Rai e Mediaset: telegiornali vaticani?
di David Gabrielli
“Confronti” del marzo 2012
Si parla spesso, nelle televisioni italiane, di fatti e questioni di Chiesa e di religione: in programmi di approfondimento, in talk-show leggeri, nei telegiornali. Ma come se ne parla? Senza addentrarci in un'analisi esaustiva, diamo un'occhiata — è il caso di dirlo — ai tg delle due maggiori emittenti, Rai e Mediaset.
RaiUno-Due-Tre e Canale Cinque: parla «la Chiesa»
Non a caso ci concentriamo sui tg dei due gruppi televisivi, dato il peso enorme che essi hanno nel formare l'opinione pubblica. A proposito di una presa di posizione del papa, della Curia romana o della Conferenza episcopale italiana, la consuetudine radicata è che il tg dica: «La Chiesa ha detto...»: ben raramente si insiste nel puntualizzare: «La gerarchia della Chiesa ha detto...»; e che si qualifichi la citata Chiesa come «cattolica romana». L'una e l'altra semplificazione concorrono perciò a radicare nella mente di molta gente l'idea — teologicamente e storicamente falsa — che Chiesa=gerarchia cattolica.
E che dice, «la Chiesa»? Proclama, senza contraddittorio, il suo verbo sui «princìpi non negoziabili»: così le gerarchie ecclesiastiche definiscono quali siano il giusto comportamento morale e le giuste leggi civili su divorzio, aborto, biotecnologie e bioetica, fine-vita (caso Eluana!), unioni omosessuali... Di solito, e sempre salvo qualche rara eccezione, funziona così: su uno di questi temi il tg riporta il parere di parlamentari, o intellettuali, di vari partiti, favorevoli o contrari, e per concludere si dà voce ad un prelato che afferma il suo categorico no, spesso facendo passare per «l'etica» veramente umana quella che è semplicemente l'etica cattolica o, meglio, quella proclamata dalle gerarchie. Nelle rare volte, poi, che si dà voce ad un cattolico critico — non sia mai che sia solo! — gli si appaia la voce di un cattolico allineato.
Per capire l'assoluta anormalità — in un Paese laico, democratico e plurireligioso — di una tale situazione, che invece molta gente, assuefatta com'è, trova del tutto ovvia, e le gerarchie un «atto dovuto», si immagini che cosa accadrebbe se, parlando — poniamo — di legge sull'aborto, un tg, riferiti i punti di vista dei politici, desse voce ad un rabbino che spiegasse come e perché, in certi casi, l'ebraismo considera lecita l'interruzione della gravidanza. E questa voce fosse l'ultima del servizio, prima di passare ad altro. Non avendo contraddittorio, la tesi del rabbino avrebbe una particolare risonanza su chi ascolta. Perciò la cosa inquieterebbe assai i vertici della Cei, non più soli a proclamare, da un punto di vista religioso, «l'etica». Un'inquietudine che turberebbe, e molto, i vertici Rai e Mediaset.
O immaginiamo un servizio del tg sul caso Eluana che, riferite voci del mondo politico, pro o contro il «distacco della spina» alla ragazza in corna irreversibile da diciassette anni, e poi il no del Vaticano, terminasse intervistando un docente della Facoltà valdese di teologia che spiegasse come e perché, in fedeltà alla Parola di Dio, gli evangelici rispettano pienamente la scelta di Beppino Englaro per porre fine alla non-vita della figlia. Una tale conclusione del servizio avrebbe un impatto impressionante sulla gente; e i vertici ecclesiastici troverebbero intollerabile che Rai/Mediaset abbiano osato far sapere all'opinione pubblica che l'etica da essi proposta non è l'unica possibile per un cristiano.
Lo stesso accadrebbe se, nel caso Eluana, la conclusione di un servizio del tg fosse affidata ad un non credente, che sottolineasse la nobiltà etica della scelta di staccare la spina.
Discorso diverso, relativamente, andrebbe fatto per gli altri programmi televisivi di Rai e Mediaset, dove con una certa frequenza si odono voci disomogenee a quelle della gerarchia vaticana. Lo stesso dicasi de La7 (la puntata de Gli intoccabili dedicata il 25 gennaio ai contrasti, e affari, religioso-economici ai vertici della Santa Sede ha suscitato sgomento in Oltretevere). Chissà mai che tanta audacia non esondi, prima o poi, nei tg.
Anche il concistoro nel quale, il 18 febbraio, Benedetto XVI ha creato ventidue nuovi cardinali, avrebbe potuto essere l'occasione per affrontare un tema nodale, nel post-Vaticano II: è mai possibile che, in linea di principio, il papa si riservi il diritto insindacabile di scegliere il corpo elettorale che dovrà eleggere il suo successore? È «normale»» che solo chierici, e non anche laici — uomini e donne — entrino nella Cappella Sistina per scegliere il vescovo di Roma? No che, storicamente ed ecclesialmente, non lo è. Ma i tg Rai e Mediaset non lo sanno. O non vogliono saperlo.