Unioni di fatto le ragioni dell'amore
di Elena Loewenthal
“La Stampa” del 30 giugno 2010
Poeti e filosofi lo dicono da millenni. In fondo, non ci
dicono altro, da che mondo è mondo. Eppure ci sono volute duemilacinquecento
firme (raccolte da associazioni radicali e laiche) e relativa delibera di
iniziativa popolare, per far sì che se ne accorgesse anche la politica: che
l'amore è un vincolo. Non un capriccio né un passatempo, prima ancora che
passione.
E così, finalmente, attraverso una buona politica - che soddisfazione poter
ogni tanto usare questo binomio di parole - approda all'anagrafe di Torino la
dicitura «vincolo affettivo» come riconoscimento di unione civile. La delibera
è stata approvata a larga maggioranza e con la consapevolezza che si tratta di
un passo d'inizio verso una tutela più ampia e sostanziale. D'ora in poi, a
Torino gli impiegati dell'anagrafe saranno autorizzati a rilasciare un attestato
di famiglia anagrafica basato su una storia vecchia come il mondo: il vincolo
affettivo. Sembra paradossale che tutto ciò costituisca, oltre a un'evidenza -
l'amore lega! - anche un traguardo. Ma è soprattutto un punto di partenza verso
un sistema di organizzazione civile meno astratto e più vicino alla realtà
della vita.
Perché questa storia a lieto inizio riguarda, certo, le circa cinquecento
coppie omosessuali che con questa delibera possono trovare una prima forma di
ufficializzazione. Ed è un passo non da poco. Ma riguarda anche le trentamila
coppie eterosessuali che per tante e diverse ragioni non vogliono o non possono
ricorrere al matrimonio. E soprattutto, riguarda la nostra idea di famiglia: che
non è affatto scomparsa, come vorrebbero sociologi apocalittici e catastrofisti
dell'etica. E' solo cambiata.
Come da sempre l'amore è un vincolo, così da che mondo è mondo la buona
politica si fa sul terreno delle cose, più che delle parole. La versione
nostrana dei Pacs è tramontata molto in fretta sotto il peso di nomi tanto
pomposi quanto buffi: i Dico e i Didorè (da non confondersi con la madama delle
filastrocche) sentenziavano di «diritti e doveri delle coppie di fatto» ma
hanno fatto un bel buco nell’acqua. Le solite storie all'italiana, la
prevedibile inconcludenza di una politica che parla per codici ermetici. «Vincolo
affettivo» invece non è l'abbreviazione di niente: ci dice come stanno le cose
dentro migliaia di case, nella vita quotidiana e nei grandi momenti. Stabilisce
che questo vincolo esige un riconoscimento, da parte della società, non offende
nessuno e non limita la libertà di chi crede che l’unione tra un uomo e una
donna debba essere sigillata dal matrimonio.
Presuppone, senza tante formule vuote e assordanti discussioni parlamentari, che
esso tiene insieme le vite e, mattone su mattone, giorno per giorno, costruisce
una famiglia. Anzi, la famiglia in senso lato: quella vera, della vita, e quella
astratta, dei principi. Prevede, con una formula - per una volta tanto in
politica - niente affatto oscura, ma anzi chiarissima a tutti (senza distinzioni
di età, sesso, cultura, travagli amorosi), che un'unione fondata sul vincolo
affettivo è una cosa civile. Non un’eccezione, né una scappatoia, non un
vicolo cieco e nemmeno un chiaro segno di dissolutezza. Sembra quasi
impossibile, ma ogni tanto anche la politica è progresso