SACERDOZIO, SESSO E POTERE SECONDO IL GESUITA P. MOINGT

Eletta Cucuzza

ADISTA n° 32 del 23 aprile 2011

 

36107. ROMA-ADISTA. Nella Chiesa non è rilevante l’ammissione del sacerdozio femminile, ma per un solo motivo: «Gesù non ha mai pronunciato la parola sacerdozio», neanche per gli uomini. Esso va «reinventato». E Gesù non ha fondato né una Chiesa, né una religione.

È il “sommario” dell’acuta riflessione, dal titolo  “Le donne e il futuro della Chiesa”, firmata dal 95enne gesuita p. Joseph Moingt (direttore dal 1968 al 1997 della prestigiosa rivista teologica Recherches de science religieuse) e pubblicata sulla rivista Études del 1° gennaio 2011. Fa notizia l’argomento, fa notizia la riconosciuta firma, ma fa notizia anche che Gesuiti-newsletter, notiziario ufficiale della Provincia Italiana dei Gesuiti, la rilanci (v. edizione del 6 aprile).

«L’emancipazione della donna» sul piano culturale e sociale, con l’aiuto anche della liberazione sessuale e del controllo delle nascite, si è scontrata con la viva resistenza della Chiesa cattolica»; sicché, constata p. Moingt, «dopo aver perso gran parte del mondo operaio, poi del mondo intellettuale», la Chiesa ha perso, «sul terreno dei costumi, ampie fasce del mondo femminile che aveva comunque fornito la maggior parte delle sue truppe nel secolo scorso»: «era la donna ormai che assicurava la crescita della Chiesa nella società attraverso il flusso delle generazioni».

Un momento di resipiscenza si era avuto negli anni ’60: con il Concilio Vaticano II «non si era esitato ad affidare loro delle responsabilità a tutti i livelli», riconosce p. Moingt, solo che «un capovolgimento ha avuto luogo fin dagli anni ‘80 e non ha fatto che accentuarsi da allora. Oh! Si conta sempre e più che mai sull’aiuto delle donne: come si potrebbe farne a meno? Ma che restino al loro posto di serve docili, ben inquadrate in équipe “pastorali” sotto responsabilità “sacerdotale”». Un capovolgimento, quello della Chiesa wojtyliana, nato dalla «volontà di restaurare “l’identità” dei preti, perturbata, si pensava, dalla perdita di funzioni che erano state loro riservate fino a quel momento»; e manifestatosi con «la volontà della gerarchia di allontanare le donne, loro in particolare, da tutto ciò che riguarda il servizio dell’altare e dei sacramenti, al punto, un po’ ridicolo - sottolinea -, di proibire di scegliere i chierichetti tra le bambine».

Dietro un tale ‘serrare le fila’ c’era «il timore di incoraggiare» nelle donne «il desiderio del sacerdozio». E malgrado il parere di «seri teologi» sulla «possibilità di procedere a tali ordinazioni», Giovanni Paolo II ha ritenuto di «chiudere il dibattito con un rifiuto “definitivo” (con la Lettera Ordinatio sacerdotalis, ndr), e il suo successore lo ha recentemente ricordato, prova che - osserva - il dibattito non è effettivamente chiuso». Le donne, «offese dalla diffidenza di cui si sentono oggetto», «umiliate dalle proibizioni e dalle esclusioni», abbandonano la Chiesa, il cui «rifiuto di riconoscere loro una “cittadinanza” di pieno esercizio non fa che accrescere l’emorragia di cui la Chiesa rischia di morire»: un «atteggiamento “suicida”», considera p. Moingt.

Quello che in realtà «la trattiene dal fare spazio nei suoi organismi dirigenti alle donne che lavorano per lei», non è altro che «una questione di potere», secondo il padre gesuita. «Non si tratta qui solo dell’ordinazione delle donne al presbiterato», spiega. «Senza esservi totalmente ostile, non l’ho mai sostenuta, come neppure l’ordinazione di uomini sposati o la revoca della legge del celibato sacerdotale, per l’unica e semplice ragione che il potere della Chiesa è legato al sacro e che l’interesse della fede non è di estendere l’ambito del sacro, ma di temperare il potere e, per questo, di condividerlo al di fuori del sacro. In effetti, nel nostro mondo laicizzato e secolarizzato, cioè democratico, la fede può solo deperire se è privata della libertà a cui Cristo chiama tutti i cristiani». Dagli esempi evangelici di vicinanza e stima di Gesù nei confronti delle donne, osserva il gesuita, «mi guarderei bene dal trarre argomenti a favore dell’ordinazione delle donne, poiché Gesù non hai pronunciato la parola sacerdozio», ma dagli stessi esempi, «ricevo la chiara indicazione che ha creduto in loro, che si è affidato a loro, che ha affidato a loro il suo Vangelo, come ai suoi apostoli»: «ne fa trasmettitrici della missione che aveva ricevuto dal Padre di diffondere la Vita nel mondo».

Potere, sesso maschile e sacro

Dunque, conclude, «il primo problema non è dare potere alle donne (…). Si tratta innanzitutto di rinnovare il terreno delle comunità cristiane, di instaurarvi libertà, alterità, uguaglianza, corresponsabilità, cogestione, di lasciarvi penetrare le preoccupazioni del mondo esterno, di rendere le celebrazioni più conviviali, ad immagine dei primi pasti eucaristici in cui si condivideva il pane e i viveri sotto la presidenza benevola di un padre di famiglia». «Ci si ricorderà che il “presbiterato” dei primi secoli, il cui nome è stato reintrodotto, non aveva gran che di sacerdotale». Oggi bisogna essere «capaci di reinventarlo, di sciogliere il tremendo rapporto tra potere, sesso maschile e sacro». «Non si rischierà allora di sconvolgere il potere monarchico sul quale la tradizione ha costruito l’organizzazione dell’istituzione ecclesiastica? Forse, ma dobbiamo spaventarci di questo anticipatamente? Non è forse a proposito di una donna e dalla sua bocca che fu profetizzato: “Ha rovesciato i potenti dai loro troni, ha innalzato gli umili”? Non si tratta di rovesciare alcunché, ma di innalzare ciò che è ingiustamente mortificato».