Il Messaggero di Sant’Antonio e gli spot sospetti
di Carlo Tecce
“il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2012
Il Messaggero di Sant'Antonio è un giornale molto rigoroso e molto diffuso: un milione e mezzo di copie in Italia, un milione in Europa e Sud America, l'abbonamento costa dai 23 ai 27 euro, e il direttore si chiama padre Ugo Sartorio.
La rivista cattolica più importante del continente: pagine patinate, ben curate, di ampio respiro. Troppo ampio. L'Ordine dei giornalisti del Veneto ha sospeso padre Sartorio (4 mesi) e Luciano Segafreddo (6), responsabile edizione esteri, per aver spacciato dei servizi pubblicitari a pagamento per articoli redazionali e d'ispirazione, appunto, al Santo di Padova: “È nel travaglio del dopo concilio, mentre l'Italia è agitata dalla contestazione giovanile, che i religiosi del Messaggero - si legge sul sito - ritengono giunto il momento di sviluppare appieno le grandi possibilità del bollettino con la sua capillare presenza nel paese (...) tenendo però come punto di riferimento il messaggio evangelico, la dottrina perenne della chiesa, nelle formulazioni che il magistero via via indica, come appunto aveva sempre fatto sant'Antonio”.
E chissà se i fedeli avranno affrontato il dubbio sfogliando gli speciali regionali, puntuali come vespri, maestosi come novene: Abruzzo, la regione premia i suoi figli; Veneto informa, tra folclore e tradizione; Piemonte, lo spazzacamino nel mirino.
E ancora, ogni mese: Marche, lavoro e dignità; Veneto informa, più forza ai giovani; Veneto, un impegno che si rinnova; Molise, una terra da premiare; Umbria, sempre più protagonisti. Quando i temi deragliano per incensare con il turibolo le amministrazioni locali, e forse il lettore, seppur fedele, cova qualche sospetto, c'è sempre una scoperta che li soddisfa tutti, i sospetti. Come la documentata sviolinata a quelle “aziende amiche della famiglia” o come l'imprescindibile intervista al banchiere che gestisce la Camera di commercio italiana a Londra.
E in questo florilegio di pezzi bizzarri e un po' fuori luogo, non citiamo i racconti appassionati e appassionanti di Carmen Lasorella, che potrebbero oscurare gli interventi del cardinale Angelo Scola.
L'Ordine accusa i due giornalisti di aver confuso la pubblicità con l'informazione. A Segafreddo contestano di aver tenuto contatti con enti pubblici e privati per concludere accordi che prevedevano uno scambio gravissimo per la categoria: chi pagava aveva in mano un paio di pagine, scriveva (non firmava) e si guadagnava la propaganda camuffandola per notizia. Siccome qualche cognome
andava sacrificato, Segafreddo ha pensato bene di utilizzare lo pseudonimo di un redattore assente per malattia: un peccato di omissione, almeno.
La testata farà ricorso. Addirittura padre Sartorio si fa difendere dall'ufficio stampa del Messaggero. La seconda notizia è che il Messaggero ha un ufficio stampa: “I superiori gli hanno riconfermato la fiducia e il loro sostegno”. Beh, ora al padre tocca il perdono più delicato. Quello dei 3,5 milioni di lettori che garantiscono centinaia di milioni di euro l’anno. Forse non bastavano.
Non c’è limite al giornalismo creativo, un po’ reclame e un po’ parrocchia.