La
sindone. Dialogo tra ateo e cristiano
di
Piergiorgio Odifreddi e Giuseppe Ghiberti
“il Fatto Quotidiano”
del 23 aprile 2010
Su micromega n° 4/2010 le tesi di Odifreddi e
don Ghiberti su falso storico e simbolo della fede vi
è una parte monografica dedicata alla Sindone: una raccolta di prove
scientifiche e storiche per dimostrare come il telo sia un autentico falso. La
monografia comprende interventi di: Mauro Pesce, Luigi Garlaschelli, An
Caro
don Ghiberti, propongo di iniziare questo nostro
scambio sulla Sindone partendo da lontano: cioè, dal tempo in cui
conosciamo la sua esistenza. Che, comunque, non è così lontano
quanto quello al quale vorrebbero risalire coloro che la ritengono autentica. Mi
permetto di ricordare, che la conquista di Costantinopoli del 1204 rivelò
all’Occidente la cornucopia di reliquie conservate nei santuari di Bisanzio.
Comprate o trafugate dai Crociati, in breve tempo esse andarono ad arricchire il
patrimonio di meraviglie sacre conservate nelle chiese medievali, per
l’elevazione spirituale dei fedeli e materiale del clero, e furono
sbeffeggiate dal Belli nel sonetto La mostra de l’erliquie. [...] Benché
alcune di queste reliquie siano (state) conservate nelle basiliche più
sacre della cristianità, da Santa Maria Maggiore a San Giovanni in
Laterano, chiunque argomentasse seriamente oggi a favore della loro
attendibilità storica verrebbe quasi sempre preso per matto. Quasi, ma non
sempre, almeno a giudicare dai milioni di fedeli che accorrono a Torino a vedere
la Sindone. O meglio, una delle quarantatré sindoni di cui si ha notizia:
alcune con immagini, altre no. Molte andate distrutte da incendi e, come
già ironizzava Calvino, prontamente rimpiazzate. Una, quella
“miracolosa” di Besançon, distrutta per ordine del Comitato di salute
pubblica durante la Convenzione nazionale della Rivoluzione francese.
LA PRIMA APPARIZIONE
La Sindone di Torino, un telo di lino di circa quattro metri per uno, apparve
per la prima volta nel 1353 presso Troyes, nel cuore della regione di Chartres e
Reims, famose per le loro cattedrali. Il telo reca una doppia immagine, fronte e
retro, di un cadavere nudo, rappresentato secondo i canoni e le proporzioni
dell’arte gotica dell’epoca: figura rigidamente verticale, gambe e piedi
paralleli, tratti del viso più caratterizzati di quelli del corpo. La
presenza di segni di ferite in perfetto accordo con il racconto evangelico della
passione poteva far supporre che quella fosse un’immagine impressa dal corpo
di Cristo sepolto, stranamente mai menzionata nei testi sacri, né
rappresentata iconograficamente nel Primo millennio. Nel 1389 il vescovo di
Troyes inviò però un memoriale al Papa, dichiarando che il telo era
stato “artificiosamente dipinto in modo ingegnoso”, e che “fu provato
anche dall’artefice che lo aveva dipinto che esso era fatto per opera umana,
non miracolosamente prodotto”. Nel 1390 Clemente VII emanò di
conseguenza quattro bolle, con le quali permetteva l’ostensione ma ordinava di
“dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione
o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù
Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del
Sudario”. Alla testimonianza storica del Pontefice di allora, evidentemente
diverso dai suoi successori di oggi, possiamo ormai aggiungere la conferma
scientifica della datazione al radiocarbonio effettuata nel 1988 da tre
laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, su incarico della diocesi di Torino e del
Vaticano: la data di confezione della tela si situa tra il 1260 e il 1390, e
l’immagine non può dunque essere anteriore. Stabilito che la Sindone
è un artefatto, rimane da scoprire come sia stata confezionata.
L’immagine è indelebile, essendo sopravvissuta sia a ripetute immersioni
in olio bollente e liscivia effettuate nel
Siamo dunque di fronte non a una pittura ma a un’impronta, che certo non
può essere stata lasciata da un cadavere. Dal punto di vista anatomico,
infatti, le immagini frontale e dorsale non hanno la stessa lunghezza
(differiscono di quattro centimetri), ma hanno la stessa intensità,
benché il peso avrebbe dovuto essere tutto scaricato sul retro.
L’avambraccio destro è più lungo del sinistro. Le braccia sono
piegate, ma le mani ricoprono il pube, il che richiederebbe una tensione delle
braccia o una legatura delle mani. Le dita sono sproporzionate, e l’indice e
il medio sono uguali. Posteriormente si vede l’impronta del piede destro,
benché le gambe siano allungate. Dal punto di vista geometrico,
l’impronta stereografica lasciata da un corpo o da una statua sarebbe distorta
e deformata, soprattutto nella faccia: esattamente come accade per la famosa
“maschera di Agamennone”, che è distorta proprio perché aderiva
al volto del defunto, e contrasta apertamente con la raffigurazione veristica
della Sindone. Solo un bassorilievo di poca profondità può lasciare
un’impronta simile.[...]
FANTASIA E RAGIONE A ciascuno dei fatti
oggettivi che ho esposto è naturalmente possibile opporre opinioni
soggettive, invocanti cause naturali o soprannaturali, nel tentativo di
ricondurre la ragione alla fede. La più fantasiosa fra quelle avanzate,
tra pollini e monetine, è certamente l’ipotesi che imprecisati fenomeni
nucleari avvenuti all’atto della resurrezione atomica di Cristo abbiano
modificato la struttura del telo, cospirando a falsarne la datazione in modo da
farla coincidere proprio con il periodo della sua apparizione storica.
Evidentemente, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Coloro che
invece hanno orecchie per intendere, intendono che il fatto miracoloso non
sussiste. Per me, dunque, il caso è chiuso. Ma sono curioso di conoscere
la sua opinione sull’argomento: quello oggettivo che ci presenta la Sindone,
ma anche quello soggettivo che ho esposto io.
Piergiorgio Odifreddi
Caro professor Odifreddi,
vedo che siamo ambedue nativi della provincia di Cuneo e questo mi dà
gioia e mi provoca simpatia. I cuneesi sono “quelli del gozzo” (quante
bisticciate da ragazzo con quelli della provincia di Torino), ma anche se non si
fanno tanti complimenti, per lo più finiscono per capirsi. [...] A me
sembra innegabile che l’immagine presente sulla Sindone raffiguri un uomo
morto a causa della tortura della crocifissione. Lei ha enumerato parecchie
anomalie presenti nella figura sindonica, ma queste aumentano la stranezza
misteriosa del reperto, senza però impedire la constatazione di fondo che
dicevo: immagine di un uomo morto per crocifissione. La reazione di chi guarda
questa immagine può essere varia: una persona con un po’ di cuore sente
compassione per tanta sofferenza e indignazione per quella dimostrazione di
crudeltà raffinata; sorge intanto la curiosità di capirci qualcosa.
Chi ha un po’ di conoscenza della vicenda di Gesù di Nazareth si rende
facilmente conto della corrispondenza che passa tra la vicenda dell’uomo della
Sindone e quella che ha portato Gesù alla morte: glielo dice una
tradizione di devozione, ma soprattutto ne ha conferma da quel poco o tanto che
conosce dei racconti evangelici della passione di Gesù. A questo punto, se
chi guarda ha la fede, nasce un sentimento spontaneo di interesse affettuoso per
un oggetto testimone di un evento tanto importante per la sua vita. Mi sembra
che questo sentimento sia di natura prescientifica, perché viene prima che
siano state poste e affrontate tutte le domande che il reperto suggerisce.
Queste domande sorgono ben presto e io che guardo ci vado dietro con molto
interesse, ma non mi sento condizionato dalle risposte che posso udire,
perché la funzione di segno comunque è svolta da quell’oggetto,
qualunque cosa possa pensare della datazione della sua origine e della
modalità di formazione della sua immagine (che sono poi le due domande
fondamentali provocate da quel reperto).
DEVOZIONE E DISTRUZIONE
Penso che questa lettura sia determinante, perché relativizza non solo la
scienza ma la Sindone stessa: il suo interesse fondamentale consiste
nell’essere un segno e questo funziona indipendentemente dalla consistenza
della sua natura (la scritta “senso unico” ha la stessa forza di segno sia
che la trovi incisa su una lastra di metallo prezioso sia che l’abbiano
stampata su cartongesso). La povertà di certezze è la forza della
Sindone, e a me personalmente la rende anche cara. Partendo da questa lettura
delle cose, non mi sento condizionato al discorso dell’autenticità.
C’è chi dice: per continuare a proporre la devozione alla Sindone, la
Chiesa deve decidersi a definirne l’autenticità; e c’è chi dice:
l’autenticità è del tutto esclusa e quindi la Sindone deve essere
eliminata. Non condivido nessuno dei due presupposti: che sia stata detta
l’ultima parola sull’autenticità oppure che siano state portate prove
definitive della non autenticità; e comunque non mi sento condizionato
né dall’uno né dall’altro, perché nel primo caso comunque
non avrebbe senso parlare di definizione (la Sindone non è un articolo di
fede) e nel secondo caso resterebbe immutata la sua efficacia di segno.
Il discorso a questo punto è tutt’altro che finito, ma può
svolgersi in uno stato d’animo sereno. M’interessa molto sapere se questo
lenzuolo ha veramente avvolto il cadavere di Gesù. [...] Certo è la
causa di Gesù che viene in gioco con la Sindone. Se non fosse così,
i misteri che essa porta in sé interesserebbero sì gli scienziati,
ma verrebbero discussi in un loro gremio ristretto, se ne scriverebbe su qualche
rivista letta da una dozzina di lettori, e tutto finirebbe lì. Certo la
Chiesa ha la sua parte in questa proposta devozionale, ma credo proprio di poter
dire – dall’esperienza delle tre ostensioni di cui ho avuto una particolare
responsabilità – che il tono apologetico è stato evitato il
più possibile, a costo anche di essere decisi nel determinare un
orientamento corrispondente a chi avesse voluto pronunciamenti impropri. Ognuno
ha il suo modo di sentire, ma l’impostazione fondamentale ha cercato di essere
coerente e ha avuto la gioia di sentirsi confermata dall’insegnamento del
Papa, quando venne in pellegrinaggio nel 1998. Per conto nostro si ripeteva
spesso che la Sindone non ha bisogno delle nostre esagerazioni; ciò che
conta è l’attenzione e la disponibilità di vita di fronte al suo
messaggio.
Giuseppe Ghiberti