L'inflazione dei papi fatti santi
di Massimo Firpo
i“Il sole 24 Ore” - Domenicale – del 19 febbraio 2012
«Santo subito» fu il grido popolare che più o meno spontaneamente echeggiò all'indomani della morte di Giovanni Paolo II nel 2005. E santo subito fu, poiché il suo successore diede il suo assenso a non rispettare le rigorose norme ecclesiastiche sulla canonizzazione per avviare senza indugi il processo per la beatificazione, conclusosi felicemente in soli sei anni, il 1° maggio 2011. Pio X era stato proclamato santo nel 1954; Giovanni XXIII beato nel 2000, e con lui Pio IX, mettendo
insieme i papi del Vaticano I e del Vaticano II nel palese e acrobatico intento di assicurare la gloria celeste sia a chi aveva negato ogni compromesso possibile fra la Chiesa e il mondo moderno sia a chi invece aveva cercato di promuovere l'esatto contrario. Si dice che anche Pio XII sia in dirittura d'arrivo, mentre già avviati sono i processi per la beatificazione di Paolo VI e Giovanni Paolo I. Nessun pontefice assurto alla gloria degli altari nel Trecento, nessuno nel Quattrocento, uno nel Cinquecento (san Pio V, il papa dell'Inquisizione e della battaglia di Lepanto, della Controriforma militante), nessuno nel Seicento, nessuno nel Settecento, nessuno nell'Ottocento, e poi quasi tutti quelli del Novecento.
A voler essere irriverenti, si potrebbe dedurne che negli ultimi decenni i papi sono nettamente migliorati rispetto ai loro predecessori, e compiacersene. Ma evidentemente le cose non stanno così. Il problema è infatti di natura storica e impone di capire perché nel secolo scorso la santità sia diventata una sorta di «attributo peculiare del papato romano». Non esiste infatti una santità in quanto tale, com'è noto, ma solo quella che viene riconosciuta e proclamata a seconda dei tempi, dei momenti, dei contesti e che da essi trae il suo significato politico, religioso, pastorale. Al di là della loro autentica identità umana e religiosa, infatti, i santi sono anzitutto immagini esemplari prescelte dall'autorità ecclesiastica, che nelle sue scelte rivela se stessa e i suoi mutamenti storici. Ed è su questo terreno che un valente studioso come Roberto Rusconi in La gloria degli altari. I papi santi nella storia della Chiesa (in uscita da Mondadori, Milano, pagg. 216, € 19,00) traccia un disegno che risale fino alle origini del Cristianesimo per approdare fino al giorno d'oggi, ricostruendo le tappe di un processo che dalla Chiesa dei martiri e delle catacombe (tutti i papi fino al 335 e altri venti fino al 530 sono stati canonizzati), dall'età costantiniana e dalla trasformazione della Roma imperiale nella sedes apostolorum, anche attraverso stagioni di drammatico degrado ai suoi stessi vertici intervallata da lunghi periodi di subalternità agli imperatori carolingi e germanici, approda infine alla rivendicazione della libertas Ecclesiae e alla proclamazione dell'universale supremazia del successore di Pietro nel Dictatus papae e alla riforma gregoriana. Ne scaturì anche una vigorosa ripresa del culto della santità dei papi di Roma, che da allora rivendicarono il monopolio sui
processi di canonizzazione (in precedenza affidati ai vescovi) e ne definirono via via la normativa. Sarebbero poi venute altre stagioni di crisi, la lunga subalternità avignonese alla corona di Francia, l'età degli scismi e dei concili, il nuovo insediamento a Roma e la corruzione rinascimentale, la drammatica frattura della Riforma protestante, il concilio di Trento e la reazione controriformistica fino ai giorni nostri. Cinque secoli di papi santi, poi Celestino V eletto e abdicato nel 1296, santificato nel 1313, Pio V eletto nel 1566 e santificato nel 1712, per giungere infine all'esplosione novecentesca.
Fu non a caso l'austera e severa Chiesa postridentina a poter nuovamente additare ad esempio di santità un pontefice, il cui nome sarebbe stato ripreso da ben sette papi tra la fine del Settecento e la metà del Novecento, a sottolineare la tenace persistenza dei modelli controriformistici nella lunga stagione dell'intransigentismo cattolico e del suo scontro frontale con la cultura moderna.
E paradossalmente fu il venir meno del ruolo temporale della Chiesa, grazie alla Rivoluzione francese, a Napoleone, al processo di unificazione italiana a cancellare la dimensione politica del papa-re che ostacolava pesantemente il riconoscimento della santità. L'Ottocento fu il secolo della devozione ai papi, che asserragliati nello Stato della Chiesa e poi in Vaticano scagliavano i loro
strali contro il mondo moderno, il liberalismo, la democrazia, il socialismo, si atteggiavano a vittime di un processo di secolarizzazione al fondo del quale c'era soltanto il baratro in cui la scristianizzazione aveva precipitato i valori morali, la compattezza sociale, l'autorità politica. Fu una lunga e tenace battaglia di retroguardia, che tuttavia rafforzò il prestigio dei papi di Roma, non più impastoiati nella politica internazionale e nel malgoverno dei propri Stati, una volta che quel baratro si spalancò davvero tra gli orrori senza fine delle due guerre mondiali.
Al tempo stesso, di fronte ai rischi di frantumazione delle sue mille componenti, della sua dilatazione mondiale, delle rivendicazioni di autonomia delle conferenze episcopali, delle sue varie e a volte contrastanti anime, di fronte ai drammatici conflitti interni aperti dal Vaticano II, di fronte ai processi di secolarizzazione e all'affermarsi del primato della coscienza anche tra le file dei credenti e praticanti, il primato papale è diventato un indispensabile punto di riferimento, di aggregazione, di unità, di carismatica sacralità. In questa prospettiva è probabile che l'infittirsi delle canonizzazioni papali, e con esse l'esigenza dei vertici della Chiesa di proclamare urbi et orbi la propria santità, non siano affatto una prova di forza, ma di fragilità e di incertezza.