FATTI E MISFATTI DEL VATICANO. ECCO L'ITALIA SOTTO LA CHIESA
Maria R. Calderoni
Liberazione 2-10-11
Una Chiesa
iradiddio. La storia d'Italia ripercorsa attraverso la sola chiave della
politica vaticanesca dà più di qualche sobbalzo, anche a posteriori. Ma no, non
occorre essere anticlericali. Basta andare a vedere i fatti, scorrerli e
leggerli così, sic et simpliciter, come sono avvenuti. E' ciò che appunto fa
questo libro di Giordano Bruno Guerri appena in libreria - "Gli italiani sotto
la Chiesa", Bompiani, pag. 539, euro 21,50 - : una summa che prende in carico
due millenni e che come incipit mette due punti fermi: «Questo saggio non vuole
toccare problemi di fede: nessun dogma, nessuna fiducia nel divino verranno
messi in discussione». Inoltre, «con "Chiesa" si intende la gerarchia
ecclesiastica come si è istituzionalizzata e estrinsecata nei secoli». Insomma,
tutta roba che ci riguarda, qui in terra e non in cielo, molto concretamente e
non in virtù dello Spirito Santo. Tutta roba che ci riguarda. Saltiamo tutto il
resto, facciamo omaggio ai celebrati 150 anni oggi sulla bocca di tutti e ci
fermiamo qui: e la Santa Madre Chiesa - cioè la Chiesa di cui sopra, in forma di
gerarchia ecclesiastica - dove stava? Il primo dato sicuro è che - siamo già
nella prima metà dell'Ottocento - lo Stato Pontificio era un postaccio tremendo.
Una amministrazione infima («per un intero decennio non venne steso nemmeno il
bilancio finanziario»); i moti liberali, 1831, giudicati in blocco «le più dense
tenebre dell'orrore»; la ferrovia bollata come strumento diabolico. E al popolo
che chiede la Costituzione, 1848, il papa del tempo, Pio IX, risponde col famoso
«Non posso, non debbo, non voglio». Né perde tempo nel '49 - quando la
Repubblica Romana è caduta e Garibaldi sconfitto, - ad abrogare la Costituzione
appena approvata: essa, dice quel Pontefice, «è inconciliabile con la Chiesa, in
quanto la libertà di stampa e di associazione sono portatrici di male». Per non
parlare del comunismo che è appena nato ma già è bersaglio di violentissimi
attacchi, descritto come «un demonio che fa l'apoteosi della prostituzione e
dell'assassinio, predica l'abolizione della famiglia e persino l'emancipazione
della donna». I celebrati 150. «Nello stesso giorno in cui il parlamento dava a
Vittorio Emanuele II titolo di re d'Italia, il 17 marzo 1861, Pio IX tenne
un'allocuzione ai cardinali. Dichiarò una guerra morale allo Stato italiano e a
tutta la civiltà moderna, che accoglie nei pubblici uffici gli infedeli, apre ai
loro figli le pubbliche scuole e dà libero varco alla miscredenza. La Chiesa fu
«la maggiore forza di opposizione, sul piano internazionale e interno, dello
Stato italiano». Una opposizione distruttiva. «La strategia vaticana consisteva
nel dimostrare che non poteva funzionare, in Italia, uno Stato sgradito alla
Chiesa, e il clero, al grido «né eletti né elettori», nelle prime elezioni
unitarie, convinse i fedeli a disertare le urne». Il papa medesimo diede
l'ordine di ripulsa col famoso "Non expedit" (Non conviene): valeva dire "non
partecipate" in nessunissima forma allo Stato sacrilego. Secondo Bruno Guerri,
«se questo ordine, che durò mezzo secolo, danneggiava la vita civile del paese,
fu una vera autocastrazione per i cattolici». L'enciclica successiva, siamo nel
1864, se la prende con il concetto stesso di democrazia, che «distrugge la
giustizia e la ragione»; ragion per cui ad essa viene accluso l'elenco dei
«principali errori del nostro tempo», ovverossia il Sillabo, giustamente passato
alla storia. Tali principali errori sono ottanta né uno più né uno meno. Per
citare: il razionalismo, il naturalismo, il socialismo, il comunismo, le società
bibliche, l'antitemporalismo, il separatismo tra Stato e Chiesa, la libertà di
stampa, la libertà di opinione, la libertà di coscienza, l'indifferentismo
religioso. Il Sillabo, frutto di tre anni di lavoro di un'apposita commissione
di cardinali e teologi supportata da 255 vescovi, «era il tentativo di riportare
la Chiesa e l'umanità indietro di due secoli, prima dell'Illuminismo e della
Rivoluzione Francese. Il tentativo ovviamente fallì, ma la matrice reazionaria
che lo originava continuò a vivere nella Chiesa, come proveranno la violenta
lotta contro il modernismo e l'adesione al fascismo» (e non è male ricordare che
il Sillabo - ancorché ridicolizzato, anche al tempo, in tutta Europa - è tuttora
in vigore, dal momento che la Chiesa non abroga mai niente... ). Comunque, non
bastava; e cinque anni dopo, 1869, ecco quel Concilio Vaticano che inventò su
due piedi il dogma dell'infallibilità del papa in materia religiosa e morale.
Quel brutto posto della Roma papalina. «I pontefici non furono mai accomodanti
con la cittadinanza». Se con una mano porgevano il pane, con l'altra «tenevano
la forca, e disponevano di un sistema di polizia feroce e di una censura
spietata». Disinteressati ad ogni tipo di sviluppo, con latifondo e campagna
praticamente allo sfascio, nobili e curia traevano enormi somme dal pascolo,
giovandosi di lavoro in gran parte non retribuito e di una massa contadina
abbrutita; e su poco più di duecentomila abitanti, 50 mila sono disoccupati e
altrettanti mendicanti. E' un disastro anche l'apparato pubblico. «La nuova
capitale non aveva spirito nazionale, tradizione amministrativa e, soprattutto,
classe dirigente»: perché tale non si poteva certo definire «la pigra nobiltà
papalina, una delle poche aristocrazie europee che da secoli non si batteva per
la conquista o la difesa di uno Stato». Nepotismo a parte (una delle
caratteristiche più corruttrici del papato), anche «l'ipertrofia e le abitudini
della burocrazia statale affondano le loro radici nella Roma papalina». Già,
l'amministrazione pontificia aveva una quantità enorme di impiegati; per forza,
«ogni nuovo pontefice doveva sistemare parenti, amici e clienti, senza
inimicarsi quelli dei predecessori». Fu chiamato - e continua a chiamarsi - "il
generone". Vi ricorda qualcosa? «Nel generone ha avuto origine anche Giulio
Andreotti»...
Qualche brano tratto da "Gli italiani sotto la Chiesa"
«Come affermato nell'enciclica Deus caritas est, del 2005, la politica ha il
diritto di essere indipendente dalla fede, ma è compito della religione
purificare la ragione ed aiutarla "ad essere meglio se stessa". Si tratta,
cambiati i tempi, del desiderio di perpetuare il proprio controllo. Nella Chiesa
la difesa dei suoi interessi e dei suoi valori non registra cedimenti. Anzi, la
pressione vaticana sui principi generali è cresciuta, assicurandosi un uditorio
politico trasversale».
«Il caso italiano è unico. L'oggettiva diffusione nella coscienza collettiva di
un animus più laico, liberale e slegato da condizionamenti dogmatici non ha
tolto rilevanza all'egemonia ecclesiastica nei differenti temi etici,
subordinati ancora oggi al pesante interventismo e alla costante mobilitazione
della Chiesa. Egemonia evidente nell'ostinato e ostruzionistico rifiuto di ogni
regolamentazione delle coppie di fatto, nella crociata contro la pillola
abortiva RU486, nella procreazione assistita, nella negazione della libertà
nella ricerca scientifica, nella chiusura intorno al tragico problema
dell'accanimento terapeutico nei malati terminali».
«Ecco, riportato dall'Osservatore Romano, ciò che chiede, nell'ottobre del 2010,
Papa Benedetto XVI in un messaggio inviato ai cattolici italiani riuniti a
Reggio Calabria per la XLVI Settimana Sociale: "Rinnovo l'appello perché sorga
una nuova generazione di cattolici, persone interiormente rinnovate che si
impegnino nell'attività politica senza complessi di inferiorità... L'impegno
socio-politico, con le risorse spirituali e le attitudini che richiede, rimane
una vocazione alta, cui la Chiesa intende rispondere con umiltà e
determinazione". Si prepara un'offensiva per un controllo ancora maggiore della
politica italiana».
1949, il Vaticano scomunica il Pci
1 luglio 1949. Il Vaticano scomunica il Pci. Il Decreto è scritto in latino;
questa la traduzione integrale.
«È stato chiesto a questa Suprema Sacra Congregazione: - se sia lecito
iscriversi al partito comunista o sostenerlo; - se sia lecito stampare,
divulgare o leggere libri, riviste, giornali o volantini che appoggino la
dottrina o l'opera dei comunisti, o scrivere per essi; - se possano essere
ammessi ai Sacramenti i cristiani che consapevolmente e liberamente hanno
compiuto quanto scritto nei numeri 1 e 2; - se i cristiani che professano la
dottrina comunista materialista e anticristiana, e soprattutto coloro che la
difendono e la propagano, incorrano ipso facto nella scomunica riservata alla
Sede Apostolica, in quanto apostati della fede cattolica. Gli Eminentissimi e
Reverendissimi Padri preposti alla tutela della fede e della morale, avuto il
voto dei Consultori, nella riunione plenaria del 28 giugno 1949 risposero
decretando: - negativo: infatti il comunismo è materialista e anticristiano; i
capi comunisti, sebbene a volte sostengano a parole di non essere contrari alla
Religione, di fatto sia nella dottrina sia nelle azioni si dimostrano ostili a
Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo; - negativo: è proibito dal
diritto stesso (cfr. canone 1399) del Codice di Diritto Canonico); - negativo:
secondo i normali princìpi di negare i Sacramenti a coloro che non siano ben
disposti; - affermativo. Il giorno 30 dello stesso mese ed anno il Papa Pio XII,
nella consueta udienza all'Assessore del Sant'Uffizio, ha approvato la decisione
dei Padri e ha ordinato di promulgarla nel commentario ufficiale degli Acta
Apostolicae Sedis». (Decretum, 1 luglio 1949)
«Quando la Chiesa argentina benediceva la dittatura militare» - Guido Caldiron
«Ho iniziato ad occuparmi della storia della Chiesa argentina dopo che nel 1994
il capitano di vascello Adolfo Scilingo mi ha raccontato che i suoi superiori
avevano giustificato la scelta di eliminare gli oppositori politici gettandoli
dagli aerei in volo sull'Oceano, spiegando che la gerarchia ecclesiastica
argentina aveva approvato tale metodo considerandolo come una "forma cristiana
di morte". Non solo, quell'ufficiale mi ha anche confidato che quando lui o i
suoi colleghi tornavano da una di quelle missioni terribili ed erano colti da
dubbi o rimorsi, i cappellani militari della Scuola di meccanica della Marina,
li tranquillizzavano citando le parabole bibliche che parlavano della
separazione dell'erba cattiva dal grano. E' allora che ho capito che dovevo
riprendere le mie inchieste sulla Chiesa negli anni della dittatura». Horacio
Verbitsky descrive con tono pacato quella che è stata una delle pagine più
terribili della storia Argentina: quei voli della morte che partirono con
tragica regolarità dall'Esma, la Scuola militare del nord di Buenos Aires,
trasformata nel 2004, per volontà del presidente Néstor Kirchner, in un museo
per la memoria dei crimini della dittatura, la promozione e la difesa dei
diritti umani. Diverse migliaia, tra i trentamila desaparecidos che i militari
argentini hanno lasciato dietro di sé nei lunghi anni della dittatura, tra il
1976 e il 1983, sono passati per le stanze dell'Esma, prima di scomparire per
sempre in mezzo al mare. E proprio le rivelazioni di Scilingo, uno degli
ufficiali protagonisti di quella tragedia sono alla base di El vuelo, il libro
più noto di Horacio Verbitsky e uno dei documenti più straordinari e al tempo
stesso terribili sulla stagione del potere dei militari, pubblicato nel 1996 da
Feltrinelli e nel 2006 da Fandango Libri. Classe 1942, ex peronista, ex
montonero, Verbitsky è un sorta di simbolo del giornalismo e della cultura
progressista argentina. Con trent'anni di lavoro di inchiesta alle spalle, di
cui una gran parte spesa per ricostruire le tante ombre che ancora celano parte
della verità, e delle responsabilità, degli anni della dittatura, ha acquisito
la statura di interprete della coscienza civile del paese. Dalle colonne di
Pagina 12 si è misurato con la corruzione della politica, celebre il suo
confronto, finito anche davanti ai giudici, con il presidente Menem, e con "il
passato che non passa" dell'Argentina, si tratti del ruolo ancora giocato da
alcuni militari coinvolti nella dittatura o in quello. simile, dei vertici della
Chiesa locale. Verbitsky è in Italia, ospite del Festival del giornalismo
promosso a Ferrara da Internazionale - l'appuntamento con lui è oggi alle 15.30
al Chiostro di San Paolo - per presentare Doppio gioco. L'Argentina cattolica e
militare, il suo libro pubblicato in America Latina nel 2006 e ora proposto al
pubblico italiano da Fandango Libri (pp. 726, euro 22,00), parte di un lavoro di
scavo sulla storia del clero argentino lungo l'arco di più di un secolo che il
giornalista ha intrapreso da tempo, che descrive l'intreccio profondo tra i
vertici della Chiesa e il potere dei militari durante la dittatura. C'è
un'immagine, cui fa riferimento anche lei in "Doppio gioco" , che ha a lungo
sintetizzato il legame tra Chiesa e militari in Argentina: quella del nunzio
apostolico Pio Laghi che gioca a tennis con il generale Massera, uno dei
responsabili, con Videla, del golpe del 1976. Il rapporto tra i golpisti e i
prelati fu davvero così stretto? Voglio citare una vicenda: nel 1979 un campo di
concentramento clandestino fu allestito in tutta fretta dai militari in una
villa privata di proprietà del cardinale arcivescovo di Buenos Aires, fu fatto
per trasferire delle persone che erano state fino al quel momento nei locali
dell'Esma. Questo per evitare che la Commissione interamericana per i diritti
umani, che era in missione nel paese per indagare sulla sparizione degli
oppositori politici alla dittatura, potesse incontrare quei prigionieri,
sequestrati del tutto illegalmente. La Chiesa argentina diceva pubblicamente una
cosa e ne faceva in realtà un'altra. Per questo il mio libro si intitola Doppio
gioco. Dopo lunghi anni di ricerche e dopo aver potuto studiare anche i
documenti interni all'Episcopato locale, mi sono reso conto che in realtà la
Chiesa in Argentina ha offerto l'ispirazione ideologica, o se si vuole la
giustificazione teologica, alle azioni dei militari. Perciò indagare il
comportamento e le scelte fatte dalla Chiesa allora significa analizzare un
elemento centrale nello sviluppo della tragedia che ha colpito il nostro paese.
Ne "Il volo" lei ha spiegato che il progetto dei militari autori del golpe del
1976 era quello di una "rifondazione" dell'Argentina, basata su una "distruzione
del passato", da cui la decisione di eliminare fisicamente gli oppositori. La
Chiesa aveva a che fare con tutto ciò? Certamente. I militari volevano fondare
una società basata su ideali che potremmo definire "nazional-cattolici",
l'enfasi posta sull'idea di nazione si sposava con il riferimento al
cattolicesimo più retrivo. Tutti quelli che non erano cattolici, i liberali, gli
ebrei, gli atei o gli agnostici, erano considerati come dei "non argentini",
passibili di qualunque sorte, anche la peggiore. E ad una Chiesa argentina che
assomigliava a quella spagnola del periodo della Guerra civile che appoggiò e
sostenne fortemente Franco, questa ipotesi non poteva che piacere molto. La sua
indagine sulla Chiesa argentina non riguarda però soltanto il passato, nelle
ultime pagine di "Doppio gioco" si parla di prelati coinvolti nella dittatura
che sono ancora al loro posto. Come stanno le cose? L'attuale arcivescovo di
Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina, il suo
"mandato" si concluderà alla fine di quest'anno, il cardinale Jorge Bergoglio,
descriveva altri sacerdoti come "sovversivi" - ho trovato un documento che lo
prova negli archivi del MInistero degli Esteri - negli anni della dittatura,
quando una simile etichetta poteva costare la vita a chiunque. E non a caso, in
seguito si è battuto strenuamente contro la politica di verità, memoria e
giustizia intrapresa dai governi democratici del paese.