Il razzismo è federale
di Luigi Manconi e Federica Resta
“il manifesto” del 30 aprile 2010
In nome della «sicurezza urbana», i
nuovi poteri estesi dei sindaci creano una categoria di «non persone»
Un'intolleranza decentrata, una discriminazione periferica, una sorta di «razzismo
federale», devoluto e disseminato, ecco ciò che emerge con forza da qualche
tempo. La mappa dell'aggressività selettiva e sperequatrice, è agevolmente
ricostruibile esaminando ordinanze e delibere che, a partire da decisioni di
Giunte e di consigli comunali, intervengono potentemente sulle relazioni sociali
e sui comportamenti individuali.
Precedenza agli italiani nelle graduatorie per le case popolari, per i posti
negli asili, per i sussidi economici e le integrazioni di reddito, divieto di
iscrizione all'anagrafe degli stranieri con precedenti penali e con un reddito
inferiore all'importo dell'assegno sociale, limiti al riconoscimento
dell'abitabilità degli edifici, mancata erogazione del bonus bebè alle
famiglie immigrate, «norme anti-kebab», divieto di tenere riunioni pubbliche
in lingue diverse da quella italiana, preavviso di almeno trenta giorni
all'autorità locale di pubblica sicurezza per «chi promuove o dirige funzioni,
cerimonie o pratiche religiose aperte al pubblico, fuori dai luoghi destinati al
culto». E altro (molto altro) ancora.
È quanto previsto non da leggi di un secolo fa, ma da recentissime ordinanze di
molti comuni italiani, rese possibili da una norma del primo decreto sicurezza
varato in questa legislatura (d.l. 92/2008).
Nella più ottimistica delle ipotesi, sullo sfondo potrebbe esserci - almeno per
quei sindaci non dichiaratamente xenofobi - la teoria, elaborata dall'allora
primo cittadino di New York, Rudolph Giuliani, delle Broken windows (finestre
rotte). Insomma quei provvedimenti dovrebbero consentire di eliminare le cause
profonde del crimine, nella presunzione che laddove le finestre rotte e le
cabine divelte non vengano riparate, si ingeneri nella collettività una
percezione di degrado e di mancato controllo: e questo favorirebbe la diffusione
di fenomeni criminali.
Ma gli effetti concreti di quelle ordinanze certificano il fallimento di una
simile «utopia negativa». Anche grazie all'ambivalenza del concetto di «sicurezza
urbana» e al fatto che a emanarle, quelle ordinanze, sono stati finora, in
prevalenza, sindaci ispirati da una concezione autoritaria e xenofoba, fino al
razzismo. E quel concetto stravolto di sicurezza urbana tende a ridursi al
diritto dei cittadini italiani (pienamente integrati e conformi allo stereotipo
di «normalità» diffuso nel discorso pubblico) a non essere «turbati», nelle
loro «piccole patrie», dalla presenza di soggetti estranei.
Il fatto che le ordinanze più recenti, emanate da sindaci leghisti, siano
dirette a escludere dall'esercizio di diritti fondamentali (istruzione, libertà
di culto, abitazione, etc.) proprio gli stranieri, dimostra come quelle
decisioni rappresentano strumenti assai pericolosi, capaci di fare ciò che
neppure una legge potrebbe. Si pensi infatti che la sentenza 306/2008 della
Corte costituzionale ha dichiarato illegittima una legge che escludeva gli
immigrati privi dei requisiti di reddito già stabiliti per la carta di
soggiorno dal diritto a fruire dell'indennità per invalidità civile.
Ovviamente, anche le ordinanze dei sindaci non sono, per fortuna, del tutto
immuni dal controllo di legalità (dovendo del resto rispettare almeno i princìpi
generali dell'ordinamento): alcune di esse sono state infatti annullate dal
giudice amministrativo, come nel caso dell'ordinanza del comune di Trenzano che
limitava la libertà di riunione, colpendo di fatto le comunità islamiche; o
come nel caso dell'ordinanza anti-accattonaggio del comune di Selvazzano Dentro.
E tuttavia il controllo giurisdizionale non può eliminare i danni più profondi
prodotti dalle ordinanze nel tessuto sociale e nella cultura condivisa: la
costruzione di una categoria di «non-persone» private dei diritti e delle
libertà fondamentali, che vanno riconosciuti all'essere umano in quanto tale e
non in ragione della sua cittadinanza. Un percorso degenerativo porta infatti
dalle prime ordinanze contingibili e urgenti emanate prima del decreto-sicurezza
del 2008 a quelle odierne.
Se si pensa al provvedimento capostipite, quello «contro i lavavetri», del
sindaco di Firenze (agosto 2008), si ricorderà che il rischio allora paventato
era quello di un «federalismo penale», conseguente alla combinazione tra una
norma penale in bianco (il reato di inosservanza di provvedimenti dell'Autorità:
art. 650 c.p.) e i precetti amministrativi contenuti nelle ordinanze.
Combinazione, questa, che finiva con il rendere penalmente illecito un
comportamento altrove assolutamente legittimo, solo in virtù di un'ordinanza
che lo vietava in un determinato territorio.
Oggi, con l'estensione dei poteri dei sindaci, il rischio è ben maggiore e
consiste nella realizzazione di un vero e proprio federalismo delle libertà e
dei diritti fondamentali, tutto in chiave restrittiva e repressiva, invocato
ancora una volta contro coloro che dispongono solo della propria «nuda vita».