Il volto spietato del potere

di GIUSEPPE D'AVANZO 
 

la Repubblica 20 gennaio 2011

 

IL berlusconismo arriva al suo compimento. Ci dovevamo arrivare prima o poi e ora - ecco - ci siamo. Quel che si scorge è l'inizio di un lungo tormento. Sapevamo di vivere in un Paese dove al governo c'è un uomo solo - un grottesco Egoarca - che altrove sarebbe già stato allontanato per la sua evidente inadeguatezza politica e insufficienza etica. Sapevamo che quell'uomo solo, che stringe nelle sue mani il filo del potere economico, politico e mediatico, non può permettersi di allontanarsi dal governo perché è il governare, è il potere, sono i dispositivi di dominio che proteggono l'opacità della sua storia, l'irresponsabilità dei suoi comportamenti, il suo futuro. Buona parte dei disordini istituzionali che hanno accompagnato la vita pubblica degli ultimi quindici anni - lo sappiamo - è figlia di questa anomala e umiliante condizione in cui viviamo; una condizione che sollecita in tanti o la rassegnazione o una depressione cinica. Ci aspettavamo giorni difficili, ci attendono lacrime e sangue. Non bisogna nasconderselo perché, dopo il videomessaggio di Berlusconi, c'è una circostanza che è diventata chiara come acqua di fonte: quell'uomo non vorrà mai lasciare il Palazzo, qualsiasi cosa accada, qualsiasi siano le sue responsabilità accertate, qualsiasi siano le urgenze del Paese.

Il Sovrano, accusato di concussione e di aver fatto sesso con una minorenne, non accetta di farsi processare. Esige di essere immune. Comunica che se l'impunità gli sarà negata, spingerà la sua avventura autocratica fino alle estreme conseguenze, incurante di condurre l'Italia nel gorgo di un tragico conflitto e le istituzioni dello Stato al collasso con risultati oggi del tutto imprevedibili per il futuro del Paese.

La risolutezza annunciata dal capo del governo non è la caparbietà di un "combattente nato", come pure qualche anima fioca dirà. È la nascita di un potere postpolitico e neoautoritario. È postpolitico perché il processo del governare - che cosa è necessario al Paese? qual è l'agenda delle priorità? come affrontarla? - è ormai del tutto separato e scisso dallo spettacolo mediatico che diventa la più autentica rappresentazione del nostro destino pubblico. Questa scena di cartapesta, che impasta e mescola la realtà trasfigurandola, liquida del tutto i meccanismi democratici che diventano irrilevanti al punto che esprimono soltanto un vuoto. Il capo dello Stato, che ha chiesto appena 24 ore fa trasparenza, è sconfessato. Il Parlamento dei nominati mostra tutta la sua ininfluenza. L'opposizione non trova nemmeno il luogo per esercitare le sue prerogative.

È un potere neoautoritario perché Berlusconi è stato esplicito: "la magistratura sarà punita". Chi gli ha scritto il discorso aveva consigliato "adeguata reazione". Il capo del governo ha corretto "punizione". Perché gli è chiara la strada che intende esplorare: l'unificazione nella sua persona di tutti i poteri. C'è un ostacolo lungo questa via: l'indipendenza del potere giudiziario. Deve essere liquidata. È quel che reclama. Con animo da mercante, potrebbe ripensarci soltanto se gli sarà concessa l'impunità (già si ode il lavorio di chi crede alla possibilità di "ridurre il danno").

In ogni caso il capo del governo annuncia nuove misure graduali da stato di emergenza perché è un'emergenza l'autonomia della magistratura anche se il solo a sentirsi minacciato è lui. "State sereni", dice Berlusconi. È una frase chiave. Ci rassicura: la vita andrà avanti normalmente con le sue permissività, i suoi piaceri, i suoi sogni ma - purtroppo - per colpa di una magistratura che lavora con fini politici occorre qualche misura eccezionale necessaria per proteggere la cosiddetta "libertà" che nel lessico del Sovrano equivale a "piacere". Si avvera la profezia di Slavoj Zizek. Nel futuro dell'Italia appare una sorta di autoritarismo permissivo che ha per formula più divertimento e più misure straordinarie. Più "piacere" e meno libertà. Sapremo comprendere i principi eversivi di questo discorso? C'è ancora da qualche parte nella nazione un amor proprio che avverte come degradante, disonorevole, vergognoso per tutti la presenza di quest'uomo al vertice dello Stato? Ammesso che davvero esista nella nostra democrazia ipermediatizzata, si riuscirà a rendere consapevole l'opinione pubblica di che cosa è accaduto, di perché accaduto e per responsabilità di chi.

Nel suo monologo - mai che l'arrogante accetti un contraddittorio, una domanda, la contestazione di "un fatto" - Berlusconi ha truccato le carte come gli accade sempre. Come è possibile dimostrare, ha corrotto Ruby, l'ha costretta a tacere di aver fatto sesso con lui, minorenne. Si è fatto firmare una dichiarazione che lo scagiona. Berlusconi l'ha letta ieri in tv condendo la sua difesa con bubbole e fiabe: mi difenderei volentieri nel processo (questo è un falso indiscutibile), ma la procura di Milano è incompetente (altro falso); non ho mai toccato quella ragazza (ancora un falso). È un altro aspetto della nostra nascente democrazia neoautoritaria. Il Sultano pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. È il paradigma che sempre il capo del governo oppone ai fatti nella convinzione che, in ogni occasione, la forza del suo triplice potere possa piegare la verità, ogni verità, tutte le evidenze. Corrompe i testimoni (già gli è capitato con David Mills, ora c'è ricascato con Ruby che dice: mi vestirà d'oro). Impone all'informazione che possiede e controlla di far deflagrare quelle "verità capovolte" nella mente e nei cuori degli italiani che, otto su dieci, s'informano dalla tv e dunque da fonti quasi esclusivamente sue. Trasforma un suo affare privato in un affare pubblico mobilitando le istituzioni (governo, parlamento) che considera cosa sua. Questo spettacolo nero ha un significato politico. Berlusconi ci dice che, al di fuori della sua "verità", non ce ne può essere un'altra. Vuole ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si scorge oggi nell'affaire Ruby, come nella "crisi di Casoria" del 2009, un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere che scongiura l'irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura l'impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del premier come fabbrica di menzogne che finora ha preparato il castigo per chi dissente e da oggi annuncia la "punizione" delle istituzioni dello Stato che non si conformano. Quel che è abbiamo visto ieri in televisione è il nuovo volto di un potere che diventerà spietato, se politica e società non si uniranno per fermarlo. È il paradigma di una macchina politica che deve convincerci della pericolosità di Berlusconi. C'è ancora qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip o l'ennesimo episodio del conflitto tra politica e magistratura? Diffidate di chi vi racconterà queste favole. Berlusconi sta mettendo le mani sulla nostra democrazia e bisogna decidere soltanto che la misura è colma.