L’attuale
sistema è incapace di produrre quello che promette, perché ha mandato in tilt
tutte le modalità di regolazione politica, economica e funzionale della finanza
Colloquio con
Riccardo Petrella,
economista e promotore del contratto mondiale per l’acqua
di Achille Rossi
da www.altrapagina.it 10.2011
«L’attuale crisi economica è soprattutto di natura politica». Ci risponde così
Riccardo Petrella, l’economista di Lovanio promotore del Contratto mondiale
dell’acqua, quando gli chiediamo cosa abbia di caratteristico quest’ultima
crisi. «I poteri politici si sono dimostrati incapaci di riprendere il controllo
del sistema economico e finanziario che avevano abbandonato a se stesso nel
corso degli ultimi 40 anni. La crisi del 1971-1973 ha posto fine all’assetto
economico nato dopo la seconda guerra mondiale e ha generato un sistema
finanziario che è in crisi permanente». Come mai? «Perché tutta la filosofia di
questi ultimi 40 anni di globalizzazione, basata sull’espansione dei consumi
senza nessuna creazione reale di ricchezza, si è rivelata insostenibile».
Sarebbe una crisi di iperproduzione? «Certamente. Soprattutto è in crisi la
strategia dei consumi privati e del finanziamento della capacità di acquisto.
Queste due caratteristiche associate insieme costituiscono gli ingredienti di
una miscela esplosiva».
Come mai le crisi si ripetono ciclicamente? «Perché il sistema finanziario
capitalista mondiale di mercato è strutturalmente incapace di produrre quello
che promette, dal momento che ha mandato in tilt tutte le modalità di
regolazione politica, economica e funzionale della finanza». È un sistema
mortifero, «perché crede di poter rispondere all’evoluzione del mondo e della
società attraverso la creazione di crisi». Potrebbe spiegare meglio questa
apparente contraddizione? «Secondo questa cultura nata alla fine degli anni
Cinquanta, la crisi è una opportunità per progredire: bisogna che il sistema
crolli perché si rinnovi in permanenza. Ogni 40-50 anni si deve cambiare,
altrimenti i prodotti non permetteranno di avere un ritorno elevato sugli
investimenti».
Il giudizio di Petrella è categorico: «Il concetto di crisi è inerente a quello
di capitalismo finanziario, che può fare ricchezza solo distruggendo il valore
del capitale esistente e deve farlo in continuazione. Perciò il sistema
finanziario capitalista mondiale di mercato è strutturalmente speculativo, non è
produttivo e nemmeno economico». La conclusione è ancor meno rosea: «La mia tesi
è che queste crisi continueranno, saranno sempre più gravi e i loro costi sempre
crescenti. Molti analisti finanziari prevedono addirittura la data della
prossima crisi: giugno dell’anno prossimo». Insomma per Petrella la crisi è
strutturale perché deriva da un sistema che ha lasciato mano libera alla
finanza.
Qual è il suo giudizio sulle misure prese da europei e americani per arginare la
crisi? «O sono ridicole o – spero di no – sono espressione di una volontà
deliberata di criminalità, perché tutti sanno che le cause profonde di questa
crisi dipendono dal fatto che il potere politico ha lasciato libertà totale alla
finanza speculativa. Fintanto che la politica a livello mondiale, poi
continentale, nazionale, locale non modifica questo stato di cose le soluzioni
si riveleranno sempre inadeguate». Petrella approfondisce ancora la sua analisi:
«La libertà della finanza è evidenziata dal fatto che la creazione di moneta non
è più appannaggio degli Stati, ma delle imprese finanziarie. Nel 2008, quando si
verificò la crisi dei subprimes, si constatò che il 92% della massa monetaria in
circolazione, era stata creata dalle imprese finanziarie. Quando ti immettono
sul mercato un prodotto come Google e I-pad, creano moneta perché stimolano al
consumo. Ora, se il potere politico non recupera la capacità di creare moneta,
non ci sarà nessuna politica monetaria pubblica». Al momento la politica
monetaria, a dire di Petrella, la fanno i più forti, i quali hanno asservito il
sistema economico a logiche che danno la priorità alla produzione di beni e
servizi che offrono un alto rendimento finanziario e non a quelli che sono
necessari alla vita. «Si è creata così una dissociazione fra finanza ed economia
reale, la produzione della ricchezza non è stata orientata a soddisfare i
bisogni reali della gente ed è aumentato l’impoverimento complessivo, che ora
lambisce anche le classi medie e medio-alte, mentre il sistema non permette in
alcun modo di tassare il capitale privato. Eppure tutti sanno che, negli Stati
Uniti come in Europa, le imprese private pagano di tasse appena il 6-7% di
quello che dovrebbero pagare».
Nel quadro complessivo della crisi che lei ha delineato qual è la situazione
specifica dell’Italia? «Da vent’anni a questa parte la classe politica italiana
non ha gestito niente, ha solo perseguito interessi immediati corporativi senza
alcuna visione, se non quella di un progetto puramente eversivo». L’allusione ai
vari governi Berlusconi è esplicita. Per Petrella l’economia è stata lasciata in
mano ai predatori più spudorati, che non hanno fatto altro che creare ricchezza
per nuovi gruppi in un contesto di corruzione. Per questo la società italiana
sta perdendo la capacità di produrre sul territorio nazionale. Ma anche la
nostra classe economica non ha brillato: «Si è fatta prendere talmente dalla
logica speculativa del guadagno immediato che ha delocalizzato selvaggiamente in
Romania, in Algeria, in Cina, desertificando intere regioni». Come spiega, però,
il paradosso che l’Italia ha mantenuto il settimo posto nella classifica dei
paesi più industrializzati? «Semplice, perché anche gli altri hanno fatto le
stesse cose. L’Italia non è affondata perché c’è un’economia informale e
familiare che ha permesso di non aggravare le conseguenze della crisi dei
consumi. Infatti nel nostro paese non esiste una economia nazionale, ma solo una
economia locale informale, caratterizzata da indisciplina e al sud spesso da
illegalità, che ha permesso alla gente di sopravvivere». Quando in una regione
come la Puglia più di 250 mila giovani sotto i 25 anni non hanno nessuna
prospettiva di occupazione, l’unica possibilità a loro disposizione è di fare
economia illegale. Petrella ritiene che la tanto decantata economia locale degli
anni Ottanta sia semplicemente un bluff e dimostri semplicemente l’inesistenza
di una economia nazionale e l’incapacità di fare sistema. «È tempo di dire in
maniera chiara che la grande maggioranza della nostra classe dirigente politica
ed economica è inadeguata al punto da rasentare un comportamento quasi
criminale. La crisi del 2010-2011 è caratterizzata dall’esplosione
dell’illegalità, dell’informalità, del non governo da parte della classe
dirigente. Tant’è vero che ormai il governo italiano a livello europeo è
irrilevante. L’Italia è rimasta indietro anche nel campo dell’innovazione,
perché ha sempre pensato di farcela arrangiandosi e riprendendo le scoperte
degli altri» .
Come si può uscire da questa crisi e quali provvedimenti occorrono, sia nel
breve che nel lungo termine? «Tutte le misure che si stanno prendendo in questo
momento non servono a nulla, il che dimostra la cecità o la criminalità
deliberata di questi dirigenti che non possono sganciarsi dal sistema. La prima
misura d’urgenza riguarda il potere regolatore: bisogna dichiarare una moratoria
sulla libertà di movimento dei capitali». Cosa vuol dire in termini concreti?
«Significa bloccare la capacità di fare speculazioni sui titoli dei titoli,
eliminando il mercato dei derivati. La seconda misura urgente è togliere il
potere di giudizio alle società di rating, istituendo organismi misti, composti
da responsabili economico-finanziari e da politici, che valutino la situazione
dei vari paesi e impediscano alle logiche finanziarie di gettare a mare le
economie nazionali.
Petrella ha firmato una lettera di otto economisti europei a favore degli
eurobond, perché gli sembra urgente che l’Europa si faccia carico
collettivamente del debito degli stati emettendo euroobbligazioni, ma ritiene
che la vera causa della crisi non sia la spesa pubblica, bensì gli sconquassi
del capitalismo finanziario globalizzato. Ecco perché pensa che sia necessario
ripubblicizzare tutti gli istituti di credito e reinventare una economia dei
beni e dei servizi pubblici: «Non è necessario ripubblicizzare tutto l’insieme
del sistema finanziario e creditizio, ma solo quegli istituti che sono relativi
a beni e servizi di interesse generale, essenziali per vivere e per garantire il
diritto alla salute, come la Cassa depositi e prestiti, i Crediti cooperativi,
le Casse di risparmio locali. Non si possono far indebitare i comuni o le
regioni creando istituti di credito prevalentemente privati come oggi». Cosa
intende per ricreare l’economia dei beni e dei servizi pubblici? «Reinventare
un’economia che produca beni e servizi essenziali per la vita e per il vivere
insieme. La ricchezza non è il rilancio dei consumi, quanto l’incremento degli
investimenti per gli ospedali, gli acquedotti, la purificazione dell’acqua, la
sicurezza stradale, la protezione delle foreste, la salvaguardia del territorio.
Insomma, è la ricchezza collettiva che bisogna incrementare, abbandonando la
strategia economica che da 40 anni a questa parte ha glorificato l’arricchimento
individuale e ci ha condotto alla crisi presente. Dobbiamo recuperare la
capacità di pensare e organizzare la ricchezza collettiva».