CHI NON PAGA LA CRISI
di Galapagos
il manifesto del 26.1.2012
È una piramide 
con una base sempre più larga e un vertice più sottile quella che emerge dai 
dati di Bankitalia sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza. Solo un 
paio di dati: nel 2010 il 14,4% della popolazione era ufficialmente in una 
situazione di povertà a causa di un reddito insufficiente. Il tutto mentre il 
10% delle famiglie più ricche possiede il 46% della ricchezza totale stimata in 
circa 9 mila miliardi di euro. Semplificando, circa 6 milioni di italiani 
possiedono - in media - una ricchezza di quasi 4200 miliardi, circa 700 mila 
euro a testa, contro 54 milioni di persone che - sempre in media - hanno un 
patrimonio di circa 90 mila euro. Come dire: il 10-20 per cento delle persone 
più povere non ha nulla di ricchezza e il 70-80 per cento ha un patrimonio che 
corrisponde al valore di una abitazioni modesta. Che ovviamente non tutti hanno, 
visto che il 21% delle famiglie vive in affitto.
C'è un altro aspetto che colpisce: negli ultimi 20 anni il reddito dell'Italia è 
cresciuto poco, ma il reddito reale dei lavoratori autonomi è aumentato del 
15,7%, quasi 5 volte di più del 3,3% dei lavoratori dipendenti. Siamo di fronte 
a una gigantesca redistribuzione dei redditi a sfavore del lavoratori 
dipendenti. La specificità della crisi italiana è in questi dati che confermano 
come la progressiva pauperizzazione del lavoro dipendente a fronte di uno stato 
sociale sempre meno generoso è alla base della caduta della domanda. Cioè dei 
consumi, anche quelli alimentari, come confermano i dati Istat sulla vendite al 
dettaglio. 
Ma c'è ancora un altro dato - non di Bankitalia - che completa il quadro: ieri 
mattina Attilio Befera, il massimo dirigente dell'agenzia delle entrate, ha 
denunciato che in Italia l'evasione fiscale tocca i 120 miliardi l'anno. E non 
sono certo i lavoratori dipendenti (anche se a volte lo fanno) e i pensionati a 
evadere. Insomma, chi più guadagna più evade. E questo spiega perché molti 
ristoranti sono pieni e ci siano in circolazione centinaia di migliaia di auto 
di lusso.
Da questi numeri è possibile trarre alcune conclusioni che dovrebbero fare da 
guida alla politica economica della sinistra. La prima è che la lotta 
all'evasione deve essere l'obiettivo prioritario: se non aumenta il gettito 
fiscale non sarà possibile diminuire il cuneo fiscale che penalizza i lavoratori 
dipendenti e far pagare meno tasse a loro e ai pensionati. E senza recuperare i 
soldi degli evasori non sarà possibile aumentare la spesa sociale e i consumi 
privati di milioni di persone. Di più: la distribuzione della ricchezza indica 
con chiarezza che è necessario procedere a una riforma fiscale che alleggerisca 
la pressione sui redditi e aumenti quella sul patrimonio.
Quanto ai salari, non aumentano solo con la diminuzione della pressione fiscale, 
ma anche con l'aumento della produttività. Attenzione, però: la produttività non 
deve aumentare «strizzando» ancora di più i lavoratori con innovazioni di 
processo, magari con l'aggiunta del ricatto della flessibilità in uscita, ma 
deve essere ottenuta attraverso innovazioni di prodotto. Perché - ce lo spiegano 
i dati annuali di Mediobanca - nelle imprese che innovano che i profitti, ma 
anche i salari, sono più alti. Ma la sinistra è convinta che il programma di 
Monti si muova in questa direzione?