Preti celibi e preti sposati
di Aldo Maria Valli
“www.vinonuovo.it” del 9 luglio 2011 da www.finesettimana.org
Avremo in futuro preti sposati? E perché la Chiesa cattolica di rito latino non ammette ancora
questa possibilità? Rilanciata dalla questione degli abusi sessuali commessi da uomini consacrati, la questione è tornata d'attualità. Ci è tornata nel modo più sbagliato, perché il fatto di potersi sposare non garantisce di per sé l'eliminazione dei casi di abuso, e tuttavia un certo dibattito si è riaperto, come dimostra anche la recente lettera di centocinquanta teologi tedeschi, austriaci e svizzeri, intitolata Chiesa 2011: un rinnovamento indispensabile, nella quale l'abolizione dell'obbligo del celibato figura tra le principali richieste.
In questa atmosfera, un contributo onesto e documentato viene dal saggio di Basilio Petrà Preti celibi e preti sposati. Due carismi della Chiesa cattolica (Cittadella editrice, 110 pagine, 11,50 euro), nel quale si affronta il valore teologico e spirituale del sacerdozio uxorato, intendendo con questa espressione il sacerdozio di uomini sposati che, in accordo con la moglie e gli eventuali figli, ricevono l'ordinazione.
L'autore, prete della diocesi di Prato e ordinario di teologia morale alla Facoltà teologica dell'Italia centrale, spiega che fino a un centinaio d'anni fa nella Chiesa cattolica di rito latino "era pacificamente accettata l'idea che la legge celibataria fosse una pura legge ecclesiastica". Nulla di dogmatico, quindi, ma piuttosto una questione di convenientia. Sia sul piano pratico (non avere troppe preoccupazioni terrene) sia su quello, diremmo oggi, dell'immagine (il prete celibe come testimone del soprannaturale) il celibato sembrava dare maggiori garanzie rispetto alla possibilità di sposarsi.
Con i rapidi cambiamenti sociali e culturali avvenuti a partire dall'inizio del XX secolo e, poi, con il Concilio Vaticano II, a partire dal quale si è sviluppata una nuova teologia della sessualità, del matrimonio e della famiglia, ci si sarebbe aspettati anche un parallelo percorso di apertura e disponibilità della Chiesa verso l'ipotesi del sacerdozio uxorato. Invece è avvenuto proprio il contrario. Gradualmente si è sviluppata una teologia del celibato sempre più rigorosa e stringente, della quale è espressione soprattutto la Pastores dabo vobis del 1992, l'esortazione apostolica con la quale Giovanni Paolo II, al termine del sinodo dei vescovi di due anni prima, ribadì la connessione tra celibato e sacerdozio sottolineando che, attraverso l'ordinazione sacerdotale, il prete si configura a Cristo in quanto sposo della Chiesa.
Il processo, nota Petrà, ha un che di paradossale, specie se si pensa che, di pari passo, la Chiesa cattolica di rito latino ha riconosciuto la dignità del sacerdozio uxorato cattolico di rito orientale. Di fatto, secondo l'autore, la posizione della Chiesa di Roma è contraddittoria. Proprio nel momento in cui, per la prassi, la connessione tra stato celibatario e ordine sacro viene vista solo come questione di diritto ecclesiastico (altrimenti non si lascerebbe libertà di eccezione alle Chiese cattoliche di rito orientale), ecco che la dottrina rende invece la connessione sempre più interiore, stringente e profonda.
Secondo Petrà, la Chiesa potrebbe e dovrebbe uscire dalla contraddizione tornando al Concilio Vaticano II e alla sua capacità di leggere la realtà umana non in termini di esclusione (aut aut), ma di inclusione (et et). Bisognerebbe evitare i rischi di "radicalizzazione sacramentale del celibato" per "accogliere adeguatamente tutti i doni di Dio senza vederli in opposizione tra loro e senza escluderne alcuno preventivamente".
Su questo piano, un primo passo sarebbe quello di accettare nei fatti il carattere cattolico del sacerdozio uxorato "senza guardarlo come se fosse una sorta di virus dal quale difendersi o come una disciplina tollerata, da mantenere in una sorta di riserva indiana".
Occorre anche liberarsi dalla paura di suscitare confusione o scandalo nei fedeli e dal pensiero che eventuali aperture potrebbero indebolire la scelta del celibato. Semmai, in un regime di libertà, la scelta sarebbe più motivata. "I carismi non vanno esaltati l'uno in opposizione all'altro, ma l'uno in armonia con l'altro. Anche perché ciò che realmente conta non è la consistenza o configurazione oggettiva dei carismi, ma la qualità interiore - umana, morale, spirituale - della persona".
Avremo in futuro, e con pari dignità, un clero uxorato cattolico di rito latino accanto al clero celibatario? La risposta va data sul piano dell'elaborazione teologica. Per una teologia del sacerdozio aperta alle due opzioni i tempi sembrano maturi, ma per dare il via al confronto ci vorrebbero più coraggio e fiducia. La spinta, dice Petrà, verrà forse dal fatto che tanto nelle Chiese cattoliche di rito orientale quanto nelle Chiese ortodosse aumenta il numero di preti uxorati che sono anche teologi e che vivono la loro condizione come un valore, non come un peso o come una concessione alla debolezza dell'uomo.