Così rischiamo di minare
le radici della democrazia

Le centinaia di lavoratori che occupano la fabbrica senza macchine perché sono state spedite all'estero, fanno lo sciopero della fame, bloccano  l'autostrada. Democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato

di LUCIANO GALLINO

la Repubblica 4 gennaio 2011

 

"QUI c'è un problema serio di rapporto tra il capitale e la democrazia". Non lo ha detto uno dei soliti sindacalisti che, a quanto si legge, ostacolano la modernizzazione produttiva. Ma il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, in un'assemblea con i lavoratori della Eaton di Massa svoltasi poco prima di Natale. Trecento persone che dopo due anni di cassa integrazione hanno ricevuto a metà ottobre 2010 altrettante lettere di licenziamento. Forse perché l'azienda era invecchiata, le sue tecnologie superate, i prodotti rifiutati dal mercato? Niente affatto. La Eaton produceva componenti avanzati per motori d'auto, venduti ai maggiori costruttori europei, con buoni margini di utile.

Ma è successo che nell'Ohio, sede dell'azienda madre, qualcuno ha fatto due calcoli e ha scoperto che in Polonia si possono produrre gli stessi componenti a un costo inferiore. Si sa, laggiù costa tutto meno: il lavoro, i terreni, i servizi. Quindi il management ha deciso di chiudere lo stabilimento di Massa e spostare la produzione in quel paese. Gli azionisti apprezzeranno.

È un'azione di chiara razionalità economica, si dirà. Che c'entra la democrazia? La risposta sta in quelle centinaia di lavoratori che occupano la loro fabbrica senza macchine perché sono state spedite all'estero, che fanno lo sciopero della fame, bloccano per qualche ora l'autostrada. Democrazia è la possibilità di avere voce nelle decisioni che toccano la propria vita, partecipare in qualche misura ad esse, poter
discutere del proprio destino; magari per accettarlo, alla fine, anche se ingrato.

A modo loro, quei lavoratori ripropongono un detto che ebbe peso agli esordi stessi della democrazia: siamo tanti, non contiamo niente, vorremmo contare qualcosa. Ci ricordano pure che c'è qualcosa di profondamente distorto in un sistema economico e politico che separa il lavoro dalla persona. Il primo è considerato una merce che un'impresa ha pieno diritto di comprare al prezzo che le conviene, o buttare da parte perché non serve più. La seconda è un essere umano che ha una storia, sentimenti, rapporti familiari, desideri, amicizie, un senso di dignità. È possibile, dobbiamo chiederci, che dinanzi al rischio di restare senza lavoro, che significa anche perdere gran parte dell'identità di persona perché la società intera è stata costruita attorno all'idea di lavoro retribuito, nessuno in pratica abbia il diritto riconosciuto di discutere se ci sono soluzioni possibili, altre strade meno impervie, di affermare che una razionalità economica che non lascia nessuna voce agli interessati al di fuori degli azionisti è una forma di irrazionalità che sta minando alle radici la democrazia?

Bisogna dire che nel caso particolare della Eaton il comune e la regione, insieme con i sindacalisti e un certo numero di politici, sono stati ad ascoltare la voce dei lavoratori. Hanno formulato controproposte alla casa madre, hanno messo sul tavolo capitali per mantenere anche in altre forme la produzione industriale nell'area. Finora le risposte della società dell'Ohio, per la quale lo stabilimento di Massa, Italia, è forse solo un paio di pixel sullo schermo dei computer centrali, sono state in prevalenza negative. Si può sperare vi sia ancora qualche margine per ottenere ulteriori sostegni al reddito, e recuperare un'attività produttiva che ridia prospettive di occupazione stabile agli ex dipendenti. Ma l'occupazione da parte degli operai della fabbrica svuotata delle sue macchine pone la politica, e tutti noi, dinanzi a una questione che il prosieguo della Grande Crisi farà diventare sempre più impellente. C'è un problema generale di rapporto tra capitale e democrazia, che non si risolverà anche se qui e là si porrà rimedio a problemi locali.