La politica del disgusto
di Stefano Rodotà
“la Repubblica” del 27 luglio 2011
Dobbiamo purtroppo continuare a subire le prepotenze di una maggioranza parlamentare lontana dalla percezione stessa di che cosa significhi rispetto per i diritti civili. È passato appena un giorno dalla severa lezione impartita dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il divieto di sposarsi per gli immigrati senza permesso di soggiorno, perché così veniva negato un diritto fondamentale della persona. Ed ecco che la Camera dei deputati ha subito voluto smentire questo segnale di civiltà che, per un momento, ci aveva fatto sentire vicini ai Paesi che praticano il buon diritto, quello che ha la sua bussola nel rispetto dell'altro, nell'accettazione della diversità come fondamento dell'eguaglianza. Nell'aula di Montecitorio si è bloccata la possibilità di approvare una norma contro l'omofobia, usando addirittura, in maniera del tutto distorta l'argomento di una sua incostituzionalità. Il mondo capovolto. È il trionfo degli spiriti beceri, dell'alata parola dei ministri che indicano al pubblico disprezzo i "culattoni" e poi trovano alleati in chi continua a praticare un fanatismo ideologico in nome della morale e della "natura". Una volta di più, miseramente, la politica del disgusto ha vinto sulla politica dell'umanità, per usare le parole di Martha Nussbaum, sui cui scritti mi ero permesso di richiamare l'attenzione pochissimi giorni fa. Parole al vento. Conosciamo le ragioni che avevano indotto a proporre una norma contro l'omofobia. Bisognava reagire a un clima omofobico, non più strisciante, ma dichiarato, grazie al quale alle parole si sono aggiunte le aggressioni fisiche. La regressione culturale che ci circonda, il cui linguaggio ci dà quotidiane testimonianze, è stato l'ottimo terreno di coltura di questi atteggiamenti. In questi casi la norma giuridica, al di là dei suoi aspetti punitivi, ha un elevato valore simbolico. È il segno di una società che non dà cittadinanza a specifici comportamenti, che rifiuta istituzionalmente ogni loro legittimazione.
Nessuno degli argomenti portati a sostegno della pregiudiziale di incostituzionalità è convincente. Alcuni, anzi, sono davvero segno di un'imbarazzante modestia giuridica, per non dire una malafede che si traduce nel peggior cavillare. Proprio per evitare alcune obiezioni, dopo il voto contrario del 2009, si era rinunciato ad introdurre un vero e proprio reato di omofobia, limitandosi a prevedere una semplice aggravante. Neppure questo è bastato. Si è detto che il riferimento all'"orientamento sessuale" è troppo generico, sicché la norma mancava della necessaria chiarezza e tassatività, lasciando troppo spazio alla discrezionalità dei giudici. Ma dell'orientamento sessuale parlava già il Trattato di Maastricht, su di esso è tornato il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea ne parla all'articolo 21 tra i casi di illegittima discriminazione (tutti documenti a suo tempo votati dal Parlamento italiano). Si tratta di un concetto tutt'altro che inafferrabile, i cui contorni sono stati definiti non solo culturalmente, ma attraverso un'ampia casistica giurisprudenziale. Nessun rischio di incertezza o di arbitrio, dunque. Per quanto riguarda, poi, la tesi secondo la quale si tratterebbe di un trattamento di favore per gli omosessuali che avrebbe creato una disparità di trattamento in altri casi o per altri soggetti, siamo di fronte ad un'altra sgrammaticatura giuridica.
Dovremmo sapere che l'eguaglianza consiste certo nel trattare in modo eguale situazioni simili, ma anche nel trattare in modo differenziato situazioni tra loro sostanzialmente diverse, come più volte ha detto la Corte costituzionale. E questo è proprio il caso dei comportamenti omofobici. Questa brutta giornata parlamentare è stata comunque segnata da qualche divisione all'interno della maggioranza.
Diciotto deputati del Pdl si sono astenuti (tra questi i ministri Carfagna e Romani) e uno, Versace, ha votato contro le pregiudiziali di costituzionalità. Qualcosa comincia a muoversi, e questo induce ad insistere perché si possa giungere ad una legge civile. Ma questa vergognosa vicenda impone due considerazioni politiche. Quale ragionevole dialogo sulle riforme in materia di giustizia e diritti può essere avviato con una maggioranza che al Senato cerca di imporre l'ennesima legge ad personam ed alla Camera sbarra sempre la via all'incivilimento del sistema giuridico? Quale alleanza politica è possibile tra le forze di centrosinistra e una Udc che appoggia la legge contro il testamento biologico, affossa la norma sull'omofobia, continua ad inveire contro il risultato dei referendum sull'acqua?
Paola Concia, relatrice alla Camera, ha proposto di avviare l'iter per una legge di iniziativa popolare. Bisogna farlo subito, utilizzando anche la spinta civile che viene dai movimenti attivi nella società. Le persone vive contro le anime morte del Parlamento. Su questo bisognerà tornare, perché la vicenda di ieri ha confermato l'esistenza di un gravissimo problema di rappresentanza. Le istituzioni non possono reggere quando ogni giorno i cittadini sono costretti a registrare incapacità di cogliere le dinamiche sociali, disprezzo per le minoranze, sacrifici di diritti civili e sociali.