Ritorno al passato
di Marco Politi
“il Fatto Quotidiano” del 20 settembre 2011
Il Concilio diventa un optional. Ai seguaci di Lefebvre, feroci negatori del Vaticano II, papa Ratzinger concede di non sottoscrivere un’accettazione solenne dei testi conciliari. Dopo un biennio di negoziati con il movimento lefebvriano il Sant’Uffizio ha trovato un’ambigua formula di riconciliazione.
I rappresentanti del movimento scismatico Lefebvre potranno sottoscrivere un documento in cui dei grandi testi innovativi del Concilio non si parla per niente. Basterà che mettano la firma sotto un “preambolo dottrinale” che indica l’assenso – cui sono tenuti i fedeli cattolici – alla Rivelazione, ai dogmi della Chiesa e al “magistero” del pontefice e del collegio dei vescovi (cioè genericamente le encicliche e i documenti conciliari). Il preambolo chiarisce peraltro che nei tre livelli il grado di assenso è differente. Il Papa nemico del relativismo concede dunque ai nemici dichiarati delle riforme conciliari la relativizzazione del Vaticano II.
Il preambolo dottrinale, consegnato il 14 settembre dal cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, al superiore della Fraternità lefebvriana, monsignor Fellay, non è stato reso pubblico. I lefebvriani hanno un paio di mesi per decidere di firmarlo. In cambio saranno premiati: potranno diventare un’organizzazione autonoma con un proprio vescovo. Come l’Opus Dei. Benedetto XVI ama le procedure segrete. Segreti sono stati gli incontri con i lefebvriani, segrete le trattative per accogliere nella Chiesa i fuoriusciti della Chiesa anglicana.
È come se Ratzinger per principio volesse escludere l’opinione pubblica cattolica e lo stesso episcopato mondiale dal partecipare al dibattito sui temi più delicati della vita della Chiesa. La riconciliazione con i negatori del Concilio lefebvriani o il modo con cui avverrà non sono di scarso interesse. Toccano il modo di essere della Chiesa nel XXI secolo. Riguardano i fedeli cattolici, ma anche ebrei, esponenti delle altre religioni e non credenti. Perché la svolta conciliare sancì nel triennio 1962-1965 la riforma liturgica, il principio della libertà di coscienza e di religione, l’archiviazione del concetto di popolo ebraico deicida e la rivalutazione dell’ebraismo.
Il Concilio inaugurò il dialogo ecumenico tra i cattolici e le altre Chiese cristiane, affermò che musulmani, ebrei e cristiani adorano l’unico stesso Dio di Abramo, riconobbe “frammenti di verità” nelle grandi tradizioni religiose dell’Asia. È esattamente ciò contro cui sistematicamente si sono scagliati per decenni i seguaci del vescovo francese Marcel Lefebvre, partecipante al Concilio e poi diventato fautore di una Chiesa parallela al punto di essere scomunicato da Giovanni Paolo II. In questo spirito di odio alle novità del Concilio si sono formati preti, vescovi e seminaristi della Fraternità Pio X. Benedetto XVI dall’inizio del suo pontificato si è prefisso l’obiettivo di “fare la pace” con i lefebvriani.
Per questo ha liberalizzato la messa preconciliare. Per questo, suscitando enormi proteste nel mondo cattolico, ha levato la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani nel gennaio 2009 (fra di loro, il prelato negazionista Williamson).
Ma la maggioranza dell’episcopato e specificatamente il collegio cardinalizio si sono sempre espressi nel senso che i lefebvriani per rientrare nella Chiesa cattolica dovessero accettare lealmente il Vaticano II. Il 4 febbraio 2009 una nota della Segreteria di Stato voluta dal cardinale Bertone assicurò che la Fraternità Pio X sarebbe stata riconosciuta dalla Chiesa solo a condizione indispensabile di un “pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del magistero dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI”.
DI QUESTO esplicito “pieno riconoscimento” nel preambolo elaborato dal San-t’Uffizio per riaccogliere i lefebvriani non c’è traccia. Il compromesso escogitato ricalca la formula dell“Professione di fede”, cui devono sottostare dal 1989 vescovi e teologi. Ma vescovi e teologi nella vita quotidiana non provengono da movimenti costituitisi proprio per negare il Vaticano II. Sta qui l’ambiguità del “documento di pacificazione”. Sta qui il sapore di parziale svendita dell’evento fondamentale della Chiesa cattolica nell’era contemporanea. Il documento menziona il Vaticano II, interpretandolo nell’“ermeneutica della continuità” cara a papa Ratzinger, e lascia ai lefebvriani libertà di “legittima discussione” e lo “studio e la spiegazione teologica di singole espressioni o formulazioni presenti nei documenti del Concilio Vaticano II e del magistero successivo”. Che il Concilio diventasse un self service per volontà di un pontefice nessuno poteva immaginarlo.