Dov’è la profezia oggi?

Abacuc, Giona, Amos e gli altri profeti della Bibbia hanno ancora qualcosa da dirci? Possono aiutarci a riconoscere la profezia anche nelle contraddizioni del nostro tempo - introduzione ai profeti minori

 

Di don Franco Barbero

 

da "cdb informa" n° 46 marzo 2010

 

Testo ricavato dalla sbobinatura della registrazione della serata del 15/9/2009, non rivista dall’autore

 

Non dovendo introdurre i singoli profeti guardiamo il tempo della loro vita e del loro messaggio. Il ciclo dei cosiddetti “profeti minori” si estende dal IX fino al IV secolo a.C. Questo è un periodo che accompagna sostanzialmente quasi tutto il tempo della monarchia, il tempo dell’esilio e il primo secolo del dopo esilio. In realtà si tratta di capirci bene quando parliamo di profeti, perché nella Bibbia ebraica avrete notato che la collocazione dei libri dei profeti è totalmente diversa dalla Bibbia cristiana: in quest’ultima, tanto per delineare grosso modo, ci sono dapprima la Torà “la legge”, poi ci sono i vari libri storici (Giosuè, I Re ecc.) e alla fine prima dei profeti ci sono i cosiddetti “libri sapienziali”: Sapienza, Qoèlet ecc.. Noi nella Bibbia cristiana abbiamo messo i profeti, e in particolare i profeti minori, immediatamente prima del 2° Testamento, perché nella lettura cristiana i profeti preannunciano il messia; quindi abbiamo spostato l’ordine della Bibbia ebraica. Senza contare poi che tra protestanti e cattolici, con il dato dei deutero-canonici, ci sono ancora altri spostamenti.

Nella Bibbia ebraica i profeti sono distinti in 2 gruppi. Il primo comprende i libri di Giosuè, Giudici, 1 e 2 Samuele, 1 e 2 Re, che vanno dalla conquista di Canaan fino alla deportazione a Babilonia. Dentro questa tradizione storica i portavoce di Dio sono: Samuele, Natan, Elia, Eliseo, la profetessa Hulda (2Re) e altri profeti minori. In questo primo gruppo non si trovano gli scritti dei profeti, ma la profezia è rappresentata dalle loro vite dentro la Storia.

Per l’ebraismo, a differenza del cristianesimo, non si ritengono profetici solo gli  scritti dei profeti, ma anche quei libri nei quali la direzione del disegno di Dio è segnata da figure profetiche. E’ chiaro che non si possono leggere i profeti minori, che la Bibbia ebraica non chiama così, ma “i 12 profeti”, se non tenendo conto di Eliseo ed Elia i quali, da persone diventano anche personaggi, vengono anche mitizzati.

Un secondo gruppo di libri è diviso in 4 raccolte: Isaia, Geremia, Ezechiele ed i 12 profeti. Sono 4 unità letterarie, quasi uguali come numero di versetti. I 12 profeti nella vulgata latina vennero chiamati “i profeti minori”, ma minori per lo spazio letterario, certamente non per il messaggio.

Nella lettura cristiana, noi abbiamo portato l’accento sui profeti come annunciatori di Gesù messia; l’ebraismo evidentemente non ci pensa. I profeti parlano per il loro tempo, non annunciano nessuno. Dovremmo rifletterci un po’ come cristiani perché abbiamo fuorviato il testo ebraico! Su questo tema vi consiglio il testo di Renzo Petraglio “La scrittura che libera” Borla, 2008 - che fa vedere appunto le  differenze tra la concezione ebraica e quella cristiana.

Questi 12 profeti, che sono “sgranati” nel tempo, sono delle persone poco visibili, perché loro parlano poco di sè, ancora di meno di quanto facciano Isaia e Geremia, perché a loro interessa il messaggio. Nella tradizione ebraica non c’è l’idea del “santo”, ciò che conta è il messaggio. La loro persona è però poco visibile, anche se è storicamente certa, perché siamo sicuri della loro vita e della loro presenza in Israele; tutta la tradizione testuale non ha nessun dubbio su questo. Di alcuni sappiamo qualcosa di più come per Amos. Occorre tenere conto di un aspetto: il profeta, sovente nella lettura biblica cristiana, ma anche in quella ebraica - alcuni vizi ci caratterizzano tutti - viene visto attraverso lo stereotipo dell’“anti…”:  “anti-re”, “anti-culto”, ecc. Non è così perché, per esempio, Ezechiele è un sacerdote/profeta, poi c’è il profeta che si occupa della corte, il profeta che consiglia il re e quello che si scaglia contro il re. La varietà dell’identità profetica del messaggio ci costringe a non farne uno stereotipo: ci sono degli elementi assolutamente comuni nei profeti, ma poi c’è lo specifico di ognuno di essi.

La parola di Dio è permanente, la parola profetica è contingente. Nell’etimo latino contigere deriva da cuntango che vuol dire tocco, è una parola che “tocca” una realtà, “tocca” un tempo, “tocca” quelle persone. La Scrittura e il suo messaggio sono permanenti, ma dov’è che la Scrittura diventa parola? Quando tocca il nostro cuore, quando si inserisce nel contesto. La scrittura è una scrittura lontana, come si avvicina il messaggio? Quando ci “tocca”, quando tocca la realtà.

Bisogna ricercare il panorama storico, le individualità profetiche, dare voce a queste differenze, ricordandoci che ci sono dei profeti pre esilici, esilici e post esilici, con qualche dubbio su alcuni come il profeta Aggeo, per il quale la determinazione del tempo in cui è vissuto è abbastanza incerta. Sono pre esilici: Amos, Osea, il primo Isaia (cap. 1-39), Michea, Naum, Sofonia, Abacuc. Sono invece esilici: Geremia, Ezechiele e il deutero Isaia (cap.40-55): l’esilio ha una bella fetta profetica. Nei post esilici: Aggeo, il proto Zaccaria, il trito Isaia (cap-56-66), Malachia, Abdia, Gioele, Giona, deutero Zaccaria. Il profetismo, come vedete, accompagna la storia; nella Bibbia ebraica è messo prima degli “scritti” perché fa da ponte:  prima c’è la Torà - Dio parla, il Sinai - poi Dio oracolizza, poi Dio ci invita a cogliere i sentieri della sapienza, nei libri della Sapienza. La sapienza ebraica ha una grande fiducia nell’uomo e nella donna! Io non leggo i libri della Sapienza per ripetere, ma per imparare a diventare sapiente. Noi sovente leggiamo la Bibbia credendo di prendere di lì la soluzione dei nostri problemi, si tratta invece di ricevere la testimonianza di chi, prima di noi, ha cercato e di sfidare la vita, cercando anche noi un sentiero. La lettura ha sovente la preoccupazione di attualizzare, ci porta a dire: che cosa io ricavo di qua? Diventa una lettura moralistica. Io ricevo principalmente una testimonianza. Soprattutto la interpellazione biblica non è tanto perché io ripeta quella risposta, ma perché io, sapendo che il messaggio fondamentale è l’affidamento a Dio e la scommessa di amarci nell’umanità senza barriere, dovrò tradurre questo nell’oggi. I pilastri sono pochi, restano quelli del Deuteronomio, del Sinai. La Bibbia ci fa passare attraverso tanti sentieri, perché Dio si avvicina a noi mediante la Torà, mediante i profeti, mediante la sapienza e noi cerchiamo dentro questi vari sentieri. Ognuno di noi ha, nelle stagioni della vita, il cuore più disponibile a determinati messaggi.

La parola nabi, che noi traduciamo con profeta, in ebraico significa quasi in modo indecifrabile colui che è chiamato, ma anche colui che chiama il popolo. Sono vere tutte e due la cose, Chiamato: nel senso che è consapevole di una missione, ma anche colui che chiama. Sovente il profeta dice: ”grida…”

Vediamo un po’ più da vicino l’identità di questi personaggi, lasciando poi a voi i bei commentari che ci sono, ad esempio i due volumi usciti dalla Claudiana “I profeti minori” nella collana strumenti.

Una importante caratteristica del profeta è di uno che vive il suo tempo. Vivere nel proprio tempo è esattamente ciò che la nostra chiesa non sta facendo, noi viviamo o nella nostalgia o nella fuga. Vivere nel tempo significa individuare i problemi, usare il linguaggio, pensare l’immaginario, intervenire sapendo che gli uomini e le donne sono situati in un tempo. Perché dico questo: in uno dei libri che molto vi raccomando “Una fede incredibile nel secolo XXI” Massari editore, l’autore il teologo spagnolo, Lorenzo Salas, dice: se la fede la si presenta così come è presentata oggi, diventa incredibile. In un altro libro: “Il sogno di Nabucodonosor” l’autore, il gesuita Roger Lenaers un teologo nato nel 1925 ma è di una giovinezza intellettuale fulgida, dice: la chiesa cattolica non si accorge che ci sono 2 o 3 tempi al proprio interno; vive nel suo passato, continua a parlare con Nicea, Costantinopoli, con tutta la mariologia, di Gesù espiatore, del magistero infallibile; ma questo tempo è finito, questa è la chiesa dei minorenni, con un linguaggio medioevale, dove c’erano delle valenze anche simbolicamente espressive, ma oggi non c’è nessuna persona critica, in senso positivo, storico critica, che legga la Bibbia e possa ammettere che il papa è infallibile. Oggi non c’è nessuno che possa ricavare dalla Bibbia che Gesù è Dio, Oggi non c’è più nessuno che possa pensare di parlare con il linguaggio di Nicea, Costantinopoli, Calcedonia. E’ assolutamente impossibile, non perché si accusi quel linguaggio. Ma il nostro problema è che mentre loro hanno creato un linguaggio nel loro tempo: nella tarda ellenicità e romanità e poi nel medio evo, noi non abbiamo creato un linguaggio nostro per la fede,  noi continuiamo a ripetere ciò che nel 381 si è definito, e ciò che prima ancora l’imperatore Costantino,  che non era ancora battezzato, presiedendo il concilio di Nicea nella sua casa delle “ferie” ha definito. Ma come si fa a ridire la fede così! come si fa a dire che i sacramenti agiscono es opere operato, il prete dice le parole…Questo autore, Lenaers con coraggio dice: il cristianesimo è giovanissimo come messaggio, la Bibbia ha un messaggio intramontabile, ma il linguaggio è un linguaggio da morti, non perché noi dobbiamo puntare il dito contro chi ci ha preceduto, avranno fatto degli errori, ci mancherebbe, ne faremo certo noi nel nostro tempo, ma perché noi siamo talmente pigri intellettualmente che per non prenderci la responsabilità di vivere nel nostro tempo, di inventare, creare un linguaggio nuovo, una testimonianza nuova, prendiamo la comoda scorciatoia di copiare quello che gli altri ci hanno lasciato.

Tutti i grandi teologi degli ultimi decenni, per citarne solo alcuni: Schillebeeckx, Kung, Hag, Tissa Balasuria, teologi della teologia della liberazione hanno tentato di rinnovare la loro vita personale prima di tutto con una conversione radicale al mondo dei poveri e poi di rinnovare l’armamentario linguistico. Tutti scomunicati! Tutti fatti fuori, messi al bando, o emarginati come le istanze della teologia femminista e l’uso del metodo storico-critico.

Non si può più parlare di fede partendo dal catechismo: come si può parlare a uomini e donne di paradiso, inferno, purgatorio! Occorre piuttosto dire che quando si muore, se sei un credente ti affidi a Dio; io mi voglio fidare del Dio della vita ma non posso stabilire una specie di mappa fatta di suffragi, di far dire le messe, queste “industrie” inventate sono delle eresie! Mi affido a Dio. La nostra scommessa della vita è tutta qui.

Vivere nel proprio tempo è un’operazione comunque scomoda perché noi facciamo fatica a capire i tempi che cambiano, come mai dice Luca, voi non capite i segni che Dio vi fa nel tempo. Gesù è stato dentro il suo tempo, con la sua fede di credente ebreo cercava di percepire le passioni, i tormenti, le sofferenze, le gioie, le speranze.

Un altro dato che mi pare interessante è che i profeti nella loro diversità, nelle loro collocazioni molteplici: chi è cittadino, chi è nel mondo agricolo, chi è centrale, chi è periferico, hanno sempre due passioni, la passione per Dio, e la passione per il popolo. Perché la passione per Dio? Perché nelle grane, nei problemi, nella durezza della vita, in tutto ciò che la vita è, di bello, di enfatico ma anche di seduttivo, di pesante, di sconcertante, è facile dimenticare Dio. I profeti hanno questa preoccupazione che vale anche per noi: guardate che la vita non cancelli Dio con le sue frette, le sue sofferenze, le inquietudini, le domande irrisolte. Quante volte è proprio la vita che ci cancella Dio. Alcuni hanno l’oscuramento di tutto per la sofferenza, altri invece nel delirio del potere, o nel delirio delle tossicodipendenze. Tante sono le cose che ti cancellano Dio.

 La seconda passione, quella per il popolo: il profeta ce l’ha perché il popolo non è difeso, lo vedrete in mille modi diversi: la corruzione dei sacerdoti e dei profeti, i falsi profeti, i re che opprimono il popolo. I profeti credono nelle istituzioni, incoraggiano il re a fare bene, ma poi…Il profeta non si vende a nessuno, conserva sempre questa sua libertà.

Ci sono tantissime cose che vedrete.. c’è anche il profeta che dirà “se avete degli aratri fatene delle armi mentre Isaia aveva detto l’opposto. C’è tutto un tormento per dirci che le situazioni sono proprio diverse, bisogna abitare le situazioni con consapevolezza; la scrittura ci spinge nel mondo. Non si può cercare Dio nella scrittura se non lo cerchi nella vita. E’ nelle situazioni nel mondo che Dio parla.

Un’altra caratteristica: i profeti svelano una presenza, il giudizio sulle cose e l’amore di Dio. Svelano, Dio è un Dio velato, loro tentano di aiutare il popolo a capire, mentre loro stessi sono tormentati; pensate le invettive, quasi blasfeme di Geremia, anche lui non capisce Dio, si mette con il popolo.

I profeti minori hanno tutto questo tormento dell’ingiustizia e hanno una cosa che è difficile da capire, ed è l’ira. Il profeta è scatenato contro questa devastazione dei rapporti: c’è l’incuria, c’è il sopruso, c’è la violenza e il profeta ne è coinvolto anche lui, non sempre in modo positivo, qualche volta pensa che non meriti vivere.

Israele non scrive le vite dei santi come nel cattolicesimo; da ragazzi ci leggevano queste leggende, tutte falsificazioni della realtà con i vari Domenico Savio e gli altri, tutti nati santi! Nella Bibbia si scrive la vita di uno però si dice: è un brav’uomo però ogni tanto bestemmiava, era un profeta però ogni tanto non vedeva nulla di chiaro. E’ in questo modo, senza nascondere le contraddizioni della loro vita che la testimonianza viene rilasciata. Probabilmente questi sono i passaggi più autentici, perche i così detti “figli dei profeti” che facevano parte del cerchio intimo, ha registrato queste cose pur volendo bene al profeta; però se tu vuoi bene ad una persona non puoi idolatrarla, se tu vuoi bene ad una persona devi essere consapevole dei suoi limiti, devi essere consapevole che non è il Santo di Dio, è una persona come noi.

Un’altra osservazione: bisogna forse farne una lettura gemmatica, cercare in questi profeti dove ci sono delle gemme belle, dei “rami che pungono”. La lettura gemmatica ha questa capacità di andare al nucleo del messaggio, dove c’interpella per dire la nostra nel nostro tempo.

Quando li leggerete dovrete stare attenti alle letture che noi cristiani ne abbiamo fatto: nelle messe, soprattutto quelle di Natale o dell’Avvento, in tutti i brani del Primo Testamento che parlano del Messia, dell’Unto, per la teologia tradizionale sono brani che parlano di Gesù, attenti! Noi dobbiamo, mentre cerchiamo di diventare discepoli del nazzareno non dimenticare che l’ebraismo ha una vita autonoma, che considera Gesù un grandissimo profeta, molti ebrei lo considerano il più grande profeta. Dobbiamo stare molto attenti, certo può dire qualcosa alla nostra fede , ma il testo non è stato scritto per noi. E’ stato tramandato dalla bontà e saggezza delle comunità che ci hanno preceduto, ma dobbiamo ringraziare sempre l’ebraismo che ce lo dona, non dobbiamo però stravolgerlo, noi possiamo ricevere stimoli, ma non è un testo che è stato scritto per parlare di Gesù, sono testi che hanno alimentato  la vita e la fede di Gesù. Gesù come creatura di Dio si alimentò a questi profeti, Gesù li cita. Queste sono delle cose ovvie tra gli studiosi ma non vengono dette nelle chiese. Gesù aveva la sua Bibbia, questa era la sua Bibbia.

Una ultima considerazione su ciò che voi avete messo come titolo all’incontro di questa sera con l’interrogativo: “Dov’è la profezia oggi?” Dio non ci lascia mancare persone che ci chiamino, che ci risveglino, ma queste persone, queste esperienze, questi fatti non è assolutamente detto che siano nelle chiese. La profezia di Dio il più delle volte avviene fuori del campo, come dice la lettera agli ebrei, qualche rara volta ci sono anche i cristiani. Io sinceramente, nella mia vita ho ricevuto di più dalle persone di fuori che non dalle persone di dentro. Il problema è di aguzzare lo sguardo e di aprire il cuore dove la profezia cresce, vive e persevera nel mondo, tutto è mondo, tutto è creato nel senso biblico, tutto è spazio dove Dio ci dà i suoi segni.

Un’altro equivoco potrebbe essere quello di pensare che i profeti e le profetesse sono “grandi”. No non è necessario che siano grandi, nella nostra cultura chi non è grande non esiste, ma non è assolutamente detto. Può essere una piccola persona che ci tiene molto ad non essere grande e che comunque con la sua vita, con altre persone, nel suo contesto, è molto significativo. Il vero problema è che l’equivoco della grandezza ci rovina la vita, perché inseguire per tutta la vita il desiderio di diventare grandi non ci aiuta a crescere, perché stravolge il senso della nostra vita: io devo essere me stesso, tu te stessa, non c’è bisogno di essere grandi. Gesù ha aggiunto una cosa interessante che era nella sapienza ebraica, nessuno è profeta a casa sua. Pensavo alle teologhe e ai teologi della liberazione, li leggiamo più noi in Europa che loro in Brasile. Luca però ci fa un rimprovero: come mai non vedete i segni che vi faccio nel tempo. Il problema è che sovente noi non vediamo segni di profezia perché siamo cechi, o disattenti.

Non cerchiamo di diventare e fare i santi o i profeti, perché noi non lo siamo;è più importante rimanere uomini e donne consapevoli, aver fiducia in Dio ma con la nostra umanità.  

Viviamo semplicemente come uomini e come donne sulla strada di Gesù, semplicemente, non chiediamoci se io con la mia vita do profezie, lo vedrà Dio, lo vedranno gli uomini e le donne. Noi dobbiamo solo essere dei discepoli e delle discepole del Nazzareno, davanti a Dio.

Cerchiamo di essere la dove ci sono orizzonti, impegni, pratiche profetiche: la chiesa, il mondo, la vita personale, le relazioni, li diamoci appuntamento. Ispiriamoci alla fedeltà che Gesù ha avuto alla storia: dove Dio lo rimandava alla storia e la storia lo rimandava a Dio, cerchiamo di esserci, con la nostra presenza, con la nostra piccola azione. Questa è probabilmente la risposta all’interrogativo che spesso credo ci poniamo: come cercare di far correre nel tessuto culturale, nel tessuto politico, nel tessuto sociale di oggi i germi della profezia, come seminare la struttura profetica dell’evangelo, questo messaggio come viverlo. Noi sentiamo che la traduzione del messaggio di giustizia ha degli orizzonti così ampi, ma poi la vita quotidiana è così fluttuante su questo orizzonte; come possiamo umilmente non fare che politica e profezia si equivalgano, perché sarebbe bello poter dire già oggi “il lupo mangerà con l’agnello…” Cerchiamo insieme a tutti gli uomini e le donne e a tutte le tradizioni religiose, senza nessun senso di monopolio, gioiosamente però, nell’identità cristiana, di far correre nel mondo, nell’impegno comune e solidale, qualche germe di questa che è la profezia biblica che dovrebbe anche dare fiducia al nostro cuore.