Fermiamo questo testamento biologico
di Stefano Rodotà
“la Repubblica” del 21 febbraio 2011
Il rischio del "dispotismo etico", evocato a sproposito per
inveire contro chi opera perché sia ricostruito quel minimo di moralità pubblica
inscindibile dalla democrazia, si è già materializzato alla Camera dei deputati,
dove è in corso la discussione sul progetto di legge che disciplina le modalità
da seguire se si vogliono dare "indicazioni" per il tempo della fine della vita,
ispirato non al principio di libertà, ma a quello di autorità. Se questa legge
venisse approvata, ciascuno di noi perderebbe il diritto fondamentale ad
autodeterminarsi, verrebbe espropriato del potere di governare liberamente la
propria vita. Una politica incapace di guardare ai problemi veri della società
si fa di colpo prepotente, si dichiara padrona dei corpi delle persone, pretende
di impadronirsi davvero delle "vite degli altri".
Questo è il pezzo forte dell' "agenda etica" del governo, rilanciata con
evidenti finalità strumentali. Il presidente del Consiglio dichiara che «su temi
etici e scuole cattoliche terrà conto delle indicazioni della gerarchia
ecclesiastica», trasformando in offerta sacrificale i diritti dei cittadini,
incurante di quel che dice la Costituzione. Dichiarazione ancor più inquietante
perché seguita dall'intenzione di riformare la Corte costituzionale, che di quei
diritti è custode. «La biopolitica è oggettivamente all'ordine del giorno» aveva
detto un ministro tra i più impegnati su questo fronte, usando un termine,
biopolitica, che descrive proprio il modo in cui il potere si fa governo
dell'esistenza delle persone, sottomettendole, espropriandole della loro
libertà. Un progetto autoritario, destinato a creare scontri su un terreno dove
il rispetto delle scelte della persona dovrebbe essere massimo, dove la regola
giuridica dovrebbe essere libera da ipoteche ideologiche.
Già l'aver usato una espressione come "agenda etica" è inquietante, perché
rivela la volontà di imporre un'etica di Stato. Alla quale, però, sarebbe
sbagliato contrapporre un'altra e opposta agenda etica. Deve essere invece
ricordato quale sia il corretto "percorso costituzionale" da seguire, che è
esattamente l'opposto di quel che prevede il progetto di legge attualmente in
discussione, che riesce ad essere, al tempo stesso, ingannevole e autoritario. È
ingannevole perché il suo titolo – che si richiama al consenso informato,
all'alleanza terapeutica tra medico e paziente, alla rilevanza delle
dichiarazioni fatte dalla persona per decidere sul come morire – è
clamorosamente contraddetto dal contenuto delle singole norme. Il consenso della
persona è sostanzialmente vanificato, perché le sue dichiarazioni non hanno
valore vincolante e non possono riguardare questioni essenziali come quelle
dell'alimentazione e dell'idratazione forzata, alle quali nessuno e in nessuna
situazione potrebbe rinunciare. L'alleanza terapeutica si risolve nello
spostamento del potere della decisione tutto nella direzione del medico. Le
"dichiarazioni anticipate di trattamento" sono vere macchine inutili, frutto di
un delirio burocratico che impone faticose procedure alla fine delle quali vi è
il nulla, visto che sono prive di ogni forza vincolante.
Non siamo soltanto di fronte ad una "legge truffa", ma all'abbandono del lungo
cammino che, partito dalle esperienze tragiche delle tirannie del Novecento che
si erano violentemente impadronite dei corpi delle persone, era approdato
all'affermazione netta della essenzialità del consenso dell'interessato. La
persona, considerata prima come oggetto del potere politico e sottomessa alla
volontà del medico, trovava così la sua libertà, la sua pienezza di "soggetto
morale". Non è un caso che la prima dichiarazione dei diritti del nuovo
millennio, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, abbia voluto
affermare, insieme, l'inviolabilità della dignità della persona e il rispetto
del suo consenso libero e informato.
La riconsegna della persona e del suo corpo al potere politico e al potere
medico, che sarebbe l'esito vero dell'approvazione del progetto di legge, è
fondata su due affermazioni ideologiche. La prima: l'essere la vita
"indisponibile", mentre è vero l'opposto, come dimostra l'ormai consolidato
diritto al rifiuto e alla sospensione delle cure, che da tempo le persone già
esercitano anche quando sono ben consapevoli che ciò può determinare la loro
morte. La seconda: il divieto di rinunciare all'alimentazione e all'idratazione
forzata, che le società scientifiche di tutto il mondo considerano trattamenti
sanitari, ai quali dunque devono essere applicate le stesse regole generali.
Proprio il voler trasformare queste affermazioni ideologiche e antiscientifiche
in norme vincolanti tradisce l'intento autoritario della legge, l'inammissibile
imposizione di un "obbligo di vivere".
Il "percorso costituzionale", allora. Che è netto, lineare. Nella sentenza n.
438 del 2008 la Corte costituzionale ha detto esplicitamente che esiste un
diritto fondamentale all'autodeterminazione, congiunto all'altrettanto
fondamentale diritto alla salute. Inoltre, nel 2002 e nel 2009 la Corte, come
essa stessa scrive, «ha ripetutamente posto l'accento sui limiti che alla
discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali,
che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l'arte medica; sicché, in
materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l'autonomia e la
responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie
scelte professionali». Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire
che cosa sia un trattamento terapeutico, e del legislatore-medico, che vuol
stabilire se e come curare, vengono esplicitamente dichiarate illegittime. Più
in generale, la Corte con la sentenza n. 471 del 1990 ha ribadito «il valore
costituzionale dell'inviolabilità della persona costruito come libertà», che
comprende «il potere della persona di disporre del proprio corpo».
E ricordiamo soprattutto le parole che chiudono l'art. 32 sul diritto alla
salute: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana». È una delle dichiarazioni più forti della nostra
Costituzione, una sorta di nuovo habeas corpus, con il quale il moderno sovrano,
l'Assemblea costituente, promette ai cittadini che non "metterà la mano" su di
loro, sulla loro vita. Nessuna volontà esterna, fosse pure quella coralmente
espressa da tutti i cittadini o da un Parlamento unanime, può prendere il posto
di quella dell'interessato. Il testo in discussione, dunque, è destinato ad
essere dichiarato incostituzionale nei suoi punti essenziali, com'è già è
accaduto all'altrettanto ideologica legge sulla procreazione assistita.
Tre domande finali. Perché la Chiesa italiana non ha assunto un atteggiamento
analogo a quello delle Conferenze episcopali tedesca e spagnola che hanno dato
il loro contributo all'approvazione di ragionevoli leggi sul testamento
biologico? Perché al di qua delle Alpi questioni che altrove alimentano una
grande discussione civile, diventano indiscutibili questioni di fede? Perché una
maggioranza malata di "sondaggite" non tiene conto delle rilevazioni di
Eurispes, che ancora di recente hanno confermato che il 77% degli italiani è
favorevole al diritto di decidere liberamente sulla fine della vita?