L'Islam e noi: la primavera è lontana
di Vladimiro Zagrebelsky
“La Stampa” del 30 ottobre 2011
Due notizie giungono insieme e permettono una riflessione sulla concezione dei diritti fondamentali che ha maturato l'Europa, rispetto a quella che emerge da alcuni paesi, ove prevale la religione islamica. È di ieri la notizia che la condotta del Comune e la contrastata procedura per l’autorizzazione a costruire a Torino una moschea, luogo di culto dei musulmani, sono state convalidate da una sentenza del Tribunale amministrativo.
Le leggi italiane dunque non impediscono a chi professa la religione islamica di avere, alla luce del sole, un degno luogo di culto. Sembrerebbe ovvio, eppure è stato necessario l’intervento di un giudice, poiché vi sono resistenze. La decisione certifica che, osservate le ordinarie norme urbanistiche, nessun impedimento può essere frapposto sulla base della fede religiosa, sgradita ad alcuni, ai cui riti è destinato il luogo di culto.
Corretto e, insisto, ovvio alla luce di ciò che stabiliscono la nostra Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In questi stessi giorni le nuove autorità dell’Egitto, ed anche esponenti di quelle libiche, hanno annunciato le prime che continuerà a essere necessaria una speciale autorizzazione per costruire chiese cristiane e le seconde che lo Stato libico riconoscerà un posto privilegiato alla sharia, la legge che i musulmani ritengono rivelata da Dio.
Sulla compatibilità di questa fonte del diritto con i principi che sono propri delle democrazie, si è pronunciata la Corte europea dei diritti dell’uomo, quando le è stata sottoposta la questione della compatibilità, appunto con i principi democratici, dello scioglimento di un partito politico turco, che aveva nel proprio programma l’instaurazione della sharia in Turchia. E la Corte europea ha
affermato che l’imposizione della sharia come legge fondamentale non sarebbe stata compatibile né con la laicità, cardine della democraticità dello Stato, né con l’eguaglianza dei cittadini.
Nel progetto di quel partito, infatti, sarebbe stato reintrodotto il sistema ottomano del diverso statuto giuridico delle persone secondo la religione professata. Si può aggiungere che in diversi Paesi musulmani, che si richiamano alla sharia, la libertà religiosa di chi non aderisce alla religione islamica soffre gravi restrizioni. La libertà di religione non riguarda solo la libertà di coscienza individuale, ma anche quella di cambiare religione, di manifestare la propria adesione a una
religione individualmente e collettivamente, in pubblico e in privato, con il culto, l’insegnamento e il compimento dei riti.
Tutti aspetti di libertà religiosa che hanno dato luogo a talora drammatiche repressioni. Tornando alla costruzione di luoghi di culto e alle pratiche religiose alle quali sono destinati, le due contrastanti notizie consentono innanzitutto di rilevare quanto profonda sia la diversità di tradizioni culturali e giuridiche in materia di libertà fondamentali in generale e di libertà religiosa in particolare. Anche se si è consapevoli del fatto che il superamento di pratiche restrittive fuori dell’Europa sarà probabilmente lungo e contrastato, occorre mantenere fermezza di posizioni ideali e continuità nella pressione perché l’attuale stato di cose muti.
L’Unione europea e i singoli Stati membri dichiarano di tener conto della necessità di protezione dei diritti fondamentali in tutte le relazioni commerciali e di cooperazione che allacciano con altri Stati. Periodicamente il Parlamento europeo produce in proposito una abbastanza triste relazione. Abbastanza triste, perché ne risulta che troppo spesso l’interesse economico o politico prevale e spinge a chiudere gli occhi sulla natura dei governi con cui si tratta. Le recenti relazioni con i Paesi del Nord-Africa ne sono un evidente esempio. Ma un tratto essenziale del diverso modo di intendere i diritti fondamentali in Europa e in gran parte del resto del mondo, riguarda, oltre che il loro contenuto, la natura stessa dei diritti dell’uomo.
Per il loro riconoscimento e la loro protezione non vale, nei rapporti tra gli Stati, il principio di reciprocità. Uno Stato non può rifiutare sul suo territorio a cittadini di un altro Stato (o a fedeli di una specifica religione) di esercitare un loro diritto fondamentale per il fatto che in quell’altro Stato
eguale riconoscimento e protezione non sono assicurati. Si tratta di una questione essenziale, che è conseguenza diretta della convinzione raggiunta in Europa, che i diritti e le libertà fondamentali appartengono alle persone originariamente e non per concessione degli Stati.
Le violazioni che avvengono altrove non giustificano le violazioni che si commetterebbero in Europa. L’Europa, se così si comportasse, colpirebbe se stessa e i fondamenti della propria cultura. Oggi dunque, mentre non dimentichiamo che la libertà di religione non è garantita altrove e a chi ne soffre assicuriamo la nostra simpatia (nel senso etimologico del patire insieme), possiamo dire che siamo fortunati ed anche orgogliosi di ciò che avviene da noi, in Europa.