Euro, se la moneta «batte» lo stato
Di Marco d'Eramo
Il manifesto del 1.10.2012
Su un punto la
cancelliera tedesca Angela Merkel ha assolutamente ragione: non può esserci
moneta unica senza politica economica comune. Ma l'accordo finisce qui. Perché
la catena logica dovrebbe proseguire: non può esserci politica comune senza uno
stato comune. Una volta si diceva che prerogativa essenziale del sovrano era
quella di battere moneta. Senza stato (senza principe) non c'è politica
economica e non c'è moneta. La catena logica però va oltre: senza un meccanismo
democratico unitario questo stato unico o non c'è, oppure è una tirannia.
E poiché oggi non non c'è una politica economica comune ai 17 paesi
dell'Eurozona, e in ogni caso non c'è uno stato europeo, e non si vede nemmeno
da lontano un metodo democratico per delegare le scelte economiche di quest'area
monetaria, i mercati hanno ragione a predire che l'euro imploderà, quali che
siano i sacrifici che ci accolliamo: l'euro non è un problema economico, o è
solo marginalmente tale: l'euro è un problema politico, anzi di volontà
politica.
Va ricordato infatti che lo spread non è una brillantina né una maledizione di
Harry Potter, ma è un indice che misura la sfiducia dei mercati nel futuro
dell'euro. Infatti i creditori che oggi prestano euro all'Italia non avrebbero
ragione di chiedere rendimenti cinque volte più alti di quelli dei titoli
tedeschi se fossero sicuri che il debito sarà restituito in euro. Ma se invece
pensano che i prestiti in euro saranno rimborsati dall'Italia in lire, dalla
Francia in franchi, dalla Spagna in pesetas e dalla Germania in marchi, allora
si capisce perché chiedono interessi più alti (quali che siano le austerità che
ci autoinfliggiamo): perché pensano che rispetto al cambio nominale dell'euro,
la futura lira svaluterà - come peseta e franco -, mentre il
marco rivaluterà: quindi i debiti tedeschi
retribuiranno i creditori già con la rivalutazione, mentre i debiti italiani (e
francesi e spagnoli) dovranno compensare la svalutazione.
Lo spread è perciò la fotografia finanziaria del grado di sfiducia nell'euro. E,
come dice Merkel, senza politica economica comune, l'euro non può sopravvivere.
Ma questa politica non può essere l'imposizione di un duumvirato franco-tedesco,
versione tardo-capitalista dell'impero carolingio. Forse il difetto stava già
nel processo iniziale di unificazione europea che ricalcava quello tedesco nel
XIX secolo. Primo passo un'unione doganale col Mercato comune europeo, sulle
orme dello Zollverein del 1834 tra 38 stati della Confederazione tedesca, ognuno
con diritto di veto. Poi una nuova unione doganale come quella stabilita nel
1866 (dopo la guerra austro-prussiana), ma in cui i singoli stati membri non
avevano più diritto di veto, e con un nucleo forte costituito dai 22 stati della
Confederazione tedesca del nord che si erano dotati di un parlamento comune con
però poteri limitatissimi rispetto al Consiglio federale che rappresentava gli
stati: per continuare il paragone, il Consiglio federale era l'equivalente della
Commissione europea, mentre il Reichstag corrispondeva all'Europarlamento e la
distinzione tra Confederazione tedesca del nord e area-Zollverein corrispondeva
all'Europa a due velocità, con l'Eurozona dei 17 rispetto all'Unione europea dei
27 membri. La similitudine finisce qui perché, dopo soli cinque anni, nel 1871
la Confederazione tedesca fu assorbita dalla Prussia e inglobata nell'impero
tedesco. Ma in comune c'è l'idea che basti l'economia a cementare uno stato
comune. Ovvero che basti l'Euro a fare l'Europa. O, per dirla in altri termini,
che sia la moneta a «battere» lo stato invece dello stato a battere moneta. Ma
così non è.
Ora, poiché è impensabile che gli altri 15 stati vengano inglobati da uno
strampalato condominio franco-tedesco, l'unica possibilità per far sopravvivere
l'euro è creare un organo europeo elettivo, una federazione, o una
confederazione per quanto lasca, insomma qualcosa tipo India (che pure ha più di
un miliardo di abitanti che parlano 22 lingue diverse, contro i soli 332 milioni
dell'Eurozona che parlano 16 lingue). L'unica speranza per l'euro è la volontà
d'istituire una democrazia europea. E perciò è al 99% un'illusione.
Arriviamo al dunque. Altro che governi tecnici! L'euro è un problema di volontà
politica. Non volontà politica di accollarsi sacrifici, ma volontà politica da
parte di grandi paesi di cedere democraticamente una fetta della propria
sovranità nazionale. Altrimenti siamo di nuovo da capo a dodici, con sovranità
nazionali scippate, popoli angariati, costituzioni cancellate, e tutto ciò senza
un vero risultato. Allora, se, come sembra da tutti i vertici dell'ultimo anno
compreso quello di ieri tra Merkel e il presidente francese Nicholas Sakozy, non
c'è da parte di nessuno la volontà politica d'istituire un'Europa democratica,
tanto vale chiuderla con l'euro prima che in nome di esso ci abbiano sfilato
tutte le conquiste di due secoli di lotte popolari: prima che abroghino
pensioni, svuotino la scuola dell'obbligo, riducano le ferie pagate, degradino
il servizio sanitario, per poi far comunque implodere l'euro. Mi rendo conto che
la fine dell'euro è una catastrofe: ma la sola scelta che ci hanno lasciato è da
quale catastrofe farci stangare. Allora tanto vale scegliere quella che ci
preserva almeno alcuni dei diritti così duramente conquistati.