QUEL
SISTEMA DI COMPLICITÀ
GIUSEPPE D' AVANZO
Repubblica
— 22 febbraio 2010
La
figura, le mosse abusive, la fiacchezza morale di Achille Toro sono decisivi per
comprendere che cosaè accaduto; perché; che cosa accadrà ora; in quale
budello è finito Bertolaso; la «tangente pulita» che oggi definisce la
corruzione italiana. Achille Toro è l' influente procuratore aggiunto di Roma.
Sovraintende le inchieste contro la pubblica amministrazione marcia. Si sente in
pectore il nuovo procuratore della Capitale (ahinoi, se non fosse stato
costretto a dimettersi, non avrebbe avuto torto a crederlo). Quando le sue
parole si manifestano nell' universo sonoro dell' inchiesta che esamina gli
affari extra ordinem della Protezione civile, i pubblici ministeri di Firenze
hanno già pronto il calendario delle loro iniziative. Due blocchi di arresti da
eseguire nello stesso giorno dentro il sistema, direbbe Denis Verdini, cresciuto
come una metastasi lungo il corpaccione ipertrofico della Protezione civile e
nelle strutture di governo dei Lavori pubblici. L' uno e le altre sottomesse
all' urgenza della politica di creare un cerchio chiuso e oligarchico di
consenso e obbedienza. I prosecutors hanno sistemato una stabile ragnatela
intorno agli attori che decidono e beneficiano degli appalti del Dipartimento di
Guido Bertolaso. Comunicazioni, dati, informazioni, immagini, documenti
confermano, senza ambiguità, la scena e il delitto. All' ombra del "vuoto
di diritto", creato dall' emergenza, si è formata una consorteria
affaristica. Vi fanno parte imprenditori, spesso scadenti per capacità
industriale, alti funzionari dello Stato delle opere pubbliche, influenti
giudici amministrativi - regionali e della Corte dei conti - addetti ai
controlli che, al contrario, sono cointeressati, in proprio, agli affari dei
controllati. In cima alla piramide, Guido Bertolaso, onnipotente per la mano
libera che gli consente la legislazione straordinaria, dominante per il rapporto
diretto, protetto, esclusivo con il sottosegretario Gianni Letta e il presidente
del consiglio, Silvio Berlusconi. Bertolaso è al corrente di quel fondo
fangoso? O, come dice oggi, è "parte lesa" perché non sa, non
comprende, s' occupa di altro? Nell' inchiesta nata a Firenze, la mappa degli
illegalismi, che ha il suo centro nella Protezione civile, è divisa in tre
grandi aree: gli appalti "in deroga" del Dipartimento di Bertolaso
(G8, Mondiali di nuoto, intervento nell' area terremotata dell' Aquila,
celebrazione dei 150 anni dell' Unità d' Italia...); il quadro milionario che
aiuta la distribuzione arbitraria delle consulenze per quelle opere
("tangenti pulite e fatturate", si sente dire); le manovre organizzate
con gli "arbitrati", la decisione privata che risolve le controversie
che oppongono le società appaltatrici di lavori pubblici alle amministrazioni
che glieli hanno affidati (lo Stato è sempre perdente, soccombe nel 95 per
cento dei casi). Ogni inchiesta implica una strategia, un' economia, un modello.
I pubblici ministeri di Firenze, nel loro lavoro, evitano fantasmi e
forzature (modello). Si scoprono soltanto quando il terreno processuale appare
solido, il reato documentato, le responsabilità ragionevolmente definite
(strategia). Non infieriscono con atti di accusa e carcere, se non è
indispensabile (economia). Si può dire che, in altri luoghi, Bertolaso forse
sarebbe stato arrestato. Di sicuro sarebbe stato arrestato Mario Sancetta,
consigliere delle Corte dei conti e presidente di sezione. Doveva essere
"controllore", dalle carte emerge come un intrigante mediatore di
affari. Suggerisce agli imprenditori dove giocare le loro chances, negli appalti
del porto di Civitavecchia, della Fiera Spa di Milano, all' Aquila distrutta in
aprile. Favorisce incontri (l' amico e imprenditore Rocco Lamino con Luisa
Todini, parlamentare della maggioranza, alla guida di un' impresa vincitrice d'
appalti per il terremoto abruzzese). Sancetta dice di avere "buoni
argomenti per avvicinare Bertolaso" che ha procedimenti aperti alla Corte
dei conti. Dice di poter condizionare ("influire") l' ex ministro
Pietro Lunardi (è stato al ministero il capo del suo ufficio legislativo). Non
si sa perché e come. Il presidente Mario Sancetta non viene arrestato perché a
Firenze avvertono la loro competenza incerta. Accade anche per Angelo Balducci,
presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, interfaccia diretto di
Bertolaso. L' intervento della procura di Roma appare il più coerente e
corretto per legge. Qui cominciano imprevisti incidenti. In quella procura c' è
una toga infedele. È Achille Toro, il procuratore addetto ai reati della
pubblica amministrazione. Offre servizi spionistici alla combriccola
affaristica. Quando da Firenze avvertono Roma che presto saranno inviati i
risultati di un' istruttoria che richiede, "per competenza", l'
intervento della Capitale, Toro allerta la consorteria. Tra il 28 e il 30
gennaio, come ha raccontato ieri la Repubblica, i movimenti del network
diventano indiavolati. Incontri di buon mattino "senza telefoni"
anticipano che "pioverà molto". I discorsi, dinanzi al peggio, si
fanno depressi. "Mi sembri un morto", dice la moglie ad Angelo
Balducci. È vero, Balducci è molto sconfortato. Il procuratore gli ha fatto
sapere che sarà arrestato. Il grand commis corre ai ripari. Chiama lo studio
dell' avvocato Coppi prima di raggiungere Palazzo Chigi e incontrare Guido
Bertolaso e "quell' altro", con ogni probabilità Gianni Letta. Toro,
per suo conto, vuole essere più avveduto. Lavora subito per coprirsi le spalle.
Convoca una cronista e gli "soffia" che "il telefono di Angelo
Balducci è intercettato dai Ros per conto della procura di Firenze". La
notizia sarà pubblicata il 9 febbraio. Tornerà utile se le cose si mettono
male, pensa il magistrato. Si precostituisce un alibi. Potrebbe dire Toro a chi
lo interroga: come potete pensare che abbia fatto la spia, la notizia dell'
indagine e delle intercettazioni di Balducci era nota, pubblica, scritta nera su
bianco nelle cronache. Non sanno - né Balducci né Toro - che i guai sono più
vicini di quanto immaginano. Balducci sarà arrestato il giorno dopo. Toro saprà
di essere indagato per violazione del segreto istruttorio e, una volta
trasferita a Perugia l' indagine, per corruzione. Si dimetterà il 17 febbraio
per scrollarsi così di dosso la probabilità di essere arrestato (ancora con la
toga sulle spalle, avrebbe potuto inquinare le indagini). Il
"servizio" offerto dal procuratore alla consorteria di imbroglioni
mette sottosopra il calendario dei pubblici ministeri di Firenze. Sono costretti
ora a muoversi in fretta. Volevano agire con due diversi iniziative (arresti a
Roma e a Firenze). Ne devono privilegiare una, quella nella Capitale, per
distruggere subito e in fretta la trama che tesse Achille Toro, per evitare
fughe all' estero (un paio già in preparazione), l' inquinamento delle prove,
la scomparsa dei documenti, le pressioni inevitabili del potere sulle burocrazie
della sicurezza. L' urgenza non è priva di conseguenze. Lascia in secondo piano
l' esame del gran circo degli "arbitrati" che costa allo Stato, più o
meno, 350 milioni di euro l' anno e arricchisce di, più o meno, 25 milioni l'
anno gli "arbitri": un ristretto club di avvocati - non più di una
decina -, giudici amministrativi, avvocati generali dello Stato, giudici
contabili. Il "tradimento" di Achille Toro provoca un secondo danno.
Rallenta l' intervento sulla rete delle "tangenti pulite e fatturate",
come ormai hanno imparato a chiamarle anche fonti vicine all' inchiesta. Si
tratta di questo. La Protezione civile ha centinaia di consulenti. Ci sono
consulenze di "area politica ed economica", di "ricerche e di
indagine". Se ne rintracciano alcune stravaganti. "Consulenti di
comunicazione politica e pubblica nel settore", consulenti di
"accessibilità immediata agli specialisti del settore per la risoluzione
di problematiche improvvise", "consulenti in strategie e tecniche
dell' informazione, di immagine e divulgazione della cultura di protezione
civile", consulenti per "coadiuvare il Capo del Dipartimento nelle
attività collegate all' iter parlamentare dei provvedimenti legislativi",
"consulente per le attività di comunicazione visiva". Ogni progetto o
intervento della Protezione civile può rendere necessario, per un brevissimo,
breve o lungo periodo, un' "assistenza tecnica", di
"sperimentazione e analisi", dall' emergenza piogge in Friuli Venezia
Giulia all' emergenza Pantelleria, dalla "Commissione generale di indirizzo
Campionati del mondo di ciclismo su strada 2008" alle celebrazioni per il
150 anni dell' Unità d' Italia. I consulenti possono tirar su centinaia di
migliaia di euro o anche trentamila euro per pochi giorni di lavoro e senza
alcuna fatica o competenza. Le fumisterie degli incarichi corrispondono all'
assoluta arbitrarietà degli ingaggi e delle selezioni, spesso direttamente
decise da Guido Bertolaso. Tuttavia, se si guarda con attenzione ai nomi dei
consulenti, alle loro famiglie e relazioni e ruoli pubblici, si intravede una
razionalità e un disegno. Nelle liste dei consulenti delle più bizzarre e ben
pagate consulenze, ci sono coloro che direttamente possono proteggere il sistema
che si è creato negli interstizi operativi della Protezione civile. La
consulenza non è altro che "una tangente pulita e fatturata" per
tener buono il giudice amministrativo, l' assessore riluttante, il giudice
contabile, il pargolo scapestrato del parlamentare, il genero del capo corrente,
il procuratore cui si chiede di farsi quietista e guardare da un' altra parte.
È il modo di creare intorno al sistema un muro di supporters e un anello di
complicità. Terzo e ultimo danno per l' inchiesta di Firenze. L' infedeltà di
Toro ha costretto a una discovery anticipata. La premura ha frenato l'
accertamento di che cosa sapesse davvero Guido Bertolaso di quel che si muoveva
dentro e intorno alle traboccanti responsabilità. È l' ultima questione da
affrontare. Sembra di poter dire: Bertolaso crede che convincere sia ingannare.
Ancora ieri ha ripetuto: "Vogliono distruggere la mia credibilità".
Il fatto è che la sua affidabilità è in calare per quel che non ha fatto,
quando sarebbe stato necessario, e per quel che oggi dice e dissimula
risistemando gli avvenimenti del passato come meglio gli conviene. Dice: nessuno
mi ha avvertito, mentre è stato avvertito dell' indagine e proprio dal maggiore
indagato, Angelo Balducci. È una prognosi con un forte rilievo induttivo che il
presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici, messo sul chi vive dalle
informazioni che abusivamente gli offre Achille Toro, si precipiti a Palazzo
Chigi e riveli al capo del Dipartimento della Protezione civile le rogne che
sono vicine. È una suggestione, è vero, anche se molto ragionevole. Con chi
volete che ne parli, quel pover' uomo di Balducci? È vicino alla rovina. Lo è,
non soltanto per le sue voglie, ma anche per le azioni che hanno mosso e
assestato tasselli già pronti, integrato con la sua influenza e potere e
docilità il sistema che ha, nel suo vertice operativo, Guido Bertolaso. Oggi
Bertolaso disconosce Balducci. Nelle sue parole Balducci appare un tipo che si
è ritrovato tra i piedi, non ha potuto evitare, anche se l' avrebbe fatto
volentieri. Non sapeva che fosse quel fior di manigoldo ("Sono stato
ingannato", dice). Nella storia dell' indagine di Firenze, invece, ci sonoi
segni della loro antica relazione,a volte complice. Quando il 30 gennaio, il
presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici si precipita a Palazzo
Chigi per incontrare "Bertolaso e quell' altro" non è la prima volta
che invoca l' aiuto dell' onnipotente leader tecnocratico del governo. Accade
anche alla fine del 2008. Succede questo. L' Espresso racconta (23 dicembre)
come in una casa di produzioni cinematografica, la Erretifilm srl, si incrocino
i destini di Rosanna Thau, 62 anni, moglie di Angelo Balducci, e di Vanessa
Pascucci, 37 anni, moglie di quel Diego Anemone che, pur dichiarando 26
dipendenti, si taglia la fetta più grossa dei 300 milioni di euro necessari per
costruire il centro congressi per il G8 della Maddalena. In quell' occasione,
Balducci concorda con Bertolaso una lettera per denunciare "la evidente
natura scandalistica dell' articolo che introduce, ad arte, le attività
hobbistiche della signora Thau, ventilando commistioni del tutto
inesistenti". Bertolaso prende subito,e pubblicamente, per buona la
replica. Nelle stesse ore diffonde un comunicato: "Il capo del Dipartimento
della Protezione Civile e commissario delegato per il G8, dott. Guido Bertolaso,
ha ricevuto dall' ingegner Balducci una relazione che ribadisce la regolarità
delle procedure seguite ed esclude qualsiasi legame familiare con imprese
impegnate nella realizzazione delle opere". Pur promettendo la massima
trasparenza sul caso, la Protezione civile toglie in quelle ore dal suo sito le
ordinanze di Palazzo Chigi con cui Balducci era stato nominato "soggetto
attuatore" e il provvedimento con cui Silvio Berlusconi ha chiesto a
Bertolaso di "assicurare un' adeguata attività di verifica degli
interventi infrastrutturali posti in essere dai soggetti attuatori". È una
buona occasione per tagliare i ponti con Balducci. Non accade. È il momento
giusto per liquidare quel Anemone. Non accade neanche questo. Al contrario, le
carte fiorentine raccontano come il capo della Protezione civile accetti di
incontrare l' imprenditore, non in ufficio né al circolo della Salaria. Si
incontrano in strada, in piazza Ungheria ai Parioli. Parlano di appalti. Di
lievitazione e adeguamento di prezzi. Con la soddisfazione di Anemone che,
salutato Bertolaso, dice ai suoi compari: "L' ho convinto". I modi per
difendersi e di persuadere sono molti. Quelli scelti da Guido Bertolaso, finora,
devono far dimenticare troppi ricordi e indizi e prove per poter essere efficaci
e convincerci che egli ignorasse i segreti della sua bottega.