Piove, mercato ladro
di Moni Ovadia
“l'Unità” del 24 settembre 2011
La mattina appena svegli, se l’occhio ci cade sui titoli di prima pagina di un qualsivoglia quotidiano, con grande probabilità ci cade sulla parola “mercato”, lo stesso accade se ci sintonizziamo su un notiziario televisivo.
La parola mercato e l’incontrastabile potenza che essa evoca è così incombente che udendola nessuno più pensa al luogo in cui si era soliti fare la spesa per acquistare beni di prima necessità. Il mercato, o i mercati sono diventati ormai i padroni dei nostri destini delle nostre angosce, delle nostre speranze. I mercati ipotecano le nostre vite.
Ma chi sono i mercati? Sono una divinità plurale ed astratta regolatrice ideale dei rapporti economico-finanziari e dispensatrice del massimo di benessere e di felicità consentita ai poveri esseri umani in carne ed ossa? Così vorrebbero farci credere sacerdoti, chierici e scribi della mercatolatria. Ma se si gratta via con l’ausilio di un po’ di acume il cerone posticcio, ideologico e falso di questa ignobile menzogna, si capisce che “mercati” è un termine che maschera goffamente le élites finanziarie dotate di uno smisurato potere sottratto ad ogni autorità di controllo. Grazie alla virtualizzazione dell’economia e alla impressionante velocità con cui oggi si possono muovere e orientare, immense masse finanziarie si arricchiscono speculando sulla pelle di nazioni, di imprese, di società e di famiglie, di lavoratori totalmente indifferenti a qualsiasi sistema di valori e di vita reale. Queste élites sottomettono la politica ai propri privilegi e vanificano ogni pretesa di democrazia. Almeno finché non saranno i cittadini ad eleggere i mercati.