“Oggi alla Chiesa manca il respiro”
di Enzo Bianchi
“La Stampa” del 16 aprile 2011
Ormai non ci si presta
nemmeno più attenzione, ma nei mezzi di informazione si è ritornati alla «antica
e preconciliare identificazione fra chiesa italiana e Conferenza episcopale»,
anzi sovente addirittura tra cattolici e presidenza della Cei. E questo non
dipende in primo luogo da una sbrigativa semplificazione da parte dei mass
media, ma da un progressivo dilatarsi della forbice tra la sovraesposizione dei
vertici ecclesiastici e l’afasia dell’opinione pubblica nella chiesa.
È l’immagine che la chiesa dà di se stessa che in un certo senso autorizza
l’osservatore esterno a identificarla con le figure più rappresentative del suo
episcopato. Non si tratta quindi di un deplorevole malcostume giornalistico,
quanto piuttosto di un serio campanello d’allarme sullo stato di salute della
chiesa italiana e sul suo impatto nella società civile.
L’impressione più diffusa all’esterno, ma soprattutto all’interno della chiesa,
è quella sinteticamente evidenziata dal titolo di un breve saggio a due voci:
Manca il respiro (Ancora, pp. 144, 13,00). Gli autori - Saverio Xeres,
presbitero e docente di storia della chiesa presso la facoltà Teologica
dell’Italia settentrionale, e Giorgio Campanini, laico e già professore di
Storia delle dottrine politiche, oltre che di teologia del laicato - danno voce
a un disagio sempre più diffuso tra i cattolici italiani, alla sofferenza di
tanti credenti che amano e hanno a cuore la propria chiesa e la vorrebbero in
costante riforma per presentarsi al suo Signore «senza macchia né ruga» (Ef
5,27).
Xeres analizza in modo sintetico ma esauriente «La Chiesa italiana nel passaggio
culturale degli ultimi decenni», esaminando in particolare l'articolazione tra
postconcilio e postmoderno, mentre Campanini guida il lettore «Alla riscoperta
della categoria conciliare di “popolo di Dio”».
L'immagine che emerge da questo doppio, appassionato sguardo non è delle più
incoraggianti: sempre più fedeli assistono scoraggiati e impotenti a un
progressivo depotenziamento dei documenti conciliari, specie di quelli portatori
di un nuovo soffio vitale nella chiesa. Sembra quasi che le decisioni collegiali
assunte dai padri conciliari che, non si dimentichi, costituiscono la più alta
espressione del magistero ecclesiale - siano equiparati ai molteplici
pronunciamenti di singole conferenze episcopali e di uffici nazionali che
finiscono per esprimere una sempre più accentuata autoreferenzialità della
chiesa. Così si arriva ad «assimilare le grandi prospettive conciliari alle
patetiche velleità postconciliari».
Il criterio di lettura della situazione della «Chiesa nel mondo contemporaneo»,
offerta dal Vaticano II e consistente nel «vedere-giudicare-agire», sembra ormai
aver lasciato il posto a una prelettura di eventi e circostanze che viene poi
calata dall’alto nelle singole realtà regionali o diocesane.
Anche il laicato, quando è preso in considerazione, viene pensato come un
sostituto di un clero in costante diminuzione e non come una diaconia con un
ruolo specifico nel mondo. Così assistiamo a interventi di organismi episcopali
che si sostituiscono ai laici nel leggere la situazione sociale proprio mentre
prestano sempre meno ascolto alla voce dei laici stessi: questa è l’analisi dei
due autori, che tuttavia non si ferma all’amara costatazione di «un diffuso
senso di frustrazione all’interno stesso della chiesa», ma aprono con fiducia a
una nuova stagione di presenza cristiana nella società: «Sono questi tempi di
marginalità per la chiesa i più preziosi: la bellezza del Vangelo infatti appare
limpidamente quando esso non ha altro sostegno se non la propria, intrinseca
fecondità».
Sì, anche quando «manca il respiro», lo Spirito non cessa di soffiare.