I cattolici tedeschi e il biotestamento

 

di Adriano Prosperi

 

 la Repubblica” del 15 marzo 2011

 

È così difficile ragionare sulle cose italiane. E, più che difficile, sembra quasi un lusso parlare della diatriba sulla legge del «fine vita» sullo sfondo di una cronaca del mondo dove la violenza della natura e quella degli uomini falciano vite senza regola e senza leggi. Eppure bisogna tentare di farlo, almeno per reagire all'uso strumentale di questo progetto di legge e al clima che si è voluto creare intorno ad esso. Si va rapidamente all'approvazione di norme sul testamento biologico in un clima di crociata che il governo attuale ha fortemente voluto e sul quale conta per far passare inosservate le prove processuali che attendono il premier. In questo clima la stampa cattolica ha messo la sordina a qualunque critica e si è schierata dietro la bandiera della «indisponibilità della vita». Monsignor Luigi Negri vescovo di San Marino ha chiamato a raccolta per la difesa di

«principi non negoziabili». E questa sembra la parola d'ordine più diffusa, anche se un altro vescovo, Luigi Bettazzi, ha ricordato al confratello che il dovere di tutelare la vita si esprime soprattutto con l'aiuto a tutte le vite minacciate: da quelle degli immigrati in fuga dalla miseria insopportabile e dalla persecuzione politica (il lettore pensa a Gheddafi e al supporto italiano al suo regime) a quelle dei bambini che non nascono perché non ci sono da noi leggi come quelle della

«laica» Francia che incoraggiano il matrimonio e la procreazione; e fino a quelle dei giovani senza lavoro condannati alla disperazione. E che dire di quella idolatria del danaro e del successo che porta le famiglie a incoraggiare le ragazze di casa a vendersi ad alto prezzo? Ma sullo sfondo di questi garbati dissensi resta l'ombra di un pericolo contro il quale il fronte cattolico appare compatto: l'eutanasia.

Ora, poiché per i malati terminali non ci sarà la possibilità di quel turismo sanitario praticato da chi ha voluto avere figli sfuggendo alle forche della legge 40 sulla fecondazione assistita, sarebbe bene confrontare il caso italiano con quello della Germania. Come ha raccontato Marlis Ingemney in un articolo molto preciso e informato uscito su Micromega on-line, qui le Chiese cristiane tutte, inclusa quella cattolica, hanno dedicato assidue riflessioni alla questione. Nel 1975 avevano pubblicato un opuscolo per i fedeli molto preciso e dettagliato. Lo hanno ripreso e rielaborato con un lavoro

durato diciannove mesi dopo che il Bundestag ha approvato nel giugno 2009 la legge sulle

«disposizioni del paziente». La legge tedesca parla di «diritto alla vita» e non della vita come dovere, come obbligo; e impone il rispetto delle disposizioni date dai singoli nel quadro della intangibile dignità dell'uomo come individuo, affidando al potere statale solo l'obbligo di difendere la vita individuale se minacciata dall'intervento di terzi. Di questa legge le Chiese nel loro documento hanno criticato lo squilibrio tra il rispetto dell'autodeterminazione e la mancanza di una concreta presa in carico del paziente, chiedendo una assistenza alle persone capace di perfezionare e rendere effettiva quella autonomia dei singoli. Ma intanto già nel documento del 1975 il Consiglio permanente delle Chiese aveva riconosciuto il diritto di ognuno a una morte dignitosa e da qui

aveva dedotto che fosse «eticamente ammissibile» rinunciare a interventi e trattamenti sanitari straordinari per prolungare artificialmente una vita senza speranza. «La morale non richiede terapie a ogni costo»: questa frase introdotta nel testo tedesco del 1992 del Catechismo post-conciliare cattolico segnò già allora la via che si voleva battere. Oggi che la nuova normativa riconosce il diritto individuale a rifiutare anche i trattamenti medici salvavita, le Chiese non contestano quel diritto, anzi lo riconoscono ammettendo esplicitamente la possibilità di una «eutanasia passiva» o

«indiretta». Si limitano a chiedere ai fedeli di avvalersene solo quando ci si trovi nello stadio terminale di una malattia incurabile. In un modulo allegato al testo il lettore può barrare precise caselle per richiedere per esempio che solo col consenso del paziente o dei suoi fiduciari si possa procedere alla nutrizione e idratazione artificiale o alla somministrazione di farmaci che possano alleviare i dolori anche se c'è il rischio di abbreviare così la vita del moribondo.

Ma il punto più interessante per i lettori italiani ossessionati dal battage indegno di nuovo


 

orchestrato intorno al caso Englaro è quello che riguarda non la persona di cui sia imminente o prevedibile la morte, ma la persona che versa in stato vegetativo persistente. Chi vorrà dare indicazioni per l'ipotesi di trovarsi un giorno nella condizione angosciosa di tale stato, potrà farlo anche secondo i vescovi tedeschi, che hanno finito con l'accordarsi sostanzialmente con gli evangelici su questo delicatissimo punto. Nel modulo allegato al testo si può barrare una casella che chiede la cessazione di tutti i trattamenti salvavita inclusa la nutrizione artificiale per chi, caduto nello stato vegetativo, vi permanesse per un lungo periodo (per esempio un anno) o fosse

minacciato da una malattia intercorrente acuta.

Perché queste differenze tra Chiesa cattolica tedesca e Chiesa cattolica italiana? Perché ciò che è tranquillamente ammesso in un paese è severamente vietato nell'altro? Bene, il caso non è nuovo. Già secoli fa, ai tedeschi rimasti cattolici la Chiesa di Roma riserbò su molte questioni un trattamento diverso rispetto a quelli italiani: se ne potrebbe dare un lungo elenco. Ma a questa differenza che ebbe le sue evidenti ragioni tattiche nella necessità di fronteggiare la sfida della Riforma protestante si sono aggiunti nel corso dei secoli motivi legati al regime di dialogo tra confessioni e fedi diverse. La libertà di coscienza ha dato vita a un confronto che ha coinvolto i rapporti tra Chiese e stato, tra l'ordinamento laico e l'esperienza di lunga durata dell'ordinamento ecclesiastico. Da qui la serietà di una riflessione attenta e partecipe sugli imprevisti che possono minacciare la dignità della vita individuale e la volontà di dimostrare coi fatti la capacità del corpo ecclesiastico di contribuire concretamente alla tutela della dignità dell'essere umano. Visto dall'Italia vaticana, questo paesaggio sembra molto lontano. E forse alla fine quell'Inferno che un papa

tedesco ha cominciato a mettere in discussione fini col restare aperto solo per gli italiani.