). Comunque la discussione sulla necessità
della modifica del sistema del celibato obbligatorio nella Chiesa – che è
causa di gravi problemi per la vita di molti presbiteri nella Chiesa latina,
specie in alcuni paesi – ha avuto una giusta accelerazione come conseguenza di
tutta questa vicenda.
Probabilmente bisogna guardare più a fondo, anche nella selezione degli ammessi
ai seminari, nei modelli di vita proposti, nelle culture delle relazioni.
Ipotizziamo che, a parte i casi di vera e grave
patologia, sfuggita agli educatori o da essi sottovalutata, alcuni candidati al
presbiterato abbiano ritenuto forse di risolvere il loro originale disagio
affettivo/sessuale abbracciando lo stato ecclesiastico e celibatario:
il problema però è rimasto intatto e si è probabilmente aggravato.
Ipotizziamo anche che abbia avuto un peso
la liberalizzazione dei costumi sessuali nella nostra epoca, che ha trovato
sguarniti anche i presbiteri o i religiosi, nonostante la preparazione
teorica sul piano etico e spirituale, e abbia ingenerato, specie in coloro che
sentivano la fatica della dimensione celibataria, un
senso di frustrazione .
In questo “Anno sacerdotale” ci
piacerebbe sapere se, in tante ripetizioni enfatiche del ruolo del presbitero,
ci sia stato o ci sia
spazio per una riflessione su tutta la complessa problematica della sua
formazione e dell’intervento nel caso di devianze da un normale equilibrio psicosociale.
Inaccettabile ci sembra, comunque, “il superficiale rimando alle conseguenze
della secolarizzazione e, anche peggio, a un malinteso permissivismo,
conseguente alla cattiva interpretazione del Concilio” (2), di cui parla
Benedetto XVI nella lettera del 19 marzo ai cattolici d’Irlanda.
Cattolici di serie A e cattolici di serie B
In
attesa di approfondire meglio le questioni di fondo, ci interessa
capire la posizione delle strutture ecclesiastiche di fronte ai fatti.
L’approccio – ci sembra – finora è stato quello di porsi solamente di
fronte al ”peccato grave” di un soggetto membro dell’apparato
ecclesiastico. Questa ottica ha prevalso su tutto, quasi ci si trovasse
di fronte, da una parte, a cristiani di serie A, pedofili da riciclare, da
cercare di recuperare anche per la carenza di clero e, dall’altra, a cristiani
di serie B , le vittime da invitare al silenzio, alla sopportazione nel nome
dell’ interesse generale (quale? quello
di una casta, non certamente quella della comunità dei credenti). Ci
troviamo di fronte a una logica simile a quella del “primato del sabato” –
prima la legge e poi, se rimane spazio e tempo, la carità; e. nel nostro caso, prima sempre l’Istituzione-Chiesa, il
suo onore e la sua difesa; poi, molto poi, le sofferenze dei soggetti più
deboli, dei bambini, delle bambine, dei giovani.
Il segreto di Curia e il lassismo
La conseguenza di questa scelta di apparato
è stata quella di rinchiudere i fatti all’interno del proprio ordinamento e
di escludere (salvo rare eccezioni) l’autorità civile, la magistratura. Quali
siano le conseguenze di questo
orientamento sono sotto gli occhi di tutti. Questa linea di comportamento denota
anche, a nostro avviso, un deficit ecclesiale e culturale nel modo di
rapportarsi col potere civile, visto come qualcosa di cui solo diffidare, come
se esso fosse solo un intruso in questioni del tutto private.
Infine è stupefacente constatare –
non riusciamo a trovare spiegazioni
– quanto ampio sia lo stacco radicale tra una simile tolleranza
(diciamo pure indulgenza) praticata nei confronti di colpevoli di gravissimi
comportamenti sessuali e invece l’ossessione, rigorista, della teologia morale
“ortodossa”, quella dei seminari e dei documenti pontifici, su tutte le
questioni che riguardano il sesso (aborto, contraccezione, convivenze, rapporti
omosessuali ecc…). Se si fosse usato contro la pedofilia, in ambito
ecclesiastico, il cinque per cento dell’impegno degli apparati, della
pastorale e dei vertici della Chiesa romana per queste questioni, saremmo ora in
una situazione ben diversa. Può essere considerata come molto
blanda attenuante il fatto che la tutela delle vittime e la verità dei
fatti hanno acquisito negli ultimi tempi, nella coscienza pubblica, una maggiore
importanza.
Le reazioni di fronte allo scandalo
Quali sono state nell’establishment
ecclesiastico, in particolare nella Curia romana, le reazioni di fronte
all’allargarsi dello scandalo? Un primo atteggiamento è stato quello di
parlare di un “complotto laicista” nei confronti della Chiesa e,
direttamente, nei confronti del Papa (3). Ci sembrano reazioni estreme, di gente
smarrita, coi nervi a fior di pelle, che non vale nemmeno la pena di prendere in
considerazione.
Un secondo modo di reagire è stato quello
ufficiale; ci sembra che esso abbia enfatizzato i recenti interventi del papa
sul problema (come ha fatto, ad esempio, il direttore della Sala stampa della
Santa Sede, padre Federico Lombardi, il 14 marzo); abbia addotto scusanti,
citando la rivoluzione sessuale che avrebbe avuto riflessi negativi anche in
ambienti ecclesiastici; abbia, infine, sottolineato che si tratta di un fenomeno
diffuso, e forse ancor più, in tutta la società, e per il quale la Chiesa non
avrebbe più responsabilità di altri; per
cui, “concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva
“(sempre padre Lombardi, il 9 marzo). Ammesso
ma non concesso (ma qui non vogliamo approfondire tale questione) che il
quadro “statistico” fosse quello delineato dalle fonti vaticane, ci sembra
davvero grottesco mettere sullo stesso piano le responsabilità di preti
educatori, che dovrebbero ispirarsi al Vangelo, con quello di altri soggetti
che, a diverso titolo, hanno a che fare con i giovani.
Il card.
Tarcisio Bertone si è
consolato sostenendo (il 16 marzo in un incontro con la Confindustria)
che “la Chiesa ha ancora una grande fiducia da parte dei fedeli, solo che
qualcuno cerca di minare questa fiducia; ma la Chiesa ha con sé un aiuto
speciale dall’alto”. Questa dichiarazione, insieme ad
altre, testimonia di un atteggiamento troppo sicuro di sé e, quasi, arrogante.
Approfittando di questo aiuto “dall’alto”,
bisognerebbe forse, invece di fare quadrato, pensare a una rigenerazione
di tutto il sistema. In una nota del 27 marzo,
il Padre Lombardi sostiene addirittura che da tutta la vicenda
“l’autorità del Papa e l’impegno intenso e coerente della CDF ne escono
non indeboliti, ma confermati” nel “combattere ed estirpare la piaga degli
abusi”.
Le responsabilità
Sono evidenti, e ineliminabili, le
responsabilità di quei vescovi e di quei superiori religiosi che hanno
trasferito da una parrocchia all’altra, da un istituto all’altro i preti
pedofili, invece che allontanarli dal ministero e rivolgersi alla magistratura.
La quasi uniformità di questi comportamenti in diversi paesi ci costringe –
come del resto molti altri cattolici, nel mondo, chiedono –
a concentrare la nostra attenzione sulla struttura di vertice della
Chiesa e sul suo funzionamento. Il testo base è il documento Crimen
Sollicitationis
del 1962: nei suoi 74 articoli ci sono prescrizioni sul processo canonico
e un’ossessiva richiesta di segretezza da parte di tutti, imposta sotto pena
di scomunica ipso facto et latae
sententiae (cioè
automatica al compimento del fatto senza necessità di un uno specifico
provvedimento dell’autorità ecclesiastica). Il riordino della normativa
interna contenuto nella lettera “De delictis
gravioribus” del 18
maggio 2001 (firmata insieme
dal card. Ratzinger
e da mons. Bertone, allora
segretario della CDF, approvata da Giovanni Paolo II e inviata a tutti i
vescovi) conferma che ogni questione deve essere affrontata per canali interni
(prima dall’Ordinario locale e poi dalla Congregazione per la Dottrina per la
fede).
Nessun accenno si fa nei due documenti alla tutela delle vittime, nulla si dice
sul deferimento alla magistratura qualora la vittima si sia rivolta al vescovo o
a qualche esponente ecclesiastico, nulla si dice sul risarcimento alle vittime.
Tutti i procedimenti sono soggetti al “segreto pontificio”, istituto che è
stato per troppo tempo ed è ancora all’origine della copertura di scandali.
Un’intervista di Bertone (su
“30 giorni” del febbraio 2002) dà l’interpretazione autentica della
Lettera; egli tende a proteggere il vescovo dall’obbligo di denuncia dei
delitti alla magistratura. Incalzato dal giornalista, egli si limita a dire:
“Non escludo che, in particolari casi, ci possa essere una forma di
collaborazione, qualche scambio di informazioni, tra autorità ecclesiastiche e
magistratura”. Ma, precisa, la norma è quella di gestire la questione in
segreto, e all’interno della Chiesa.
In una
intervista (su Avvenire del 13 marzo), lunga, interessante e tutta
sulla difensiva, mons. Charles
J. Scicluna, promotore di
giustizia presso la CDF, descrivendo le caratteristiche del procedimento presso
la Congregazione, conferma nella sostanza il ben scarso ricorso alla giustizia
civile. “Una cattiva traduzione in inglese ha fatto pensare che la Santa Sede
imponesse il segreto per occultare i fatti…
ma la normativa sugli abusi sessuali non è mai stata intesa come divieto
di denuncia alle autorità civili” (ma perché la normativa non prevede
esplicitamente e in modo non equivocabile, come invece dovrebbe, il dovere della
denuncia alla magistratura?). Perciò la questione dell’errata traduzione ci
sembra veramente incredibile da sostenere !
Per quanto riguarda poi l’Italia Scicluna
è preoccupato “da una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo
diffusa”. Nei paesi di cultura giuridica anglosassone ma anche in Francia –
nota il prelato – i vescovi, per notizie ricevute al di fuori della
confessione, sono obbligati a denunciare i preti pedofili alle autorità
(ma non si direbbe che ciò, di norma, sia avvenuto viste le notizie che
abbiamo ricevuto e che ancora riceviamo in questi giorni da tanti paesi,
USA e nordEuropa, e da parte
delle associazioni delle vittime). Nei paesi dove non c’è l’obbligo “non
imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti
ma li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a
denunciare”. A noi sembra che risulti tutto il contrario: troppi fatti
indicano che i vescovi e le altre autorità ecclesiastiche finora, salvo ben
rare eccezioni, hanno invitato le vittime al silenzio assoluto e alla
sopportazione (per il bene della Chiesa!). Questo è il comportamento veramente
grave che non è per niente assimilabile al caso, ovviamente più delicato, del
vescovo che venga a conoscenza dei fatti sotto vincolo di segreto sacramentale o
professionale.
L’intervento di Hans
Küng
La questione delle responsabilità della
struttura centrale della Chiesa si impone esaminando i fatti e quanto si sa (ed
è sufficiente) sul suo funzionamento. Küng
ha posto il problema per primo nella parte finale del suo recente articolo (su
“Repubblica” del 18 marzo e poi alla radio svizzera) chiamando in causa le
responsabilità personali di Joseph
Ratzinger. Ci sono fatti
incontrovertibili. I comportamenti, quasi sempre omogenei, dei vescovi nel mondo
di fronte a questo problema indicano che c’è, o c’era, una cultura comune e
una struttura conseguente; e abbiamo detto
delle norme canoniche esistenti. Come può
infatti chiamarsi fuori chi, da tutto il mondo, ha avuto sul proprio
tavolo – è da presumere – per oltre vent’anni le segnalazioni dei casi di
pedofilia del clero?
La lettera di Benedetto XVI ai
cattolici d’Irlanda è severa con la Chiesa locale (senza peraltro decidere
provvedimenti concreti) ma
nulla riconosce delle responsabilità specifiche della Santa Sede. Eppure, ad
esempio, esse emergono con chiarezza, nel caso irlandese, dal rapporto Murphy;
prima la CDF nel settembre del 2006 e poi il Nunzio in Irlanda nel febbraio
2007, si rifiutarono di rispondere alle richieste di collaborare alle indagini.
Altre vicende vengono alla luce come quella relativa ad un caso nella diocesi di
Milwaukee, sollevato con grande
evidenza dal New York Times
(anche in questo caso la risposta di padre Lombardi alle accuse appare sulla
difensiva e di tipo giustificatorio).
Il mea culpa richiesto da Küng
è atteso ormai da tanti, a partire dalle vittime (quelle irlandesi, peraltro,
si sono dichiarate insoddisfatte della Lettera del 19 marzo).Infatti, il sistema
della trattazione dei delitti, accentrato nei vescovi e nelle Curie e poi nella
CDF, deve essere deplorato e censurato con forza sia dal punto di vista della
morale cattolica e laica che da quello del corretto rapporto con le vittime. Non
voler riconoscere la realtà e le responsabilità ultime per un malinteso
rispetto del pontificato ci sembra un grave errore alla luce della credibilità
dell’annuncio della Parola.
E’ nostro dovere di membri di questa
nostra Chiesa pretendere che tutto il sistema – nel modo di affrontare tale
questione – sia smantellato,
che il papa riconosca la realtà dei fatti, chieda perdono e si inizi un
percorso di purificazione e di conversione che coinvolga tutti i responsabili
diretti delle tristi vicende e poi tutti i credenti perché lo Spirito aiuti la
Chiesa cattolica in questo passaggio difficile. Un percorso che inevitabilmente
comporta che ogni singolo vescovo, ovunque eserciti il suo ministero, se
oggettivamente responsabile di aver sacrificato le vittime per salvare la
pretesa onorabilità della Chiesa romana, affronti il problema – personale e
strutturale – della opportunità, o forse della necessità, delle sue
dimissioni.
La situazione in Italia e la Conferenza
episcopale
In Italia l’estensione del fenomeno degli
abusi sessuali sembra per ora
contenuto, almeno se raffrontato con quanto sta succedendo in NordEuropa
e negli USA. Trattandosi per sua natura di un fenomeno clandestino e trattato,
in generale, nel segreto, è difficile capire se nel nostro paese esso sia
effettivamente di minori dimensioni. È possibile che esso sia
emerso in misura modesta, forse anche per una maggiore pressione
sulle vittime per ottenerne il silenzio. Comunque, sull’onda della situazione
d’oltralpe, sono ormai tanti i
fatti documentati di pedofilia che hanno avuto come protagonisti preti o
religiosi (4), mentre le vittime si stanno organizzando. Gli episodi emersi fino
ad ora sono stati gestiti in modo simile a quanto avvenuto negli altri paesi.
Ciò premesso, veniamo al primo intervento
pubblico, e relativamente dettagliato, dei vertici della Conferenza episcopale
italiana sulla questione della pedofilia del clero. Aprendo,
il 22 marzo, la sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente della
CEI, il card.
Angelo Bagnasco
aveva toccato anche questo problema; l’assemblea ne ha poi discusso, giungendo
alle conclusioni espresse nel comunicato finale dei lavori diffuso il 30 marzo:
i vescovi plaudono all’”atteggiamento fermo e illuminato di Benedetto XVI”,
esprimendogli piena solidarietà; confermano il valore del celibato
obbligatorio; esprimono fiducia nei tanti sacerdoti che adempiono con impegno
evangelico al proprio ministero. Precisano, poi: “Il rigore e la
trasparenza nell’applicazione delle norme processuali e penali canoniche
[contro il reato di pedofilia del clero] sono la strada maestra nella ricerca
della verità e non si oppongono, ma anzi convergono, con una leale
collaborazione con le autorità dello Stato, a cui compete accertare la
consistenza dei fatti denunciati”.
Ci sembra importante l’enunciato impegno a
collaborare con le autorità dello Stato, anche se non è esplicito l’invito
ai vescovi ad indirizzare alla magistratura
le vittime delle violenze sessuali del clero e ci si richiama
ancora al processo canonico come “strada maestra”. Tuttavia – ci sembra
– i vertici della CEI, forse sorpresi e angosciati dagli avvenimenti in corso,
e incerti tra autogiustificazioni
e autoassoluzioni, denunce di
“complotti” contro il papato e il timore di aprire nella Chiesa cattolica
italiana un dibattito dagli esiti incerti per l’establishment ecclesiastico,
non prospettano, almeno per ora, nessuna iniziativa concreta e immediatamente
fattibile. Non vorremmo che, passata la bufera, tutto continuasse come prima.
Una proposta per l’immediato futuro
Non si può stare fermi e dire solo belle parole che vorrebbero essere
rassicuranti. In assenza di altri, proviamo ad assumerci la responsabilità di
fare una proposta concreta, sperando che sia presa in considerazione. Noi
proponiamo che, da subito, le autorità della Chiesa cattolica italiana decidano
l’istituzione di strutture indipendenti per occuparsi dei casi di pedofilia
che riguardano il clero, i religiosi e tutti i soggetti interni alle strutture
che, in vario modo, fanno parte della nostra Chiesa. Si potrebbe istituire
in ogni Conferenza episcopale regionale un “Collegio per l’ascolto e la
trasparenza”, composto, per esempio, di tre membri, che abbia come proprie
caratteristiche fondamentali quello di essere indipendente da ogni autorità
ecclesiastica o di altro tipo, di agire con riservatezza e con criteri garantisti,
di ricevere le lagnanze e/o le segnalazioni di qualsiasi tipo relativi a
questioni che riguardino casi di pedofilia avvenuti in ambito ecclesiastico.
Questo Collegio dovrebbe avere il compito di
analizzare le situazioni ad esso
sottoposte e, se del caso, deferire i fatti alla magistratura, avvisando
l’autorità ecclesiastica. Contemporaneamente il Collegio dovrebbe potersi
rivolgere a servizi sociali, educativi e sanitari, ai quali sottoporre
situazioni che ne possano richiedere l’intervento; e dovrà pure
occuparsi del problema del risarcimento, morale e materiale, nei confronti delle
vittime. Questo “luogo” dovrebbe essere fatto conoscere nelle parrocchie e
in ogni altra sede frequentata da credenti,
attraverso i mass media del mondo cattolico, essere facilmente
accessibile (sede, web, posta elettronica, numero verde…) e dotato di
strumenti minimi, anche di tipo economico, per operare. Salvo modifiche in
futuro, allo stato attuale e per procedere speditamente, non vediamo altre
possibilità che sia la stessa
autorità ecclesiastica a scegliere chi ne possa fare parte, dopo consultazioni
non formali con gli organi esistenti di partecipazione (Consigli pastorali).
Ci permettiamo di indicare dei criteri per
la sua composizione: persone senza alcuna responsabilità attuale nella Chiesa e
che provengano possibilmente dalla magistratura. Soprattutto, questi Collegi
dovranno prevedere obbligatoriamente al proprio interno la presenza femminile.
La qualità delle persone scelte sarà testimonianza della reale volontà delle
autorità ecclesiastiche di fare sul serio.
Sono proposte che ci permettiamo di
sottoporre alla discussione nella nostra Chiesa – in altre Chiese cattoliche
locali in questi giorni si è già andati in questa direzione (5) – ci
sembrano ragionevoli, facilmente attuabili e tali, soprattutto, da dare
credibilità alle persone che chiedono fiducia, e che, in questo modo, possono
essere garantite da strutture indipendenti.
NOI SIAMO CHIESA
(1)
Aldo Bodrato, su Il
Foglio, pubblicazione di cattolici di Torino, numero di marzo, così
analizza il problema: “Dicono che non il celibato in sé, ma la sua
obbligatorietà e esclusività, come via di accesso ai ruoli guida nella comunità
ecclesiale, tende a formare nelle coscienze degli aspiranti l’idea che
l’emarginazione della questione sessuale nella vita del clero sia doverosa e
che una scarsa propensione all’esercizio dell’amore eterosessuale o
omosessuale è premessa indispensabile e sufficiente a fare un buon prete e ad
aprirgli una promettente carriera. Di qui la creazione di un percorso formativo
e la diffusione di una spiritualità celibataria,
disattenta alla maturazione sessuale dell’individuo e propensa a lasciare
aperte vie secondarie e deviate all’esercizio della sessualità stessa”.
(2)
Ibidem su Il Foglio di marzo.
(3)
Si legga l’intervista al card.
Camillo Ruini sul
quotidiano Il Foglio del 16 marzo, la lettera di Marcello Pera su Il
Corriere della Sera del 17 marzo e l’articolo di Massimo Introvigne su Avvenire
del 18 marzo. A questi interventi è facile obiettare che le reazioni da essi
definite “laiciste” possono essere la conseguenza diretta della linea di
arroccamento delle gerarchie vaticane di fronte alla presenza della questione su
tutta la stampa nazionale e internazionale.
(4)
I fatti emersi nel nostro paese sono stati riassunti nel servizio comparso
sull’ Espresso in data 31 marzo 2010, “Pedofilia, l’inferno italiano”, a
cura di Tommaso Cerno, leggibile anche sul sito http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pedofilia-linferno-italiano/2123759//1.
Il fatto che l’inchiesta sia stata fatta da un settimanale di cultura
“laica” viene addotto, negli ambienti ecclesiastici, a sostegno della
tesi dell’esistenza di una posizione di preordinato accanimento contro la
Chiesa romana. Bisognerebbe però rispondere sui fatti invece che cercare ancora
comode scappatoie alle situazioni
drammatiche indicate nel dossier, che provengono dalle denunce delle vittime e
che spesso sono state confermate da sentenze dei Tribunali. D’altronde,
perché i media cattolici
ufficiali e ufficiosi non hanno fatto, essi, prima della stampa “nemica”,
analisi vaste ed approfondite sulla piaga della pedofilia del clero?
(5)
Il card. Christoph
Schönborn, arcivescovo di
Vienna, ha informato che la Chiesa austriaca ha affidato a una donna laica il
compito di formare una Commissione indipendente sul problema (peraltro non
gradita da tutti i movimenti della Chiesa di base), in Olanda la Chiesa ha
istituito una commissione d’inchiesta indipendente presieduta da un
protestante ex presidente del parlamento, in Germania il vescovo di Treviri
Stephen Ackermann,
responsabile per tutte le diocesi tedesche per il problema degli abusi, ha
aperto una linea telefonica per ricevere le denunce e per segnalarle alla
magistratura. Sono note le iniziative della diocesi di Bolzano-Bressanone,
ora sarà l’ex-difensore civico
della provincia autonoma a essere referente indipendente per le vittime,
nominato dalla Diocesi a questo compito.