Scuse a Galileo. La Chiesa ci ripensa
di Riccardo Chiaberge
“Saturno” del 10 febbraio 2012
Eppur si muove. Sì, ma all’indietro, come i gamberi. Sulle scuse a Galileo la Chiesa ci ripensa, e vent’anni dopo la storica svolta di Wojtyla (31 ottobre 1992) nel mondo cattolico tornano ad affiorare malumori e contrasti. L’organo dei gesuiti “La Civiltà Cattolica” ha respinto un articolo sull’argomento di padre Ennio Brovedani, che dello scienziato pisano è appassionato studioso e che nel maggio del 2009 promosse un memorabile convegno a Firenze con i massimi esperti mondiali, atei e credenti, alla presenza di Giorgio Napolitano. Ordinaria amministrazione, si dirà. La censura, nel clero e nei suoi organi di stampa, è cosa di tutti i giorni. Ma il caso Brovedani fa più scalpore del solito, per il tema e la statura del personaggio. E poi ogni pagina di “Civiltà Cattolica” è sottoposta al vaglio preventivo della Segreteria di Stato, sicché dietro la bocciatura qualcuno intravede la manina del Cardinal Bertone. A quanto pare, insomma, il Vaticano che benedice il tecnico Monti (già studente modello di un liceo dei gesuiti) non ha ancora digerito, dopo ben quattro secoli, il tecnico Galileo.
Ma ecco i fatti. Nell’aprile scorso escono gli atti del Convegno fiorentino (editi da Olschki) e “Civiltà Cattolica” invita padre Ennio, presidente della Fondazione Stensen e animatore dell’iniziativa, a scrivere un saggio che riassuma i risultati salienti di quei cinque giorni di discussione. Lui ci lavora a lungo, e per essere tranquillo manda il testo in lettura ad alcuni dei partecipanti, tra cui il filosofo superlaico Paolo Rossi Monti (che ci ha lasciati, a ottantotto anni, il 14 gennaio), e tutti apprezzano l’equilibrio della sua sintesi. Confortato da questi pareri, Brovedani manda il pezzo alla rivista dei gesuiti, ma – sorpresa! - nel rivedere le bozze ci trova dei tagli che non gli sembrano casuali, o dovuti a pure ragioni di spazio. Salta per esempio un passo sul significato attuale della condanna di Galileo nel quadro dei rapporti Stato-Chiesa, che ribadiva «il rispetto dovuto alla libertà di coscienza e all’autonomia e responsabilità personali, che dal punto di vista antropologico e teologico, rappresentano la manifestazione più alta della dignità e creaturalità umane». La libertà di coscienza più importante della Verità di cui il papa si proclama unico custode? Zac! Lo storico Alberto Melloni, alla luce del Concilio, metteva in guardia dal rischio che «la mentalità che aveva presieduto all’errore del 1633 si riproponesse su temi nuovi» come la contraccezione ? Zac. Una bella sfoltita anche al discorso di padre Coyne, ex-direttore dell’Osservatorio vaticano, che si soffermava un po’ troppo sulle liti tra i membri della commissione di studio istituita da Giovanni Paolo II e presieduta dal Cardinale Poupard (quello, per intenderci,
che avrebbe poi celebrato le nozze Briatore-Gregoraci, alla presenza di Berlusconi): non per niente i lavori durano undici anni, e il documento finale è zeppo di reticenze e di omissioni. Il fatto che le conclusioni vengano affidate a un discorso solenne del Papa, nota il sacerdote-astronomo, genera «profondi contrasti e perplessità» all’interno della Commissione. Zac. Più avanti, citando ancora Coyne, Brovedani scrive che «l’ammonizione del Card. Bellarmino avrebbe giocato un ruolo chiave nella condanna di Galileo nel 1633. Quali sarebbero state – si chiede – le conseguenze se, in questo caso, invece di esercitare la sua autorità la Chiesa avesse sospeso il giudizio?». Che domande. Ri- zac! Le forbici dei gesuiti non risparmiano neppure il paragrafo finale sui modi per prevenire nuovi “casi Galileo”: sparisce il cenno alla «crescente interculturalità e interreligiosità» della civiltà contemporanea, termini espunti dal dizionario ratzingeriano.
Già così, erano censure pesanti. Ma da buon servitore di Cristo, padre Ennio si era ormai rassegnato a inghiottirle, quando qualcuno dalla redazione lo allertò che la faccenda non finiva lì, e che ulteriori modifiche e tagli sarebbero stati richiesti dalla Segreteria di Stato. Beh, questo è troppo,protesta Brovedani. Cosa diranno quelli che hanno letto e approvato il testo originale? E poi, che c’è di male nel mio articolo, peraltro sollecitato da voi? Errori dottrinali? Espressioni offensive verso la Chiesa o il Papa? Niente di tutto questo. E il Convegno non era stato salutato come un’anticipazione del “Cortile dei Gentili”, lo spazio comune tra atei e credenti voluto dal Cardinale Ravasi?
Fiato sprecato. I guardiani della “Civiltà Cattolica” non si lasciano commuovere. Confabulano a lungo e alla fine decidono che, onde evitare incidenti, è meglio soprassedere. Quell’articolo non uscirà mai. E dire che il nuovo direttore della rivista dei gesuiti, il 45enne Antonio Spadaro, insediato da pochi mesi, ha fama di innovatore. Un cyber-teologo onnipresente sul Web, con blog su Flannery O’Connor e la rivista online “Bombacarta”. «Il cristiano – sostiene – è chiamato a compiere un’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale». Evidentemente, ci sono mediazioni che non riescono neanche a lui.
La verità è che per la Chiesa di Ratzinger il caso Galileo non è affatto chiuso. Sarebbe troppo comodo relegarlo in un lontano passato, “contestualizzarlo” nel quadro di un’epoca di conflitti religiosi esasperati, come se non avesse più nulla da insegnarci. Il rischio dello scontro scienza- religione è sempre in agguato, specialmente con gli sviluppi vertiginosi delle tecnologie biomediche, l’ingegneria genetica, la ricerca sulle staminali, la fecondazione assistita, che vanno a intaccare i capisaldi della filosofia naturale cattolica. E mentre il biologo miscredente (e grafomane) Edoardo Boncinelli ci spiega che La scienza non ha bisogno di Dio (Rizzoli, quattro miliardi di anni di evoluzione in 164 pagine) e nessuno lo censura, uomini di fede come padre Brovedani si sforzano di conciliare il Vangelo con la libertà di ricerca. E per questo vengono ridotti al silenzio.
Proprio ieri, intervenendo al convegno della Cei su “Gesù nostro contemporaneo” presso l’Università della Confindustria a Roma, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola ha detto che «ogni censura fatta alla storia è condannata a fallire, proprio perché è una sorta di attentato oggettivo contro la libertà». Perfetto, eminenza. Provi a dirlo al suo collega Bertone.