“Sussidiarietà” è una parola della neo-lingua cattolica, inventata allo scopo di sottrarre allo Stato italiano quei servizi pubblici che lo qualificano come indipendente e laico – sanità, assistenza sociale, educazione. “Sussidiarietà” è la versione clericale di “privatizzazione”.
Sottrarre allo Stato ciò che lo rende Stato e farsi pagare profumatamente; l’esito di questo processo in corso da più di vent’anni, che nell’ultima decade ha conosciuto una forte accelerazione, è la creazione di un potere economico radicato dal sud al nord, in grado di restaurare il dominio di fatto della Chiesa Cattolica sul corpo vivo della società italiana.
Date queste intenzioni – peraltro più volte esplicitate dagli stessi ideologi della sussidiarietà e che dunque solo chi si candida a svolgere il “ruolo dell’utile idiota” finge di non vedere – verrebbe da pensare che la classe politica italiana, di destra e di sinistra, sia da tempo impegnata in una strenua lotta a difesa della Repubblica Italiana e dei suoi principi fondatori: libertà, uguaglianza, laicità.
Magari… Al contrario, la classe politica italiana si divide in chi vorrebbe consegnare lo Stato chiavi in mano al Vaticano (la destra) e chi vorrebbe smantellarlo gradualmente (il famoso “riformismo” della sinistra). L’Emilia-Romagna, un tempo terra di conflitto col potere clericale, è oggi, insieme alla Lombardia, il “laboratorio sociale” della nascente federazione di Vaticalia.
Non è nemmeno questione d’essere contrari o favorevoli alle privatizzazioni; il problema è ancor più a monte. Se usciamo dal nostro provincialismo, ci accorgiamo quasi istantaneamente che altri stati d’Europa, meno frammentati o da più lungo tempo riuniti sotto un’unica bandiera, avendo già consolidato le propria fondamenta, hanno scelto strade diverse. Prendiamo la Gran Bretagna, dove per esempio le adozioni non sono gestite dagli enti statali, bensì dai privati. Quando il Parlamento inglese approvò le Civil Partnership (riconoscimento giuridico di unioni diverse dal matrimonio civile ma che godono degli stessi diritti, non uno in meno), la nuova legge diede immediatamente la possibilità alle coppie omosessuali d’accedere alle adozioni. Le associazioni cattoliche e anglicane impegnate nel settore intrapresero una lunga polemica, dichiarando che si sarebbero opposte. S’aprì una diatriba con lo Stato, il quale infine decise che non era contemplata l’obiezione di coscienza e che spettava allo Stato e solo allo Stato decidere le regole del gioco a cui anche i gestori privati debbono attenersi.
Ho ricordato questo episodio fresco di stampa per rendere palese ciò che non avverrà mai in Vaticalia. Qui lo Stato non è in grado di garantire che i servizi affidati ai privati abbiano quella caratteristica che posseggono solo se svolti dal pubblico: nessun connotato confessionale, aperti a tutti gli orientamenti religiosi ed esistenziali.
L’invito del cardinale Caffarra ad accogliere la sussidiarietà come asse portante delle politiche dell’Amministrazione bolognese e regionale, il pronto “sì” ricevuto in risposta dal sindaco Virginio Merola e dal governatore Vasco Errani, sono i campanelli d’un gravissimo allarme a cui dare risposta.
Caduto ogni freno inibitore della classe politica, oramai totalmente sganciata dall’elettorato di riferimento, il prossimo passo, imminente, sarà la ri-clericalizzazione dei servizi d’assistenza alla persona, delle scuole, degli ospedali, unita ad un aumento dei costi per i cittadini e a una generale perdita di qualità dei servizi dismessi.
Questo è il futuro dei prossimi mesi, se la società non sarà in grado di gridare “no”, se non ci ribelleremo all’ideologia liberista e privatista che ha creato la crisi economica che stiamo attraversando e il cui salato conto si vorrebbe che fosse pagato dalle vittime e non dai finazisti (felice neologismo di Franco “Bifo” Berardi, nato dall’unione di finanza e nazisti).
Urge aprire un conflitto, duro, con chi ha responsabilità di governo. La drammaticità del momento non ammette sconti in nome delle simpatie di partito. E’ in gioco il bene comune e l’idea stessa di società plurale, aperta, solidale.