Chi usa gli ultimi della terra
di Gad Lerner
“la Repubblica” del 9 gennaio 2010
Viviamo a Rosarno una pagina oscura della storia italiana. Le
ronde criminali scatenate nell´assalto agli africani, le sprangate in testa e
le fucilate alle gambe degli immigrati, rappresentano una vergogna di fronte a
cui possiamo solo sperare in un moto collettivo di ripulsa morale.
Di quale tolleranza, "troppa tolleranza", parla il ministro Maroni?
Ignora forse che da trent´anni l´agricoltura del Mezzogiorno d´Italia si
regge economicamente sull´impiego di manodopera maschile immigrata, sospinta al
nomadismo stagionale fra Puglia, Campania, Sicilia e Calabria, con paghe di
sussistenza alla giornata, ricoveri di fortuna in edifici fatiscenti, criteri d´assunzione
malavitosi, senza la minima tutela sanitaria e sindacale? Ora non li vogliono più,
s´illudono di espellerli come un corpo estraneo dopo che li avevano convocati
alla raccolta degli agrumi. Ma è dal 1980 che le colture specializzate
meridionali non possono fare a meno delle migliaia di ragazzi africani trattati
né più né meno come bestiame. E al tramonto, se la mandria non fa ritorno
disciplinato nei recinti abusivi delle aree industriali dismesse, non trova
certo istituzioni disponibili a riconoscerne l´umanità. Gli italiani con cui
entrano in contatto questi lavoratori senza diritti sono solo di due tipi: i
caporali spesso affiliati alla criminalità organizzata; e i volontari di
Libera, della Caritas e di Medici senza frontiere. Le forze dell´ordine si sono
limitate finora a un blando presidio territoriale per evitare frizioni
pericolose con la popolazione locale. Ma l´importante era che il ciclo
produttivo non si interrompesse: la mattina dopo il reclutamento ai bordi della
strada non subiva intralci.
Chi ha tollerato che cosa, ministro Maroni?
Rosarno era teatro da anni di una conflittualità quotidiana, pestaggi isolati,
sfide tra giovanissimi divisi dal colore della pelle ma accomunati da una
miseria culturale che li induce a viversi come nemici. Dopo i colpi di fucile
che hanno ferito due immigrati, giovedì la furia degli immigrati ha colpito
indiscriminatamente la popolazione calabrese. Ieri, per rappresaglia, è
scattata la "caccia al nero": disordini razziali che evocano scenari
di un´America d´altri tempi. Di nuovo sparatorie a casaccio per terrorizzare i
miserabili che hanno osato ribellarsi, insanguinando la Piana di Gioia Tauro
dove governano ben altre autorità che non lo Stato democratico.
La riconversione legale dell´agricoltura del Sud implicherebbe, accanto agli
investimenti economici, un´opera di civilizzazione che mal si concilia con l´offensiva
propagandistica imperniata sulla criminalizzazione del clandestino. Non solo i
mass media ma anche i portavoce della destra governativa hanno eccitato,
legittimato sentimenti d´ostilità da cui oggi scaturiscono comportamenti
barbari, indegni di un paese civile.
Se a Castelvolturno, nel settembre 2008, fu la camorra a sterminare sei
braccianti africani, a Rosarno assistiamo a un degrado ulteriore: settori di
cittadinanza coinvolti in un´azione di repulisti inconsulta. La chiamata alle
armi contro i dannati della terra che certo non potevano garantire – con la
sola forza disciplinata delle loro braccia - il benessere di un´area rimasta
povera.
Vi sono probabilmente motivazioni sotterranee, indicibili, alla base di questo
conflitto. Non tutti i 25 euro di paga giornaliera finiscono nelle tasche dei
braccianti illegali. Pare che debbano versare due euro e mezzo agli autisti dei
pulmini che li trasportano nelle piantagioni. Si vocifera addirittura di una
odiosa "tassa di soggiorno" di 5 euro pretesa dalla ´ndrangheta. Di
certo non sono associazioni legali quelle che pattuiscono le prestazioni di
lavoro. Ma soprattutto è chiaro che una relazione trasparente con la manodopera
immigrata viene ostacolata, resa pressoché impossibile dalla legislazione
vigente.
Altro che pericolo islamico: qui la religione non c´entra un bel nulla. L´Italia
dell´economia illegale, non solo al Sud, lucra sulla farraginosità normativa
che sottomette il lavoratore immigrato a procedure arbitrarie sia in materia
contrattuale, sia nel rilascio del permesso di soggiorno. Quando Angelo
Panebianco, sul "Corriere della Sera", asserisce che affrontare il
tema della cittadinanza significherebbe "partire dalla coda anziché dalla
testa", ignora che restiamo l´unico paese europeo in cui le procedure di
regolarizzazione e di naturalizzazione non contemplano alcuna certezza di tempi
e requisiti. Assecondando, di fatto, un´informalità di relazioni per cui ai
doveri non corrispondono mai i diritti.
Sulla scia di un´analoga iniziativa francese, circola fra gli stranieri
residenti in Italia l´idea di dare vita a marzo a una iniziativa forse
velleitaria ma dal forte significato simbolico: "24h senza di noi".
Che cosa succederebbe se per un giorno tutti gli immigrati si astenessero dal
lavoro? Quanto reggerebbe il nostro sistema di vita senza il loro apporto?
Farebbero bene, i sindacati, a prendere in seria considerazione questa
iniziativa, contribuendo con la loro forza organizzativa al moto spontaneo. Ma
prima ancora è l´intero arco delle forze politiche, culturali e religiose che
rifiutano la contrapposizione incivile fra italiani e stranieri a doversi
mobilitare: l´inciviltà dei pogrom è contagiosa.