Francesco Gesualdi
e il grande inganno del debito pubblico:
"Sono stati gli interessi a farlo decuplicare"
12 Ottobre 2012
Non c’è nulla di meglio per il potere dell’avere dei sudditi passivi che tralasciano l’approfondimento critico dei fatti e dei problemi. In questo acquitrino di disinformazione e ignoranza il potere ci sguazza. Il potere crea ad hoc le notizie da “affidare a ripetitori acefali affinché questi le propaghino in un monotono tam-tam, finendo per trasformarle in luoghi comuni”. E’ questa la premessa potente e scottante dell’interessante dissertazione di Francesco (Francuccio) Gesualdi su quello che lui, promotore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, chiama “l’inganno del debito pubblico”. Su blog e media, l’ex allievo di Don Milani, fondatore con Padre Alex Zanotelli della Rete Lilliput, collaboratore di Altraeconomia e autore di molti libri contro il sistema delle multinazionali e a favore di un mondo più ecosostenibile ed equo, ricorda come “ciò sia accaduto quando ci hanno imposto una globalizzazione a misura e immagine delle multinazionali, quando ci hanno elargito una Europa al servizio di Banche e speculazione e quando hanno scippato l’acqua e i beni comuni a vantaggio delle imprese private. E ora la cosa si ripete”.
Dottor Gesualdi, perché lo spauracchio del debito pubblico, buono a giustificare ogni tipo di intervento di demolizione di stato sociale, crescita e diritti dei cittadini, è una fregatura?
“C’è un inganno di fondo in quanto si continua a dire che noi siamo indebitati perché abbiamo speso al di sopra delle nostre possibilità. La ricostruzione storica dice invece che le cose non stanno assolutamente così. In verità noi siamo terribilmente indebitati perché abbiamo pagato dei tassi di interesse altissimi negli ultimi 30 anni. Basti pensare che la quantità totale di interessi pagati ammonta a 2.141 miliardi di euro, a fronte di un sorpasso di spese per servizi rispetto alle entrate nello stesso trentennio di soli 140 miliardi. C’è da aggiungere poi che in questi anni si è registrato un risparmio totale di oltre 600 miliardi. Quindi noi ci troviamo inguaiati a causa degli interessi. Questo il discorso di fondo che – guarda caso – nessuno assolutamente fa. Allora la domanda da porsi è solo una: vale la pena di continuare a farsi salassare per pagare interessi alle Banche e alle Assicurazioni?”.
Interessante, può fornirci qualche dato in più su questo argomento particolarmente controverso ma centrale per la comprensione di molti fenomeni che tormentano l’Europa e l'Italia?
“Agli inizi degli anni ottanta il debito pubblico italiano era di 114 miliardi di euro, dopo una decina d’anni era già salito a 1150 miliardi di euro. Questo è dovuto in parte anche agli sprechi ma con una considerazione: le spese per investimenti e servizi sono state superiori alle entrate fiscali ma solo di 140 miliardi. Allora il debito pubblico avrebbe dovuto tutt’al più raddoppiare. Come mai è decuplicato? La risposta l’ho già data: per colpa degli interessi che in quegli anni andavano dal 12 al 20%. Poi la spesa per servizi è rimasta sempre sotto le entrate permettendo un risparmio di 633 miliardi. Abbiamo fatto le formichine ma non è servito, e non servirà”.
Non è vero quindi che gli italiani sono spreconi come dicono i tedeschi.
“No, non è vero. Le Banche tedesche, inoltre, sono tra quei soggetti che detengono una buona quota di debito pubblico italiano, insieme alle Banche francesi. Ai banchieri va sempre bene ci siano i debitori, altrimenti non farebbero affari. Per questo sono perennemente preoccupati, non tanto di avere indietro il capitale, quanto di continuare a lucrare interessi, attraverso i quali saccheggiano la ricchezza reale prodotta da un Paese. Ed ecco perché continuano a dire che noi siamo cicale vissute al di sopra delle loro possibilità: per creare una sorta di vincolo morale dentro noi stessi e nei confronti del resto del mondo e obbligarci a continuare a pagare interessi”.
Ma gli sprechi e i costi inutili, compresi quelli della politica, vanno comunque eliminati o no?
“Su questo non ci piove. Dobbiamo eliminare gli sprechi, ed ogni centesimo proveniente dai cittadini deve essere utilizzato correttamente per garantire servizi e investimenti. Anche per questo noi del Centro facciamo la nostra battaglia. Non ne possiamo più di venire dissanguati per arricchire Banche, Fondi pensione e Assicurazioni, ma le due cose non sono in contrasto tra di loro bensì in perfetta sintonia”.
Eppure tanti cittadini in buona fede si lasciano convincere ci sia un prezzo da pagare, un peccato originale da scontare. Insomma, qualcosa non quadra anche a livello di libera informazione?
“Senz’altro sì. Viviamo in un mondo in cui una volta messa in circolazione una qualche informazione comoda per il potere di turno questa viene ripetuta come una sorta di mantra senza che nessuno la metta in discussione e così certe informazioni, anche se ingannevoli, diventano dei luoghi comuni”.
Cosa pensa della politica del governo Monti?
“Si sta sconquassando lo stato sociale, colpendo sempre gli stessi, senza creare crescita. In questo modo da questa crisi non se ne esce, tanto che gli stessi sostenitori del liberismo poi si lamentano. In effetti se togliamo sempre più soldi dalle tasche dei cittadini, ma anche se costringiamo lo stato a spendere meno, alla fine la domanda complessiva crolla e il sistema scivola inevitabilmente verso la recessione”.
E allora cosa si dovrebbe fare?
“Tutti ormai auspicano l’uscita da questa politica del rigore, per far aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, ma anche per far aumentare il potere d’acquisto dello Stato e della collettività nel suo insieme, perché insieme sostengono la domanda. Nessuno ormai è contento di questo rigorismo all’infuori di coloro che hanno nelle mani i titoli del debito pubblico e addirittura pretendono di specularci sopra. Questo è l’altro aspetto di cui non si parla mai: noi siamo vittime di uno sciacallaggio, non siamo semplicemente il debitore che avendo fissato un tasso di interesse sa quanto deve pagare, ma siamo soggetti a rincari continui a causa della speculazione. Ed è gravissimo che nessuno si attrezzi per sconfiggere questa speculazione come – volendo – si potrebbe. La collettività viene sacrificata sull’altare dell’interesse della finanza, dell’oligarchia finanziaria, una cosa gravissima e iniqua”.
Insomma voi fate una scelta precisa di campo.
“Il nostro Centro ha sempre fatto una scelta sociale molto precisa per la difesa dell’equità, dei diritti e dei beni comuni. Con una precisazione: chi afferma di fare una politica indipendente di fatto, spesso, inganna il prossimo, perché in un sistema di divisione come quello in cui viviamo, siamo inevitabilmente costretti a dover fare una scelta. Noi diciamo che facciamo la scelta dei più deboli e degli ultimi e, per questa ragione, non possiamo accettare il sistema attuale”.
Lei ha spesso sottolineato come al mondo, ormai, si confrontino due visioni politico-economiche: quella neoliberista e quelle di tipo keynesiano. Ma in Occidente sta vincendo la prima..
“E’ un fatto conclamato, sono almeno 30 anni, da quando son saliti alla ribalta Reagan e la Thacher, che stiamo precipitando in un tipo di capitalismo selvaggio dove la parola d’ordine, ammantata di libertà, è consentire ai più ricchi di arricchire sempre di più e ai più poveri di essere sempre più poveri. Inguaiando per altro il sistema stesso . Non per nulla questa crisi ci porta a capire che il sistema finanziario mondiale si è impallato perché le banche di investimento americane hanno avuto la libertà di mettere sul mercato i titoli spazzatura. Se non si vien fuori dal dogma per cui il più forte, e non la maggioranza, può determinare la linea di condotta non c'è soluzione e tutto il sistema inevitabilmente andrà a fondo. Questo sembra l'abbiano capito molti stati dell'America Latina e i risultati si vedono. Mi chiedo invece per quanto tempo noi vorremo, e potremo, continuare lungo l'altra strada”.
Da chi dovrebbe partire l’azione per determinare il cambiamento da lei auspicato?
“E’ la politica che dovrebbe fare la sua parte. Invece è assente. E, purtroppo, anche la sinistra dimostra un asservimento totale al dogma del libero mercato e dunque al più forte”.