Il Pd e la paralisi cattolica
di Marco Politi
“il Fatto Quotidiano” del 1 aprile 2011
Nei loro dispacci i diplomatici americani (vedi Wikileaks) hanno descritto l’incapacità del Pd a conservare una virtù della Dc e del Pci: il rapporto con il territorio. Avrebbero potuto aggiungere la perdita di un’efficace comunicazione con l’elettorato. Fenomeno sotto gli occhi di tutti. Ma la recente fuga di una serie di esponenti cattolici obbligherebbe il Pd a misurarsi con una grande questione irrisolta: la relazione con il mondo cattolico. Un mondo che in Italia è ramificato, pieno di energie ma sostanzialmente “invisibile”, perché portato alla paralisi da una gerarchia ecclesiastica che oscilla tra la ripulsa del berlusconismo e la ferrea determinazione del Vaticano ad appoggiare il premier in nome degli interessi ecclesiastici “non negoziabili”.
Dilaga l’astensionismo
QUESTO MONDO cattolico paralizzato alimenta buona parte di quel quarto abbondante dell’elettorato, attestato tenacemente su posizioni astensioniste. Ma non può essere certo smosso da un Pd, che non riesce a darsi un profilo netto. La prima maledizione da cui liberarsi per il Pd è perciò quella di comportarsi ancora come un amalgama malriuscito di ex Dc ed ex Pci. Sono etichette che non dicono più nulla alle generazioni al di sotto dei 35 anni. Altrettanto improduttivo è il mito generico del Pd come “incontro di laici e cattolici”. Perché né gli uni né gli altri esistono come entità monolitiche astratte. Ci sono laici e cattolici reazionari o moderati o progressisti o radicali. Bisogna scegliere.
Il Pd sembra non capire che l’area cattolica ha acquisito nella sua maggioranza l’orizzonte bipolare
e dunque è un imperativo scegliere a quale cattolicesimo riferirsi. Non ci si può illudere di avere nel proprio seno sia i credenti fondamentalisti sia i credenti che riservano il primato alla propria coscienza. Né si può immaginare di affidare la rappresentanza del mondo cattolico all’episcopato, che in tutti i paesi democratici è portatore di valori, di proposte, di interessi istituzionali se si vuole, ma non può pretendere al ruolo di portavoce politico dei credenti.
Dunque ancora una volta si impongono delle scelte. Per un partito progressista europeo – l’unica prospettiva in grado di schiodare il Pd dal suo impotente 25 per cento – non può che essere il rapporto con il cattolicesimo sociale e democratico oltre che con le altre forze che vogliono uscire dalla palude attuale. Il che significa uscire anche da una posizione di imbarazzata e imbarazzante inferiorità nei confronti della Chiesa istituzionale. La regola è quella illustrata efficacemente da Obama dopo la sua elezione sulle pagine di Avvenire: “Ci sono tante cose su cui possiamo collaborare, anche se ce ne sono altre su cui non siamo d’accordo”. I punti di disaccordo, tra l’altro, sono quelle su cui i cattolici della quotidianità sono maggioritariamente orientati da anni come l’insieme degli italiani: un testamento biologico ispirato all’autodeterminazione e la regolamentazione delle coppie di fatto etero e omosessuali. Tanto per fare un esempio. Così come fu per le leggi sul divorzio e l’aborto. È paradossale che su questi temi il Pd rifiuti di sintonizzarsi con chiarezza con la maggioranza dell’elettorato.
Cercasi referente politico
PIÙ DI OGNI altra cosa, tuttavia, è un insieme di istanze sociali fortemente radicate nel mondo cattolico (ed espresse perfettamente nel recente documento delle Settimane sociali cattoliche) ad attendere di trovare un referente politico. Di più: ad anelare a uno sbocco politico diverso dalla farsa berlusconiana e dalla cinica strumentalizzazione leghista, che inneggia alla cristianità ma vuole gli immigrati “fuori dalle balle”, che rifiuta la distribuzione della Costituzione nelle scuole, ma si affretta ad inviare esibizionisticamente il vangelo agli studenti (Zaia docet).
Questo mondo sommerso cattolico, ben presente nella società, ma politicamente muto, chiede una
politica di sostegno alla famiglia pur non negando le coppie di fatto. Chiede un forte rilancio delle istituzioni educative e un rafforzamento della loro autorità, chiede una politica del lavoro favorevole alla flessibilità ma decisamente contraria al’istituzionalizzazione della precarietà, chiede un
contrasto sistematico al lavoro sommerso, all’evasione fiscale, alla criminalità mafiosa. E, per restare in tema di attualità, chiede una seria programmazione dell’inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro, nella società , nei primi livelli di rappresentanza politica locale.
Istanze e valori comuni
IMBAVAGLIATO dal silenzio imposto dalle gerarchie ecclesiastiche all’associazionismo cattolico, tranne che in solenni occasioni – questo mondo è portatore di istanze morali e politiche che accomunano credenti e diversamente credenti, perché non sono frutto di ubbie radicali ma espressione di valori sentiti da normalissime persone presenti nelle parrocchie, negli uffici, le professioni, le scuole, le istituzioni sociali: istanze orientate verso un rigore istituzionale in politica, l’allontanamento dal parlamento di quanti hanno “pendenze giudiziarie”, una riforma elettorale che dia potere di scelta al cittadino, un federalismo che non disgreghi e delegittimi l’unità nazionale.
Con questa realtà un partito progressista dovrebbe riuscire a fare i conti. Questi bisogni e interessi molto concreti, che mirano ad una rinascita dell’Italia, il Pd dovrebbe avere l’interesse a intercettare. A poco servirebbe invece elucubrare su quale sia il nebuloso “disegno cattolico moderato” invocato da alcuni dei fuoriusciti di questi giorni.
Né ha senso continuare a promuovere l’onorevole Fioroni a “portavoce dei cattolici nel Pd”. Fioroni rappresenta degnamente l’antico doroteismo, non gli si è mai potuto rimproverare una definita visione politico-sociale-ideale. Se il Vaticano propone il modello di famiglia abramitica (due mogli
e due concubine), lui sottoscrive il disegno di legge. Se da Oltretevere arriva un No, lui firma. Se non arriva niente, sottoscrive in bianco. Non abita qui la questione cattolica.