IL berlusconismo arriva al suo compimento. Ci
dovevamo arrivare prima o poi e ora - ecco - ci siamo. Quel che
si scorge è l'inizio di un lungo tormento. Sapevamo di vivere in
un Paese dove al governo c'è un uomo solo - un grottesco Egoarca
- che altrove sarebbe già stato allontanato per la sua evidente
inadeguatezza politica e insufficienza etica. Sapevamo che
quell'uomo solo, che stringe nelle sue mani il filo del potere
economico, politico e mediatico, non può permettersi di
allontanarsi dal governo perché è il governare, è il potere,
sono i dispositivi di dominio che proteggono l'opacità della sua
storia, l'irresponsabilità dei suoi comportamenti, il suo
futuro. Buona parte dei disordini istituzionali che hanno
accompagnato la vita pubblica degli ultimi quindici anni - lo
sappiamo - è figlia di questa anomala e umiliante condizione in
cui viviamo; una condizione che sollecita in tanti o la
rassegnazione o una depressione cinica. Ci aspettavamo giorni
difficili, ci attendono lacrime e sangue. Non bisogna
nasconderselo perché, dopo il videomessaggio di Berlusconi, c'è
una circostanza che è diventata chiara come acqua di fonte:
quell'uomo non vorrà mai lasciare il Palazzo, qualsiasi cosa
accada, qualsiasi siano le sue responsabilità accertate,
qualsiasi siano le urgenze del Paese.
Il Sovrano, accusato di concussione e di aver fatto sesso con
una minorenne, non accetta di farsi processare. Esige di essere
immune. Comunica che se l'impunità gli sarà negata, spingerà la
sua avventura autocratica fino alle estreme conseguenze,
incurante di condurre l'Italia nel gorgo di un tragico conflitto
e le istituzioni dello Stato al collasso con risultati oggi del
tutto imprevedibili per il futuro del Paese.
La risolutezza annunciata dal capo del governo non è la
caparbietà di un "combattente nato", come pure qualche anima
fioca dirà. È la nascita di un potere postpolitico e
neoautoritario. È postpolitico perché il processo del governare
- che cosa è necessario al Paese? qual è l'agenda delle
priorità? come affrontarla? - è ormai del tutto separato e
scisso dallo spettacolo mediatico che diventa la più autentica
rappresentazione del nostro destino pubblico. Questa scena di
cartapesta, che impasta e mescola la realtà trasfigurandola,
liquida del tutto i meccanismi democratici che diventano
irrilevanti al punto che esprimono soltanto un vuoto. Il capo
dello Stato, che ha chiesto appena 24 ore fa trasparenza, è
sconfessato. Il Parlamento dei nominati mostra tutta la sua
ininfluenza. L'opposizione non trova nemmeno il luogo per
esercitare le sue prerogative.
È un potere neoautoritario perché Berlusconi è stato esplicito:
"la magistratura sarà punita". Chi gli ha scritto il discorso
aveva consigliato "adeguata reazione". Il capo del governo ha
corretto "punizione". Perché gli è chiara la strada che intende
esplorare: l'unificazione nella sua persona di tutti i poteri.
C'è un ostacolo lungo questa via: l'indipendenza del potere
giudiziario. Deve essere liquidata. È quel che reclama. Con
animo da mercante, potrebbe ripensarci soltanto se gli sarà
concessa l'impunità (già si ode il lavorio di chi crede alla
possibilità di "ridurre il danno").
In ogni caso il capo del governo annuncia nuove misure graduali
da stato di emergenza perché è un'emergenza l'autonomia della
magistratura anche se il solo a sentirsi minacciato è lui.
"State sereni", dice Berlusconi. È una frase chiave. Ci
rassicura: la vita andrà avanti normalmente con le sue
permissività, i suoi piaceri, i suoi sogni ma - purtroppo - per
colpa di una magistratura che lavora con fini politici occorre
qualche misura eccezionale necessaria per proteggere la
cosiddetta "libertà" che nel lessico del Sovrano equivale a
"piacere". Si avvera la profezia di Slavoj Zizek. Nel futuro
dell'Italia appare una sorta di autoritarismo permissivo che ha
per formula più divertimento e più misure straordinarie. Più
"piacere" e meno libertà. Sapremo comprendere i principi
eversivi di questo discorso? C'è ancora da qualche parte nella
nazione un amor proprio che avverte come degradante,
disonorevole, vergognoso per tutti la presenza di quest'uomo al
vertice dello Stato? Ammesso che davvero esista nella nostra
democrazia ipermediatizzata, si riuscirà a rendere consapevole
l'opinione pubblica di che cosa è accaduto, di perché accaduto e
per responsabilità di chi.
Nel suo monologo - mai che l'arrogante accetti un
contraddittorio, una domanda, la contestazione di "un fatto" -
Berlusconi ha truccato le carte come gli accade sempre. Come è
possibile dimostrare, ha corrotto Ruby, l'ha costretta a tacere
di aver fatto sesso con lui, minorenne. Si è fatto firmare una
dichiarazione che lo scagiona. Berlusconi l'ha letta ieri in tv
condendo la sua difesa con bubbole e fiabe: mi difenderei
volentieri nel processo (questo è un falso indiscutibile), ma la
procura di Milano è incompetente (altro falso); non ho mai
toccato quella ragazza (ancora un falso). È un altro aspetto
della nostra nascente democrazia neoautoritaria. Il Sultano
pretende che il potere delle sue parole sulla realtà e sui
nostri stessi ricordi sia, per noi, illimitato e indiscusso. È
il paradigma che sempre il capo del governo oppone ai fatti
nella convinzione che, in ogni occasione, la forza del suo
triplice potere possa piegare la verità, ogni verità, tutte le
evidenze. Corrompe i testimoni (già gli è capitato con David
Mills, ora c'è ricascato con Ruby che dice: mi vestirà d'oro).
Impone all'informazione che possiede e controlla di far
deflagrare quelle "verità capovolte" nella mente e nei cuori
degli italiani che, otto su dieci, s'informano dalla tv e dunque
da fonti quasi esclusivamente sue. Trasforma un suo affare
privato in un affare pubblico mobilitando le istituzioni
(governo, parlamento) che considera cosa sua. Questo spettacolo
nero ha un significato politico. Berlusconi ci dice che, al di
fuori della sua "verità", non ce ne può essere un'altra. Vuole
ricordarci che la memoria individuale e collettiva è a suo
appannaggio, una sua proprietà, manipolabile a piacere. Si
scorge oggi nell'affaire Ruby, come nella "crisi di Casoria" del
2009, un uso della menzogna come funzione distruttiva del potere
che scongiura l'irruzione del reale e oscura i fatti. Si misura
l'impiego dei media sotto controllo diretto o indiretto del
premier come fabbrica di menzogne che finora ha preparato il
castigo per chi dissente e da oggi annuncia la "punizione" delle
istituzioni dello Stato che non si conformano. Quel che è
abbiamo visto ieri in televisione è il nuovo volto di un potere
che diventerà spietato, se politica e società non si uniranno
per fermarlo. È il paradigma di una macchina politica che deve
convincerci della pericolosità di Berlusconi. C'è ancora
qualcuno che può pensare che questa sia la trama di un gossip o
l'ennesimo episodio del conflitto tra politica e magistratura?
Diffidate di chi vi racconterà queste favole. Berlusconi sta
mettendo le mani sulla nostra democrazia e bisogna decidere
soltanto che la misura è colma.